Nostalgia di casa e fedeltà al segno

Lectio Divina sulle letture liturgiche della Solennità dell’Epifania del Signore (Anno B), 6 gennaio 2015

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre la seguente riflessione sulle letture liturgiche della Solennità dell’Epifania del Signore (Anno B), 6 gennaio 2015. In alcuni Paesi la celebrazione dell’Epifania è anticipata a domenica 4 gennaio.

Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.

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LECTIO DIVINA

Rito Romano

Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3.5-6; Mt 2,1-12

Rito Ambrosiano

Is 60, 1-6; Sal 71; Tt 2, 11-3, 2; Mt 2, 1-12

1) Tre domande e un racconto per capire l’Epifania:

Le feste natalizie hanno nella festa dell’Epifania1 il loro compimento, che dà al mistero dell’Incarnazione la nuova prospettiva di universalità della salvezza, il suo più consolante significato di speranza infinita. In effetti, alla domanda: “A chi Dio vuol far conoscere suo Figlio incarnato?” La risposta che oggi ci viene proposta è: “A tutti ”. Ma allora “perché non tutti lo riconoscono?” “Perché non basta sapere cosa dice la Scrittura sul Messia per credere in Gesù”. Così accadde ai sacerdoti interrogati da Erode circa la nascita del Messia, diedero la risposta giusta ma non andarono alla grotta di Betlemme. E neppure lo può incontrare chi lo sente come potenziale nemico, come Erode che voleva sapere dove Gesù fosse nato per eliminarlo.

Come i pastori e la gente semplice a Natale, solo i Magi – e oggi quelli che hanno il loro medesimo atteggiamento – trovano Gesù che si manifesta (“Epifania” vuol dire “manifestazione”) loro come l’obiettivo del loro viaggio. Mettiamoci in cammino anche noi e non ci accada che noi, vicini, non lo incontriamo e non lo accogliamo, mentre verranno da lontano a chiederci dove è nato il Re.

Cosa accomunava i Pastori e i Magi? Il desiderio di salvezza, riconosciuta in un Bambino, a cui donarono i primi: latte e lana, i secondi: oro, incenso e mirra. Ma soprattutto tutti donarono se stessi, mettendosi in ginocchio e adorando.

Noi oggi siamo chiamati a avere lo stesso atteggiamento di cercatori di infinito e di adoratori della Verità che si manifesta in quell’amore di bambino. Dio non si manifesta “come” un bambino, Lui è questo Bambino, che manifesta il cuore del Padre, che ce lo dona perché diventi cibo per il nostro cammino, medicina per la nostra debolezza, amico della nostra conversazione.

Questo Bambino crescerà, sarà giovane, adulto, sarà Maestro e operatore di miracoli, sarà deriso, rifiutato, abbandonato, sepolto, risorgerà dai morti, di nuovo ed eternamente vivente: in tutto questo Lui è “epifania” in cui Dio manifesta se stesso. E questo Dio noi, come i Re Magi, adoriamo.

Ma anche ogni essere umano è, in un certo senso, epifania di Dio. Dio ha deciso di rivelarsi, “nascondendosi” in ogni uomo, come ce lo ricorda questo episodio di scrittore anonimo, che ci invita a cercare e trovare frammenti del volto di Dio nel volto dei fratelli in umanità:

“C’era una volta un monaco di nome Epifanio. Un giorno scoperse in sé un dono del Signore che non aveva mai sospettato di possedere: sapeva dipingere bellissime icone. E allora non si dette più pace: voleva, a tutti i costi, ritrarre il volto di Cristo. Ma dove trovare un modello adatto che esprimesse insieme sofferenza e gioia, morte e resurrezione, divinità e umanità?

Epifanio allora si mise in viaggio. Percorse l’Italia, la Francia, la Germania, la Spagna, scrutando ogni volto. Nulla: il volto adatto per rappresentare il Cristo non c’era. Stanco si addormentò ripetendo le parole del salmo: ‘Il tuo volto Signore io cerco. Mostrami il tuo volto!’. Fece un sogno. Gli apparve un angelo che lo riportò dalle persone incontrate e per ognuno gli indicò un particolare che rendeva quel volto simile a Cristo: la gioia di un Innamorato, l’innocenza di un bambino, la forza di un contadino, la sofferenza di un malato, la paura di un condannato, la tenerezza di una madre, lo sgomento di un orfano, la speranza di un giovane, l’allegria di un giullare, la misericordia di un confessore, il mistero del volto bendato di un lebbroso … E allora Epifanio capì e tornò al suo convento. Si mise al lavoro e dopo un po’ di tempo l’icona era pronta e la presentò al suo abate. Questi rimase attonito: era meravigliosa. Volle sapere di quale modello si era servito perché desiderava mostrarlo anche agli altri artisti dei monastero. Ma il monaco rispose: Nessuno, padre, mi è stato di modello, perché nessuno è uguale a Cristo, ma Cristo è simile a tutti. Non trovi il Cristo nel volto di un solo uomo, ma trovi in ogni uomo un frammento del volto di Cristo”.

