Organizzato dal Pontificio Consiglio “Cor Unum” e dalla Pontificia Commissione per l’America Latina, l’incontro – ha affermato il cardinale Langlois – fornirà “l’opportunità di fare memoria del disastro che ha causato più di 230.000 morti, 300.000 feriti e 1,2 milioni di senza tetto” e soprattutto di valutare lo stato dei lavori dei progetti post-terremoto realizzati dalla Chiesa cattolica.
Per saperne di più, ZENIT ha intervistato monsignor Giampietro Dal Toso, segretario del Pontificio Consiglio “Cor Unum”.
Perchè questo incontro?
Mons. Giampietro Dal Toso: La Conferenza si tiene per diversi motivi. Intanto perché dopo cinque anni da un terremoto come quello che ha colpito Haiti nel 2010, devastando un’isola già in grande povertà, uccidendo circa 230 mila persone e lasciandone oltre 1,2 milioni senza casa, è sembrato doveroso per la Chiesa cattolica verificare cosa è stato fatto e che cosa rimane da fare in vista della ricostruzione del Paese. In secondo luogo, poiché la situazione è ancora molto precaria in questa fase della ricostruzione, è importante che la Chiesa cattolica, ma direi anche la comunità internazionale, testimoni la propria vicinanza a chi soffre, come il popolo haitiano. Infine, anche se quest’ultima ragione è l’origine di tutto, è stato il Papa in prima persona a raccogliere la proposta e chiedere che si trovasse un momento di condivisione per rilanciare l’attenzione su una crisi non risolta.
Chi sono i partecipanti?
Mons. Giampietro Dal Toso: Dobbiamo dire che siamo rimasti tutti positivamente impressionati dall’interesse e dalla volontà di partecipazione con la quale questa iniziativa è stata accolta. Basti pensare che saranno presenti circa centocinquanta persone, ben oltre quello che ci aspettavamo. Ci saranno rappresentanti della Santa Sede, molte organizzazioni di carità cattoliche e congregazioni religiose attive nell’isola, rappresentanze di alcune conferenze episcopali più coinvolte, e ovviamente la Chiesa locale. Tra gli interventi avremo le relazioni introduttive del cardinale Robert Sarah, che da presidente di “Cor Unum” ha seguito praticamente tutta la fase del post-terremoto; del cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina che con “Cor Unum” ha organizzato questa giornata; e naturalmente del cardinale Chibly Langlois, vescovo di Les Cayes e presidente della Conferenza episcopale haitiana. Ma prenderanno la parola anche molti di coloro che operano direttamente nel contesto della crisi: Alberto Piatti, presidente di AVSI, Eduardo Marques de Almeida, già rappresentante della Banca Inter-Americana dello Sviluppo ad Haiti, infine alcuni operatori che nel pomeriggio porteranno le loro testimonianze ed esperienze.
Quali sono i problemi?
Mons. Giampietro Dal Toso: Il problema principale oggi resta una forma di debolezza radicata nel paese, che non è solo povertà, e che si manifesta a diversi livelli nella vita sociale, economica e politica. Inoltre, la gran parte degli edifici pubblici non è ancora stata ricostruita. Continuano a mancare servizi essenziali, ed è necessario rafforzare la rete sanitaria ed educativa nel paese. Però molte sono le cose positive: un buon numero di progetti post-terremoto è stato completato e la Chiesa cattolica ha ancora circa 200 progetti da realizzare. In esecuzione ce ne sono 70, e riguardano la costruzione di chiese, cappelle o scuole, nonché altri edifici che ospitano attività di servizio gestite dalla Chiesa stessa.
Quali gli obiettivi e le soluzioni della conferenza?
Mons. Giampietro Dal Toso: L’obiettivo, lo ricordavo all’inizio, è quello di rinnovare l’attenzione su questa crisi, fare un bilancio di quanto è stato realizzato e fissare le nuove priorità per il futuro. Più in generale il nostro scopo deve essere sempre quello di portare gli aiuti nel modo più breve ed efficace. Ricordandoci, tuttavia, che la Chiesa non opera secondo i dettami dell’efficientismo né della convenienza economia né ancora dell’assistenzialismo o della pura solidarietà: la Chiesa si muove secondo la carità di Cristo, promuovendo lo sviluppo integrale dell’uomo, che va quindi dagli aspetti materiali a quelli spirituali. Per ricostruire il paese è necessario ricostruire la persona, e la Chiesa sa di poter dare in questo senso un contributo enorme, proprio mediante l’opera di evangelizzazione. Inoltre, oltre alle belle forme di collaborazione che già esistono, ci aspettiamo che venga stimolata dalla riunione di domani la comunione ecclesiale tra tutti i diversi soggetti ecclesiali, vescovi, organismi di aiuto, congregazioni religiose, in modo che la nostra opera sia ancora più efficace. Lo ha detto anche Papa Francesco nell’ottobre scorso: “Quando la Chiesa si esprime in comunione, non può sbagliare”.
Qual è la strategia di Cor Unum per gli aiuti economici, e quella sociale e spirituale?
Mons. Giampietro Dal Toso: Cor Unum è il dicastero della Santa Sede dedicato al servizio della carità. Fin dalla sua nascita, nel 1971 per volontà di Paolo VI, il suo scopo è stato ed è quello di promuovere lo sviluppo umano integrale. Dunque la destinazione degli aiuti deve sempre compenetrare gli aspetti di sostenibilità economica e di piena maturazione della persona. Con una frase direi che la strategia di Cor Unum è la promozione dell’uomo come figlio di Dio, della sua consapevolezza e della sua maturazione nella libertà.
Può segnalare eventuali originalità o storie singolari dell’aiuto nei confronti di Haiti?
Mons. Giampietro Dal Toso: Nel caso di Haiti vi è stata una grande generosità da parte della Chiesa intera. Come dicastero, a nome del Santo Padre, abbiamo scelto di finanziare due scuole. Una di questa è stata recentemente inaugurata dal nostro presidente emerito, il cardinale Robert Sarah, lo scorso novembre. La scuola: per noi è un segno rilevante, non solo perché gran parte del sistema scolastico in Haiti è gestito dalla Chiesa cattolica, ma per ribadire quanto è fondamentale la formazione della persona per ricostruire il tessuto del paese. E devo anche dire la nostra profonda gratitudine ai tantissimi fedeli, che sia con la loro piccola o grande offerta, sia con la loro attività dopo il terremoto, hanno dato il loro contributo per i loro fratelli in Haiti.