Vocazione alla conversione ed essere uniti a Dio e tra noi

Lectio Divina sulle letture liturgiche della III Domenica del Tempo Ordinario (Anno B), 25 gennaio 2015

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche della III Domenica del Tempo Ordinario (Anno B), 25 gennaio 2015.

Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.

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LECTIO DIVINA

Vocazione alla conversione ed essere uniti a Dio e tra noi.

Rito Romano

III Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 25 gennaio 2015
Gio 3,1-5.10; Sal 24; 1Cor 7,29-31; Mc 1,14-201.

Rito Ambrosiano

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Is 45,14-17; Sal 83; Eb 2,11-17; Lc 2,41-52.

1) Vocazione alla conversione.

Con le letture della Liturgia della Parola di questa domenica torniamo al tema che già una settimana fa abbiamo meditato: la Vocazione.

Infatti, nella prima lettura della Messa di domenica scorsa ci era stata raccontata la vocazione di Samuele, che rispose alla chiamata dicendo: “Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta”. Dio lo chiamò per nome, perché Lui chiama sempre per nome, nome che pronuncia con amore. Immaginate come si dovette sentire sconvolto Paolo quando, sulla via di  Damasco, si sentì chiamato con amore da Colui che lui perseguitava2. Anche noi siamo chiamati con amore per portare nel mondo la verità amorosa di Cristo che ci chiede di lavorare con lui nella messe del mondo.

Anche il Vangelo di quella domenica parlava della vocazione, raccontando quella dei primi discepoli che hanno seguito Gesù grazie al desiderio che abitava nel loro cuore che Gesù riconosce voltandosi verso di loro e domandando: “Che cercate?”.

Nella Messa di oggi, il profeta Giona (I lettura) e la chiamata dei primi discepoli nella versione del Vangelo di Marco (III lettura) ci mostrano che la vocazione ha come prima condizione la conversione, che si concretizza nel seguire Cristo, nel seguire Lui, per essere con Lui e come Lui. Lui è la Via da percorrere, scoprendo che la strada da prendere è nuova non tanto perché differente dalla strada vecchia, ma perché nuova è ragione o, meglio, la direzione del nostro percorrerla. Dire di più, quando il cammino della vita è fatto umanamente, senza fede è una strada che va dalla vita dalla morte: nasciamo e moriamo. Il cammino del Vangelo, cioè con Cristo, è contrario, dalla morte alla vita. Quindi il cammino è nuovo e Gesù ci chiama, ci invita a farlo, seguendoLo.

Mettersi su questa strada è un atto di fede e di fiducia in Cristo, che implica un cambiamento di mentalità e azione, che spinge a prendere le vie del Signore, i cui nomi sono: “misericordia, amore, bontà, giustizia” (cfr Salmo 24). Lungo questi “sentieri” (cfr ibid,) ciascuno di noi deve camminare, mettendo i propri passi sulle “orme” del Signore Gesù, che duemila anni fa percorreva le strade di Galilea (cfr. Mc 1,14-20), e che oggi ancora non smette di camminare e di chiamare.

Se i pescatori: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, chiamati dal Messia che passava accanto a loro, l’hanno seguito subito è perché hanno capito che lì c’era la vita, se no sarebbero stati stupidi, irragionevoli. E poi, man mano che l’hanno seguito, si sono resi conto della logica del cammino fatto, quindi questo fu molto ragionevole l’essere andati dietro a Cristo che li aveva chiamati. Infatti seguendolo con fedeltà e pazienza hanno sperimentato i frutti di questo cammino. Quindi la fede non è irrazionale, non è un salto nel buio, è il contrario, è molto razionale, nel senso che è molto ragionevole, anche nel senso che se uno si sente fare una proposta sensata, è ragionevole che lasci di pescare e segua. “La sequela di Gesù è proprio questo: per amore andare con Lui, dietro di Lui: lo stesso cammino, la stessa strada. E lo spirito del mondo sarà quello che non tollererà e ci farà soffrire, ma una sofferenza come l’ha fatta Gesù.

