Missionario col cuore e con la mente

San José Vaz (1651-1711), padre oratoriano, il più grande missionario indigeno dell’Asia

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Domani, il 14 gennaio 2015, a Colombo (Sri Lanka), Papa Francesco eleverà all’onore degli altari il padre oratoriano José Vaz. Chi era veramente questo nuovo santo, che ora viene presentato alla chiesa intera come modello da venerare? Fino ad oggi il più influente fra tutti i missionari cristiani nativi del continente asiatico (era originario dell’India), padre Vaz è il primo santo dello Sri Lanka, l’isola divenuta il suo principale campo di azione.

La storia della chiesa cattolica su Ceylon, l’attuale Sri Lanka, inizia con la scoperta del paese da parte dei portoghesi nell’anno 1505. Agli inizi il lavoro missionario svolto sull’isola rimase molto sporadico. Solo nel 1543 sbarcò un gruppo di francescani che poterono dedicarsi all’apostolato in maniera più sistematica. Nel 1602 comparvero i primi gesuiti, seguiti quattro anni dopo dagli agostiniani e dai domenicani. Al termine della dominazione portoghese su Ceylon, circa 120 missionari prestavano servizio sull’isola. Alcune città, fra queste Colombo, Mannar, Jaffna e Galle, avevano l’aspetto di città cattoliche. Tutto questo ebbe fine, quando gli olandesi, calvinisti, scacciarono i portoghesi dall’isola al termine di un ventennio di guerre (1638-1658). D’ora in avanti ai sacerdoti cattolici fu proibito, pena la morte, di trattenersi sull’isola. Solo ai missionari riformati calvinisti olandesi fu permesso di proseguire l’opera di evangelizzazione. Il paese rimase quindi privo di sacerdoti e la maggior parte delle chiese fu demolita. Padre José Vaz fu il primo sacerdote a tornare sull’isola – travestito da portatore – nel 1686. Gli seguirono altri sacerdoti della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri. Le autorità della Compagnia delle Indie Orientali in principio reagirono con la persecuzione, ma ben presto cominciarono a tollerare la loro presenza. A partire dal 1762 l’operato dei sacerdoti cattolici fu ufficialmente consentito, anche se con forti limitazioni. I missionari lavorarono con tanto zelo ed ebbero un tale successo che, secondo le stime delle autorità britanniche, che rimpiazzarono gli olandesi nel 1796, il numero dei cattolici (circa 70.000) superava quello dei protestanti.

José Vaz nacque il 21 aprile 1651, terzo di sei figli, nel paese indiano di Benaulim (Goa), in una famiglia cristiana. Figlio di Christoph Vaz e Maria de Miranda, discendeva da una famiglia Konkani, appartenuta in passato alla casta dei bramani, ma convertita al cattolicesimo già da tempo. Da giovane imparò il portoghese e il latino al liceo. Certamente fu lo zelo religioso che si respirava in casa sua a favorire la sua vocazione alla vita sacerdotale. Questo zelo è provato anche dal fatto che tutti i suoi nipoti si fecero sacerdoti e di conseguenza la sua famiglia si estinse: “Si era sacrificata a Dio”. Dopo la maturità studiò filologia antica presso i gesuiti di Goa e filosofia e teologia al collegio “S. Tommaso d’Aquino” dei padri domenicani. A 25 anni fu ordinato sacerdote. Già allora nutriva un’intima devozione alla Santa Vergine Maria. Gli piaceva definirsi “schiavo della Vergine Maria”, analogamente a quanto insegnato più tardi da san Luigi Maria di Grignion de Montfort nell’esercizio della “vera devozione” a Gesù e Maria.

Ben presto si distinse per il suo zelo religioso e la sua erudizione. Fu chiamato a predicare nella cattedrale, a confessare e alla direzione delle anime. A Kanara, nell’arcidiocesi di Goa, dove la Santa Sede aveva costituito un Vicariato Apostolico, era però scoppiata una triste lite sulle competenze e la giurisdizione. Per riappacificare i pastori e rianimare lo zelo dei fedeli erano richiesti una grande umiltà e straordinario spirito di sacrificio. Quando, nel 1684, si dimise dall’incarico di Vicario Apostolico, la dolorosa situazione poté considerarsi risolta. A fronte di tutte queste difficoltà e dell’ingratitudine di molti, padre José sentì accrescersi il desiderio di unirsi ad un ordine religioso. Tale desiderio però si scontrava con la difficoltà che tutti gli ordini allora operanti in India accettavano solo candidati europei. Alcuni precedenti tentativi di costituire delle comunità “indigene” erano falliti. Tuttavia, il 25 settembre 1685 l’arcivescovo di Goa permise a tre sacerdoti indiani di tenere un vita communis presso la chiesa di Santa Croce dei Miracoli sul Monte Boa Vista a Goa. Padre José fu scelto come superiore. Fu lui a trovare la formula giuridica appropriata per garantire a questa piccola comunità di poter sussistere in futuro. La Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri aveva in quegli anni da poco preso piede in Portogallo; il servo di Dio p. Bartholomeu de Quental (1622-1698), uno zelante missionario, vi aveva fondato il primo Oratorio. Fu lui a spedire a padre Vaz, dietro richiesta, le costituzioni e alcuni consigli per una nuova fondazione.