2) Un cammino coerente all’ideale.

I Re Magi sono un modello per noi non solamente perché furono cercatori di Infinito, ma perché l’hanno trovato sapendo riconoscere in bambino o, meglio, nel Bambino. Sono stati grandi nella loro fedeltà al fragile segno di una stella senza farsi condizionare dalla nostalgia dei palazzi lasciati (cfr T.S. Eliot). Seppero continuare la ricerca dell’Eccezionale, dello straordinario sulle strade del quotidiano.

Questi tre camminatori che non si sono accontentati delle ricchezze e della loro sapienza. Non volevano solamente sapere tante cose, ma vogliono sapere l’essenziale. Hanno sentito il cuore vibrare e si sono scomodati, agganciando una stella al bramire dei loro animali allevati nelle stalle d’Oriente: “Dov’è il Re dei Giudei che è nato?”. A caccia del fondamentale nelle strade battute del quasi banale. Scelsero il rischio dell’ignoto alla sicurezza dei calcoli, con quell’ansia di andare a cercare un Bambino: “La ricerca della Verità era per i Magi più importante della derisione del mondo apparentemente intelligente” (Benedetto XVI). Nell’umiltà dei loro passi curiosi risuona l’eco di mille voci, anche di voci che cantavano agli orecchi, dicendo che tutto questo è follia. Il rischio della follia o la sicurezza dell’ignoranza: i Magi preferirono la fragile rotta del Cielo all’abituale mappa tracciata dagli uomini. Hanno usato la loro intelligenza e sapienza in un modo che poteva sembrare umanamente assurdo e poco scientifico e sono partiti alla volta di Betlemme, barattando la sicurezza delle loro abitudini con il rischio di un viaggio, che divenne pellegrinaggio.

Infatti il pellegrino ha come meta non un luogo turistico ma un luogo sacro: il Tempio dove c’è Dio. L’ha compreso molto bene Paul Claudel “le cose non sono più il mobilio della nostra prigione, ma quelle del nostro tempio”, dove il bambino Gesù rende sacra persino la paglia. La grotta, la paglia fatta giaciglio, gli abiti essenziali per un viaggio nella Giudea, si sacralizzano e trasfigurano attorno al nucleo essenziale del mistero dell’Incarnazione in una nascita.

L’Epifania non è soltanto la manifestazione di Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato e Redentore di tutta l’umanità, ma è anche la solennità dell’adorazione e della donazione.

Il testo del Vangelo di oggi ci ricorda la venuta dei Magi alla Grotta di Betlemme e le tre azioni molto importanti da questi Re davanti al Re dei Giudei: prostrazione, adorazione e donazione.

Prostrazione è l’atteggiamento di umile riverenza verso un’autorità morale e spirituale. Gesù è riconosciuto dai sapienti del suo tempo l’autorità morale e religiosa, con la quale confrontarsi. Adorazione. E’ l’altra azione che compiono i Magi davanti a Gesù. Adora la vera divinità.

Gli antichi adoravano gli idoli. In un momento drammatico, Israele si formò un vitello d’oro e lo adorava, mentre Mosè stava a contatto con Dio sul Monte Sinai. Da sempre l’uomo si è costruito falsi idoli e li ha coltivati come possibile soluzione dei propri problemi esistenziali. Ancora oggi affascinano gli idoli del successo, del benesse
re, della carriera, dei potere economico, militare, politico e religioso e tanti altri del genere che mettono l’uomo nella condizione di offendere e distruggere altri uomini per arrivare a tali scopi. I Magi invece adorano il Dio vivente che in quel Bambino, povero, umile, che giace in una mangiatoia merita tutta la loro attenzione e la loro preghiera.

Donazione. Quando c’è la bontà nel cuore e c’è l’apertura all’altro scatta quasi istintivamente il donare qualcosa di se stesso a chi si ha di fronte. Qui i Magi si trovano di fronte al Re dei Giudei e quale gesto di riconosciment o dell’identità e della natura vera di Gesù Bambino, gli offrono tre doni, oro, incenso e mirra, proprio per far risaltare la sua regalità, la sua missione e la sua morte e risurrezione. Anche in questi doni c’è tutto uno specifico significato che è possibile attribuire a Gesù Bambino, quale Figlio di Dio e Redentore dell’umanità. In più, come ho detto poco più sopra, donano se stessi.