Chiediamo questa grazia: seguire Gesù nella strada che Lui ci ha fatto vedere e che Lui ci ha insegnato. Questo è bello, perché mai ci lascia soli. Mai! Sempre è con noi (Papa Francesco, 28 maggio 2013).

2) Conversione esistenziale.

Seguendo Cristo, i discepoli capirono che Gesù era il Figlio di Dio in costante ricerca dell’uomo. Scoprirono un Dio “ostinatamente” innamorato dell’uomo.

Anche oggi, per quanto l’uomo ostinatamente rifiuti la sua benevolenza e respinga ostinatamente le garanzie della salvezza e della gioia, Cristo va avanti continuamente a chiamarlo a sé e ad attuare quel dialogo, fatto di familiarità e di reciproca fiducia, che è iniziato con la conversione al Vangelo, cioè a Cristo.

In effetti, prima di una conversione “morale” (cioè di cose da fare meglio e di comandamenti da osservare), c’è quella “esistenziale” (in ebraico la parola conversione indica cambiare direzione dei piedi: prima si andava da una parte, adesso si va dall’altra, verso la verità).

Se prendiamo l’etimologia latina della parola “conversione”, veniamo a sapere che questa parola viene dal verbo cum-vertere = voltarsi verso, vale dire che chi si converte gira lo sguardo per fissarlo sulla persona di Gesù e sulla sua “pretesa inaudita” di essere la risposta esauriente alla nostra domanda di vita e di amore vero.

Quindi, la conversione non consiste solo nello smettere di fare il male e nello sforzo di fare il bene. Essa consiste nel “convertire” la vita al Bene, che è Qualcuno da amare, prima di essere qualcosa da fare. Sotto questo aspetto colpisce la frase di Kafka3: “Non sono solo perché ho ricevuto una lettera d’amore, eppure sono solo perché non ho risposto con amore” (Kafka, Il Castello), quasi certamente questo grande scrittore si riferiva ad una sua esperienza di amore umano, ma, secondo me, Kafka descrive la situazione dell’uomo contemporaneo verso Dio, verso Cristo, il Bene incarnato da amare.

Ebbene, questa inquieta domanda che nasce dalla nostra solitudine riceve la risposta vera dalla proposta di amore che Cristo fa a ciascuno di noi, prete, religioso o laico che sia. La vocazione di Cristo prima di riguardare lo stato di vita di ciascuno di noi (celibe o sposato, consacrato o laici) riguarda la vita nostra da convertire nella sua globalità. Cristo chiama a partecipare all’agonia4 dell’Amore eterno che ci chiama mediante (par) il dono infinito che Lui è, e che prende su di se tutte le conseguenze dei rifiuti dell’amore che noi facciamo e che ci rendono disumani. Se rispondiamo a questo Amore con amore mediante l’offerta di tutto noi stessi, sia che ciò avvenga nella verginità oppure nel matrimonio, non saremo più soli e in noi trasparirà la Presenza, che è Vita della nostra vita.

In questo dono di noi stessi a Dio, in casa o in comunità, in chiesa o al lavoro, vivremo uno slancio fraterno, creando attorno a noi un clima di bontà che ci permetterà di scoprire il tesoro nascosto che c’è nell’altro.

3) La conversione e la consacrazione.

Le letture di oggi ci chiamano alla conversione. È questa la prima parola della predicazione di Gesù, che significativamente si coniuga con la disponibilità a credere: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 15).

Il primo aspetto della vocazione alla quale Cristo chiama è, dunque, convertirsi e credere al lieto annuncio (Vangelo vuol dire appunto lieta e vera notizia) che viene da Dio è: Dio, per amore, si è fatto carne, perché Dio è l’Amore; è nato bambino come ogni bambino, per poter parlare, vivere, morire come noi, condividere tutto ciò che è fragile, perché noi potessimo vivere la nostra fragilità con la gioia di poterla scoprire e sentire abitata dall’infinita bellezza e bontà di Dio.

Il secondo è seguire Cristo. Il Vangelo non è riducibile ad un’idea, ad una filosofia, ad un’esperienza mistica privata, è invece una r
elazione, un poggiare i piedi, uno stare affidati a una persona.