Il 9 gennaio 1686 i padri scelsero di adottare le costituzioni dell’Oratorio di San Filippo Neri (1515-1595). La Congregazione dell’Oratorio, comunità di sacerdoti secolari senza voti particolari, è una società di vita apostolica di diritto pontificio, che si propone di servire la vita apostolica della chiesa unendo azione e contemplazione. In genere, i sodali della Congregazione restano per tutta la vita nella casa alla quale hanno aderito. L’iniziativa, che fin dall’inizio mostrava una forte impronta missionaria, atipica per un Oratorio, dovette affrontare sul nascere tutta una serie di difficoltà. Si dovette arrivare al 26 novembre 1706 prima che una bolla di papa Clemente XI riconoscesse e confermasse ufficialmente la nuova fondazione. L’Oratorio di Goa fu probabilmente la prima comunità religiosa di rito latino in Asia composta esclusivamente da rappresentanti delle popolazioni indigene. Verso la fine del 1686 la piccola comunità, che da subito ebbe la grazia di numerose vocazioni, si era consolidata abbastanza da poter sussistere anche senza la presenza di padre Vaz. Questi intanto sentiva che era giunto il momento di seguire una nuova vocazione, cioè quella di prestare soccorso pastorale ai cattolici sull’isola di Ceylon. P. José vestì gli abiti di un portatore, di un povero bracciante disposto a svolgere i lavori più umili e pesanti, e dopo alcuni mesi di penosi tentativi riuscì a sbarcare sulle coste di Ceylon. Si mise subito alla ricerca dei cattolici dell’isola. Pressati dalle persecuzioni, la maggior parte di questi aveva adottato i costumi calvinisti e non osava esporsi. Padre Vaz riuscì a rifugiarsi presso una famiglia rimasta fedele al cattolicesimo, che gli permise anche di rintracciare altri cattolici sparsi nel paese. Seguendo l’esempio di Gesù Cristo si recò ovunque, portando al collo un rosario in segno della sua appartenenza alla chiesa cattolica. In mezzo alla noncuranza dei buddisti ed induisti riusciva a cogliere lo sguardo furtivo di quanti osservavano con interesse questo distintivo di riconoscimento della fede cristiana.

In mezzo a grandi difficoltà cominciò così la nuova evangelizzazione dell’isola, che ebbe come centro di irradiazione il villaggio di Jaffna. Padre Vaz ricondusse numerosi cattolici ai sacramenti. Instancabilmente confessava, battezzava bambini e adulti, celebrava messa e regolarizzava matrimoni. Ma ben presto l’attività dell’apostolo attirò l’attenzione delle autorità olandesi e l’ira dei calvinisti. Scoppiò una persecuzione, e ci furono parecchi martiri. P. José Vaz tuttavia riuscì a rifugiarsi nel piccolo regno di Kandy, formalmente indipendente e governato dal re buddista Villmadharma Surya II. Agenti calvinisti sparsero la voce che José Vaz fosse una spia al soldo dei portoghesi. Così, il missionario fu arrestato e imprigionato per due anni. La sua liberazione avvenne per un miracolo: nel 1696  una carestia senza precedenti colpì il regno. Quando le preghiere dei monaci buddisti si rivelarono inefficaci, il re di Kandy fece chiamare padre Vaz. Questi eresse un altare con la croce nella piazza principale. Aveva appena cominci
ato a pregare, che già cominciò a piovere; solo l’altare e padre Vaz non si bagnarono. Il re fu impressionato a tal punto da questo evento, che permise al sacerdote cattolico di annunciare il vangelo di Cristo in tutto il paese, di esercitare il suo ministero sacerdotale e di rafforzare la presenza della chiesa.

Riacquistata la libertà, José Vaz intraprese il sistematico annuncio del vangelo a tutto il paese. Visitò praticamente l’intera costa occidentale da Jaffna a Colombo, che ancora oggi rimane fortemente improntata alla fede cattolica. Quando padre Vaz giungeva in una nuova area linguistica, per prima cosa apprendeva la lingua locale – fra le altre, il tamil e il singalese. Condusse sempre una vita semplice e frugale; per dormire usava una sottile stuoia che stendeva a terra. Viaggiava a piedi, scalzo, e non esitò mai a mettere in gioco la sua vita per il regno di Dio.

L’epidemia di vaiolo scoppiata nel 1697 avrebbe, secondo la testimonianza dello stesso re, decimato l’intera popolazione, se l’amore e la sapienza di padre Vaz non avessero provveduto a curare i malati e a far rispettare le norme igieniche, che riuscirono a contenere il contagio. Perfino i non cristiani lo ammiravano per il suo eroico servizio di carità. Nello stesso anno dall’Oratorio di Goa, col quale p. Vaz mantenne sempre un contatto epistolare, giunsero sull’isola i padri José de Menezes e José Carvalho. In una lettera al prefetto di Goa, datata 28 maggio 1699, padre Vaz scrisse di aver passato due settimane a Malwana, durante le quali aveva battezzato circa un migliaio di persone, perlopiù singalesi e tamil.

Quando gli fu proposta la nomina di Vicario Apostolico di tutto il Ceylon, padre Vaz rifiutò e preferì restare il semplice, umile missionario. Consumato dalle molteplici fatiche del suo apostolato, morì a Kandy la mezzanotte del 16 gennaio 1711, un venerdì, all’età di 59 anni (dopo 35 anni di sacerdozio, 24 dei quali passati da missionario sull’isola), avendo ricevuto l’unzione degli infermi ed il viatico e con la croce in mano. Le sue ultime parole ai padri riuniti in preghiera al suo capezzale furono: “Ricordate che non si può facilmente compiere al momento della morte quello che si è trascurato di fare per tutta la vita”. Così, con una candela in mano e il nome di Gesù sulle labbra, concluse il suo pellegrinaggio terreno. Il suo corpo fu esposto per tre giorni per permettere a tutti i fedeli accorsi di congedarsi dal loro padre spirituale. Lo chiamavano “Sammanasu Swami”, sacerdote angelico. Il re Narendrasimha ordinò personalmente di celebrare i suoi funerali. Padre Vaz fu seppellito nella chiesa da lui edificata a Kandy, sotto i gradini dell’altare maggiore. L’Oratorio di Goa fu soppresso dal governo nel 1835. La maggior parte dei sacerdoti che prestavano servizio sull’isola di Ceylon rimasero nei loro luoghi di missione. Due di questi oratoriani divennero addirittura i primi due vescovi dell’isola. La tomba di padre Vaz fu distrutta in quest’epoca, e le sue spoglie mortali andarono perdute.

Alla sua morte, la chiesa su Ceylon contava 70.000 fedeli cattolici; 30.000 di questi si erano convertiti durante l’operato di padre Vaz. Lo zelante sacerdote aveva redatto per loro un catechismo ed un libro di preghiere nelle due lingue più parlate dell’isola, il singalese ed il tamil. Durante la sua attività missionaria erano state costruite quattro chiese grandi nelle maggiori città del paese, e numerose cappelle nei villaggi, oltre duecento in totale. Dieci sacerdoti proseguirono il suo lavoro.

Nel 1713 il vescovo di Cochin aprì il processo di canonizzazione, e nel 1732 papa Benedetto XIV ne permise la prosecuzione. Fattori politici avversi causarono un continuo rinvio della conclusione del processo. Ma la devozione per questo straordinario missionario non subì mai inflessioni. Finalmente, il 21 gennaio 1995, José Vaz fu beatificato a Colombo da papa Giovanni Paolo II, alla presenza di 400.000 fedeli. Nel corso della cerimonia, il Santo Padre lo definì “il più grande missionario cristiano che l’Asia abbia mai prodotto”. Durante l’omelia, il papa sottolineò: “José Vaz è giustamente considerato il secondo fondatore della Chiesa dello Sri Lanka […]. Rispondendo alla chiamata dello Spirito Santo, egli ha lasciato la sua terra per venire in questo paese dove la Chiesa non aveva avuto preti per oltre tre decenni. […] Come un vero discepolo di Gesù, egli sopportò innumerevoli sofferenze con gioia e fiducia, sapendo che in quelle sofferenze anche i disegni di Dio venivano compiuti. La sua eroica carità, […] gli fece guadagnare il rispetto di tutti”.

Il 20 ottobre 2014 papa Francesco, confermato il parere positivo della Sessione Ordinaria dei cardinali e vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, decise, nell’ambito del concistoro, di elevare il beato José Vaz all’onore degli altari. La cerimonia di canonizzazione del padre oratoriano ebbe luogo il 14 gennaio 2015 a Colombo. La personalità missionaria di padre Vaz si è formata alla luce e nello spirito di san Filippo Neri, di cui quest’anno la chiesa festeggia i 500 anni dalla nascita. Fino ad oggi, il suo operato risplende come fulgido esempio di fecondità dell’apostolato sacerdotale e testimonianza di sacrificio di sé e fiducioso abbandono in Dio. Un bel commento alla spiritualità dell’Oratorio. La chiesa celebra la memoria del santo padre oratoriano e patrono dello Sri Lanka il 16 gennaio.

Mons. Edoardo Aldo Cerrato C.O., vescovo di Ivrea, 

e p. Paul Bernhard Wodrazka C.O., Vienna 

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Edoardo Aldo Cerrato

Mons. Edoardo Aldo Cerrato, C.O., è vescovo di Ivrea

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