L’iter di legge sulle unioni civili è giunto, in Italia, ad una fase cruciale. In questi giorni presso la Commissione Giustizia del Senato si susseguono le audizioni informali sul disegno di legge presentato dalla senatrice Monica Cirinnà “per riportare l’Italia – come affermato da lei stessa – al fianco della maggior parte dei Paesi europei”.
Gli interventi in Commissione provengono da esperti in materia. Già ad ottobre, 6 di questi avevano ricevuto la convocazione. Trattandosi di persone, se non persino legate all’associazionismo omosessuale, palesemente favorevoli al ddl in questione, il senatore Francesco Nitto Palma (membro della 2° Commissione permanente Giustizia) ha chiesto – al fine di favorire un contraddittorio – venissero convocati anche esperti contrari all’introduzione delle unioni civili.
Di qui l’invito a Massimo Gandolfini, presidente nazionale di Scienza & Vita, e all’avv. Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la Vita. Disappunto di quest’ultimo verso il ddl Cirinnà che affonda le radici nella Costituzione. L’avv. Amato ha ricordato ai senatori l’art. 29 della Carta costituzionale: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimoni”. E ha precisato che il verbo “riconosce” indica che lo Stato si limita a prendere atto di un dato pre-politico e pre-giuridico, ossia un dato “di natura” che non può essere manipolato.
Notevole rilevanza in tal senso la assume una considerazione storica. L’avv. Amato ha spiegato che “la famiglia entra a far parte dei documenti giuridici nazionali ed internazionali soltanto dopo (…) la seconda guerra mondiale” (vd. La Croce – quotidiano del 14/01/14). Ancora livide a seguito della tragedia bellica, le nazioni compresero come la famiglia fosse stata l’unica struttura capace di mantenere il tessuto sociale nel mezzo di una disgregazione finanche istituzionale. “Ecco che – scrive ancora Amato -, proprio alla luce di quell’evidenza, si ritenne di dover tributare alla famiglia il giusto riconoscimento, di prendere atto della sua fondamentale importanza e di tutelarne la delicata funzione”.
Quella “presa d’atto” dei nostri Padri costituenti rischia tuttavia di cedere sotto i colpi dell’ideologia. Amato sottolinea come il ddl Cirinnà introduca “una nuova forma di famiglia composta tra persone dello stesso sesso” e lo faccia ricorrendo alla modifica dell’istituto del matrimonio. Il presidente dei Giuristi per la vita ha affermato che, al di là del nome che viene dato alla legge, sostanzialmente si vogliono impiantare le “nozze gay” anche in Italia.
L’intento è testimoniato da alcuni articoli del testo di legge. Nell’art. 3, per esempio, al primo comma, si legge che “ad ogni effetto, all’unione civile si applicano tutte le disposizioni di legge previste per il matrimonio”, con la sola eccezione dell’adozione. Eccezione che potrebbe però essere aggirata sulla scorta di sentenze che ritengono “costituisce mero pregiudizio la convinzione che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale” (Tribunale minori di Bologna, novembre 2013).
Nel secondo e quarto comma dell’art. 3 del ddl Cirinnà, emergono poi ulteriori conferme. Si legge infatti che “la parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso è familiare dell’altra parte ed è equiparata al coniuge per ogni effetto” e che le parole “’coniuge’, ‘marito’ e ‘moglie’, ovunque ricorrano nelle leggi, decreti e regolamenti, si intendono riferite anche alla parte della unione civile tra persone dello stesso sesso”. E ancora, l’art. 4 si prefigge di modificare il codice civile aggiungendo le parole “o da un’unione civile tra persone dello stesso sesso” al termine “matrimonio”.
L’avv. Amato ha poi sottolineato che l’art. 2 prevede che “le parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso stabiliscono il cognome della famiglia scegliendolo tra i loro cognomi”. Il cognome di quella che viene definita famiglia, appunto, il quale “è conservato durante lo stato vedovile”.
Alla luce di tali evidenze, il giurista ha dunque posto ai senatori la seguente domanda: “Siamo ancora inseriti nella tradizione culturale, giuridica e di civiltà dei Padri Costituenti?”. Perché “se così non è – ha aggiunto -, allora quello che occorre fare è modificare l’art. 29”. In questo senso l’avv. Amato ha prospettato un’ipotesi di modifica: “La Repubblica istituisce la famiglia, definendone la natura, le funzioni e i relativi diritti e doveri”. Spiegando che a quel punto il Parlamento potrebbe legittimare ogni qual tipo di “vincolo affettivo”, affibbiando l’appellativo di famiglia anche, per esempio, all’unione tra cinque donne.
Amato ha poi citato un episodio capitatogli il 10 ottobre scorso, partecipando a un convegno organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Roma dal titolo “Matrimoni, Adozioni tra tutela dell’infanzia e parità dei diritti civili”. Egli ha confidato di aver avuto “un sussulto d’inquietudine” quando ha ascoltato il seguente ragionamento di un relatore: “Bisogna prendere atto che la nostra società non è ancora matura su questioni come l’adozione gay o la fecondazione artificiale per le coppie omosessuali, ma è proprio per questo che occorre introdurre delle norme: riusciremo a far evolvere la società con la forza pedagogica delle leggi”.
Ma il presidente dei giuristi per la vita ha rilevato che “la norma è uno strumento che regola i rapporti tra i cittadini”, cioè la legge deve adeguarsi al naturale sviluppo della società, non il contrario. Pertanto nessuna legge, neppure voluta dall’Europa, può costituire un’imposizione. Di qui l’appello ai senatori con cui l’avv. Amato ha concluso la sua audizione: “Onorevoli senatori, non so a voi, ma a me l’utilizzo ideologico della funzione legislativa per imporre un modello culturale alla maggioranza fa venire i brividi!”.