Seguire lui per essere con lui, per essere come lui. Quindi, la chiamata é essere in compagnia di Gesù, essere con lui e come lui. Cioè Gesù ci chiama a essere come lui figli di Dio.

Questa è l’essenza della chiamata. Ma non è una chiamata fatta con la bacchetta magica. E’ un cammino. Gesù dice a chi incontra: “Seguimi, fai il mio stesso cammino, i miei stessi passi. La mia stessa vita e vedi che la tua vita diventa come la mia”.

Nell’Antico Testamento il cammino per eccellenza fu l’esodo. Oggi il nostro esodo è testimoniato in modo particolare dalla Vergini consacrate nel mondo, che mostrano che quando si trova qualcosa che vale infinitamente di più di tutto quello a cui prima si teneva, vale la pena lasciare tutto il capitale umano e quello materiale. Questa donne, come anche noi, hanno scoperto il senso della vita: Cristo! E testimoniano in modo radicale che Dio ha il primato nella vita nostra.

L’umanità di oggi ha bisogno di cristiani autentici: uomini e donne che con la loro testimonianza viva e silenziosa siano profeti di un mondo nuovo. Non è importante che continuino oppure no a svolgere il lavoro di sempre, anche gli Apostoli continuarono a pescare, dopo la resurrezione di Cristo.

Seguire Cristo in pieno abbandono, non implica necessariamente è che uno lasci il suo lavoro che gli dà da vivere. L’abbandono della propria vita, vuol dire offrirla a Dio, gioiosamente.

Vuol dire, innanzitutto, che ormai il fine della propria vita non è più il proprio lavoro, non è più la propria rete e barca, non è più il proprio pesce: Cristo quale fine della vita è più interessante. In Lui la vita trova un senso pieno e duraturo. Si lascia l’amore umano per l’Amore divino.

A questo riguardo S. Giovanni Paolo II ha scritto: “Il Figlio, via che conduce al Padre (cfr Gv 14, 6), chiama tutti coloro che il Padre gli ha dato (cfr Gv 17, 9) ad una sequela che ne orienta l’esistenza. Ma ad alcuni — le persone di vita consacrata, appunto — Egli chiede un coinvolgimento totale, che comporta l’abbandono di ogni cosa (cfr Mt 19, 27), per vivere in intimità con Lui e seguirlo dovunque Egli vada (cfr Ap 14, 4). Nello sguardo di Gesù (cfr Mc 10, 21), «immagine del Dio invisibile» (Col 1, 15), irradiazione della gloria del Padre (cfr Eb 1, 3), si coglie la profondità di un amore eterno ed infinito che tocca le radici dell’essere.31 La persona, che se ne lascia afferrare, non può non abbandonare tutto e seguirlo (cfr Mc 1, 16-20; 2, 14; 10, 21.28). Come Paolo, essa considera tutto il resto «una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù», a confronto del quale non esita a ritenere ogni cosa «come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo» (Fil 3, 8). La sua aspirazione è di immedesimarsi con Lui, assumendone i sentimenti e la forma di vita. Questo lasciare tutto e seguire il Signore (cfr Lc 18, 28) costituisce un programma valido per tutte le persone chiamate e per tutti i tempi.” (Esort. Ap. Post-Sinodale, Vita Consecrata, n. 18).

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LETTURA PATRISTICA

Erma,
Il Pastore,
Comandamenti, VI, 2

Convertirsi con tutto il cuore

Dice: «Ora ascoltami sulla fede. Con l’uomo sono due angeli, uno della giustizia e l’altro della iniquità». «Come, o signore, conoscerò le loro azioni, poiché entrambi gli angeli abitano con me?». «Ascolta, mi risponde, e rifletti. L’angelo della giustizia è delicato, verecondo, calmo e sereno. Se penetra nel tuo cuore, subito ti parla di giustizia, di castità, di modestia, di frugalità, di ogni azione giusta e di ogni insigne virtù. Quando tutte queste cose entrano nel tuo cuore, ritieni per certo che l’angelo della giustizia è con te. Sono, del resto, le opere dell’angelo della giustizia.

Credi a lui e alle sue opere. Guarda ora le azioni dell’angelo della malvagità. Prima di tutto è irascibile, aspro e stolto e le sue opere cattive travolgono i servi di Dio. Se si insinua nel tuo cuore, riconoscilo dalle sue opere». «In che modo, signore, gli obietto, lo riconoscerò, non lo so».

«Ascoltami, dice. Quando ti prende un impeto d’ira o un’asprezza, sappi che egli è in te. Poi, il desiderio delle molte cose, il lusso dei molti cibi e bevande, di molte crapule e di lussi vari e superflui, le passioni di donne, la grande ricchezza, la molta superbia, la baldanza e tutto quanto vi si avvicina ed è simile. Se tutte queste cose si insinuano nel tuo cuore, sappi che è in te l’angelo dell’iniquità. Avendo conosciuto le sue opere, allontanati da lui e non credergli in nulla, perché le sue opere sono malvagie e dannose ai servi di Dio. Hai, dunque, le azioni di ambedue gli angeli, rifletti e credi all’angelo della giustizia. Lungi dall’angelo della iniquità, perché il suo insegnamento è cattivo per ogni opera…».

Gli dico: «Signore, ascoltami per poche parole». «Di’ pure quello che vuoi». «L’uomo è desideroso di osservare i precetti di Dio, e nessuno non prega il Signore che lo rafforzi nei suoi precetti e lo sottoponga ad essi. Ma il diavolo è duro e domina». «Non può, replica, dominare i servi di Dio che sperano con tutto il cuore in Lui. Il diavolo può combattere, ma non può trionfare. Se lo contrastate, vinto e scornato fuggirà da voi. Quelli che sono vani temono il diavolo come se avesse forza. Quando l’uomo riempie di buon vino i recipienti più adatti e tra questi pochi semivuoti, se torna ai recipienti non osserva i pieni, perché li sa pieni, ma osserva i semivuoti temendo che siano inaciditi. Presto, infatti, i recipienti semivuoti inacidiscono e svanisce il sapore del vino. Così pure il diavolo va da tutti i servi di Dio, per provarli (1P 5,8).

Quelli che sono pieni di fede gli resistono energicamente, e lui si allontana da loro non avendo per dove entrare. Allora egli va dai vani e, trovando lo spazio, entra da loro ed agisce con questi come vuole e gli diventano soggetti».

«Io, l’angelo della penitenza, vi dico: “Non temete il diavolo”. Fui inviato per stare con voi che fate penitenza con tutto il vostro cuore e per rafforzarvi nella fede. Credete in Dio voi che per i vostri peccati avete disperato della vostra vita, accresciuto le colpe e appesantito la vostra esistenza. Se vi convertite al Signore con tutto il vostro cuore e operate la giustizia per i rimanenti giorni della vostra vita e lo servite rettamente secondo la sua volontà, vi darà il perdono per tutti i precedenti peccati e avrete la forza di dominare le opere del diavolo. Non temete assolutamente le minacce del diavolo. Egli è inerte come i nervi di un morto. Ascoltatemi, dunque, e temete chi può tutto salvare e perdere. Osservate questi precetti e vivrete in Dio». Gli chiedo: «Signore, ora mi sento rafforzato in tutti i comandamenti di Dio perché tu sei con me. So che abbatterai tutta la forza del diavolo e noi lo domineremo e vinceremo tutte le sue opere. E spero che il Signore dandomi la forza mi farà osservare questi precetti che hai ordinato». «Li osserverai, mi dice, se il tuo cuore diviene puro presso il Signore. Li osserveranno tutti quelli che purificheranno il loro cuore dalle vane passioni di questo mondo e vivranno in Dio».

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NOTE

1 Dal Vangelo di Marco, 1, 14-20: “Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garz
oni e andarono dietro a lui”.

2 Non dimentichiamo che oggi è il 25 gennaio giorno in cui si fa memoria della Conversione di San Paolo.

3 Franz Kafka è uno scrittore ebreo nato a Praga il 3 luglio 1883 e morta il 3 giugno 1924. E’ considerato come uno degli scrittori più grandi del XX secolo.

4 Parola di origine greca che vuol dire: “lotta”, anche se oggi indica solamente la fase terminale della vita umana.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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