Il Papa e il dialogo: qualche nota sui fatti di Francia

C’è chi chiede al Papa di interrompere il dialogo interreligioso con l’Islam: una pretesa assurda… Intanto impariamo a rispettare i sentimenti religiosi e ricordiamo che la libertà di stampa non è libertà di offesa

Share this Entry

Qualche annotazione a mente fredda sui fatti di Parigi e le loro conseguenze anche a livello di dialogo interreligioso, a qualche giorno dall’assalto al ‘Charlie Hebdo’ e dalla grande – e anche per certi aspetti controversa – manifestazione con partecipazione di numerosi leaders internazionali che si è svolta nella capitale in difesa dei valori della République.  

Primo: Da alcune parti si sono levate e si levano voci di critica a papa Francesco, invitato a interrompere il dialogo interreligioso con l’Islam. Sembra questa una pretesa inaccettabile sul piano pastorale e suicida su quello della strategia geopolitica. Pastoralmente il dialogo tra i figli di Dio è un obbligo. Geopoliticamente pure. Chi lancia appelli a una ‘guerra di religione’ contro l’Islam, il cui primo atto sarebbe il ‘cacciare’ dall’Europa i musulmani immigrati, fa discorsi tanto irrazionali quanto incendiari. Volenti o nolenti siamo costretti a un dialogo con il mondo musulmano. Non solo: i fatti di Parigi indicano che va urgentemente intensificato, così da favorire da parte dell’Islam una necessaria presa di coscienza sui valori che determinano la convivenza civile in una società almeno relativamente democratica. Papa Francesco ne è convinto e lo sta dimostrando con i fatti, moltiplicando le occasioni di incontro e di collaborazione nella prassi quotidiana e incoraggiando i responsabili musulmani a elevare forte la propria voce contro quelle interpretazioni del Corano la cui applicazione terrorizza varie parti del mondo.

Secondo: L’ineludibilità del dialogo interreligioso con l’Islam è riaffermata anche nella ‘Dichiarazione’ di giovedì 8 gennaio al termine dell’incontro a Roma tra il cardinale Jean-Louis Tauran e alcuni imam francesi: “I responsabili religiosi sono chiamati a promuovere sempre di più una ‘cultura di pace e di speranza’, in grado di vincere la paura e di costruire ponti tra gli uomini. Il dialogo interreligioso resta la sola via da percorrere insieme per dissipare i pregiudizi”.

Terzo: Naturalmente il dialogo interreligioso va condotto a schiena diritta. Troppe volte si è riscontrato da parte di singoli cattolici un atteggiamento remissivo, inteso a compiacere gli interlocutori addirittura quando questi ultimi non lo richiedevano per nulla. La rinuncia a recite natalizie, canti di Natale, allestimento di presepi con la scusa di non urtare la sensibilità islamica appaiono come esempi di gratuito masochismo, atto solo a suscitare disprezzo da parte islamica verso gli autori di tali rinunce.

Quarto. A tale proposito torna di piena e illuminante attualità un brano dell’omelia che papa Ratzinger tenne a Monaco di Baviera il 10 settembre 2006. “Le popolazioni dell’Africa e dell’Asia – disse Benedetto XVI in quell’occasione – ammirano, sì, le prestazioni tecniche dell’Occidente e la nostra scienza, ma si spaventano di fronte ad un tipo di ragione che esclude totalmente Dio dalla visione dell’uomo, ritenendo questa la forma più sublime della ragione, da insegnare anche alle loro culture”. “La vera minaccia per la loro identità – affermò il Papa – non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà ed eleva l’utilità a supremo criterio per i futuri successi della ricerca”. Quindi aggiunse: “La  tolleranza di cui abbiamo urgente bisogno comprende il timor di Dio – il rispetto di ciò che per l’altro è cosa sacra. Ma questo rispetto per ciò che gli altri ritengono sacro presuppone che noi stessi impariamo nuovamente il timor di Dio”. 