Ecco la festa dell’Epifania che apre indirettamente su un’altra e più importante festa liturgica della chiesa cattolica: la Pasqua di Gesù, che ha donato se stesso, completamente. Saremo saggi come i Magi se prendendo Cristo come via, imbocchiamo la strada della fede, la strada della conversione, la strada dell’amore.

Un esempio speciale di questo cammino d’amore è donato dalla Vergini Consacrate nel mondo. Tutta la loro vita appartiene al Signore. Mediante la consacrazione hanno si sono messe a disposizione di Dio senza riserva, in modo che tutta la loro vita esprima prostrazione, adorazione e donazione piena e pura a Dio. La vita di una persona consacrata nel mondo testimonia che si può vivere di cristo in ogni istante e vivere della speranza che viene dalla grotta di Betlemme. A questo proposito èancora illuminante ciò viene affermato nell’esortazione post-sinodale, sempre al numero 27: “ Chi attende vigile il compimento delle promesse di Cristo è in grado di infondere speranza anche ai suoi fratelli e sorelle, spesso sfiduciati e pessimisti riguardo al futuro. La sua eèuna speranza fondata sulla promessa di Dio contenuta nella Parola rivelata: la storia degli uomini cammina verso il nuovo cielo e la nuova terra” (Esortazione apostolica post-sinodale “Vita Consecrata”, 1996, n. 27).

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LETTURA PATRISTICA

San Leone Magno, papa

Discorso 3 sull’Epifania, 1-3. 5; PL 54, 240-244

Il Signore ha manifestato in tutto il mondo la sua salvezza

La Provvidenza misericordiosa, avendo deciso di soccorrere negli ultimi tempi il mondo che andava in rovina, stabilì che la salvezza di tutti i popoli si compisse nel Cristo.Un tempo era stata promessa ad Abramo una innumerevole discendenza che sarebbe stata generata non secondo la carne, ma nella fecondità della fede: essa era stata paragonata alla moltitudine delle stelle perché il padre di tutte le genti si attendesse non una stirpe terrena, ma celeste.Entri, entri dunque nella famiglia dei patriarchi la grande massa delle genti, e i figli della promessa ricevano la benedizione come stirpe di Abramo, mentre a questa rinunziano i figli del suo sangue. Tutti i popoli, rappresentati dai tre magi, adorino il Creatore dell’universo, e Dio sia conosciuto non nella Giudea soltanto, ma in tutta la terra, perché ovunque «in Israele sia grande il suo nome» (cfr. Sal 75, 2).Figli carissimi, ammaestrati da questi misteri della grazia divina, celebriamo nella gioia dello spirito il giorno della nostra nascita e l’inizio della chiamata alla fede di tutte le genti. Ringraziamo Dio misericordioso che, come afferma l’Apostolo, «ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E’ lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1, 12-13). L’aveva annunziato Isaia: «Il popolo dei Gentili, che sedeva nelle tenebre, vide una grande luce e su quanti abitavano nella terra tenebrosa una luce rifulse» (cfr. Is 9, 1). Di essi ancora Isaia dice al Signore: «Popoli che non ti conoscono ti invocheranno, e popoli che ti ignorano accorreranno a te» (cfr. Is 55, 5).«Abramo vide questo giorno e gioì» (cfr. Gv 8, 56). Gioì quando conobbe che i figli della sua fede sarebbero stati benedetti nella sua discendenza, cioè nel Cristo, e quando intravide che per la sua fede sarebbe diventato padre di tutti i popoli. Diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto il Signore aveva promesso lo avrebbe attuato (Rm 4, 20-21). Questo giorno cantava nei salmi David dicendo: «Tutti i popoli che hai creato verranno e si prostreranno davanti a te, o Signore, per dare gloria al tuo nome» (Sal 85, 9); e ancora: «Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia» (Sal 97, 2).Tutto questo, lo sappiamo, si è realizzato quando i tre magi, chiamati dai loro lontani paesi, furono condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra. Questa stella ci esorta particolarmente a imitare il servizio che essa prestò, nel senso che dobbiamo seguire, con tutte le nostre forze, la grazia che invita tutti al Cristo. In questo impegno, miei cari, dovete tutti aiutarvi l’un l’altro. Risplendete così come figli della luce nel regno di Dio, dove conducono la retta fede e le buone opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo che con Dio Padre e con lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.

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NOTE

1 Epifania è parola greca che vuol dire “manifestazione”.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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