Quinto. E qui giungiamo all’assalto al ‘Charlie Hebdo’, che si può legittimamente ritenere primariamente l’esecuzione di una sentenza di condanna a morte emessa nel 2006 contro i giornalisti di un giornale danese che aveva pubblicato vignette irridenti contro Maometto e contro coloro che le avessero riprese. Il ‘Charlie Hebdo’ negli anni aveva rincarato la dose, anche dopo essere stato fatto oggetto di un grave attentato nel 2011. I vignettisti sono stati orgogliosamente descritti dall’ex-direttore della rivista Philippe Val (in un’intervista dopo la tragedia a “France Inter”) come “de grands enfants, qui voulaient que le humour ait place dans nos vies, qui avaient à coeur de faire plaisir aux gens, absolument merveilleux, génies de la bonté… e sono stati celebrati come “martiri della libertà”. Dal ritratto di Val emergono come purtroppo dei bambinoni ilari e incuranti dei possibili effetti negativi del loro ‘divertimento’. Purtroppo quanto è accaduto ci dice che nel loro ‘divertimento’ mancava totalmente il senso di responsabilità. Per loro, come per altri in Occidente, chi appartiene a una religione era un ignorante da schernire, da offendere fin nel profondo nel modo più sanguinoso. I vignettisti, come altri in Occidente, non erano coscienti – dall’alto della loro laicité giacobina -che in democrazia non può esistere la libertà di offendere gratuitamente l’altro, in una sorta di perverso divertissement. Tanto meno se l’altro è musulmano e dunque molto meno remissivo della maggior parte dei cristiani verso le offese dei sentimenti più profondi. E’ così che hanno messo in pericolo se stessi, altri che avevano il compito di proteggerli, l’intera sicurezza nazionale: hanno pagato a caro prezzo la loro irresponsabile sfrontatezza e a causa loro altri hanno perso la vita.

Sesto. A tale proposito nella ‘Dichiarazione’ già citata il cardinale Tauran e gli imam francesi scrivono: “Considerando l’impatto dei mezzi di comunicazione, si invitano i loro responsabili a offrire un’informazione rispettosa delle religioni, dei loro membri e delle loro pratiche, favorendo così una cultura dell’incontro”.

Settimo. Fondamentale naturalmente è il passo contenuto nel messaggio del cardinale André Vingt-Trois che oggi, domenica 11 gennaio, viene letto in tutte le parrocchie dell’arcidiocesi parigina. Da notare qui che il porporato era stato oggetto di una delle vignette più insultanti, che coinvolgeva in modo blasfemo la Trinità. Scrive Vingt-Trois: “Una caricatura, anche se di gusto pessimo, una critica anche gravemente ingiusta, non possono però essere messe sullo stesso piano di un omicidio”. Su questa affermazione non ci può essere nessun dubbio o distinguo: non si uccide, non si può uccidere per una vignetta, fosse la più sanguinosa come quelle del ‘Charlie Hebdo’!

Ottavo. Da qualche parte si tende a presentare i fratelli Kouachi e Amedy Coulibaly come “figli di nessuno”, tacendo la loro matrice islamica. Il presidente Hollande, nel suo discorso alla Nazione di venerdì 9 gennaio, ha affermato che i tre non avevano niente a che fare con la religione islamica. Ma non è tacendo la realtà che si progredisce in un vero dialogo con il mondo islamico. Sia i fratelli Kouachi che Amedy Coulibaly (così come la moglie fuggitiva Hayat Boumedienne) erano musulmani a pieno titolo, figli di un’interpretazione del Corano che trova ampia giustificazione in molte pagine del libro sacro. E’ un’interpretazione, come purtroppo si sa, che trova numerosi adepti nel Medio Oriente ed anche tra diversi musulmani di seconda generazione in Europa. Del resto su FacebookTwitter, nelle reazioni inviate ai giornali francesi non mancano migliaia di Osanna per gli attentatori. E con tale interpretazione dell’Islam, i musulmani moderati devono confrontarsi nel loro sforzo tanto immane quanto urgente di rendere l’Islam una religione meno guerriera.

Nono. Durante i fatti di Francia (caratterizzati anche dal gravissimo assalto antisemita di porte de Vincennes, in cui sono stati uccisi alcuni ostaggi ebrei) in altre parti del mondo gli affiliati al fondamentalismo islamico cont
inuavano a spargere terrore. Oltre che in Siria e in Iraq, in Nigeria, dove i Boko Haram hanno raso al suolo una cittadina e incendiato altri 16 villaggi vicini con un bilancio – a quanto si legge – di almeno duemila cristiani morti. Varrebbe la pena di onorarli adeguatamente almeno in un modo: non dimenticandoli in una società come la nostra che distingue – purtroppo e per tante ragioni non sempre nobili – in morti di serie A (da elevare con riti ufficiali di massa a ‘martiri della libertà’) e in morti di cui nessuno si scandalizza se vengono dimenticati dans l’espace d’un matin.

[Fonte: RossoPorpora] 

Share this Entry

Giuseppe Rusconi

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione