Scomunicata la fondatrice di "Noi siamo Chiesa". Celebrava Messa in casa senza preti

Il vescovo di Innsbruck consegna il decreto del Sant’Uffizio a Martha e Gert Heizer, che sfidavano il Vaticano sulla questione del sacerdozio femminile. Ma loro lo respingono

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“Marta, Marta, tu ti agiti e ti affanni per molte cose…”, verrebbe da dire alla signora Martha Heizer, scomunicata ieri dal Vaticano insieme al marito, dopo essersi ‘affaticata’ per anni in una lotta estenuante per un rinnovamento della Chiesa, in particolare riferito alla questione del sacerdozio femminile.

Del resto era stata la stessa docente di religione di Innsbruck, co-fondatrice e direttrice dell’organizzazione «Noi siamo Chiesa», ad annunciare tempo fa che avrebbe “sfidato” la Santa Sede su tale problematica, anche a costo di rischiare la scomunica. 

Ha quindi proseguito la sua protesta arrivando a celebrare l’Eucarestia nella propria casa di Absam, piccolo comune nei pressi del capoluogo tirolese, in assenza di sacerdoti, alla presenza di altri fedeli e insieme al marito Gert.

Per la teologa, dunque, la sua battaglia progressista giunge al capolinea con il decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ricevuto ieri sera dalle mani del vescovo di Innsbruck, mons. Manfred Scheuer. Pur avendo messo in conto di ricevere la scomunica da Roma, la coppia tuttavia si è dichiarata ugualmente sbalordita per la decisione di Papa Francesco.

Il caso Heizer non è una novità. A capo di “Noi siamo Chiesa”, organizzazione cattolica tra le più critiche verso la Chiesa e il suo Magistero, da diversi anni la 67enne tirolese cerca di far sentire la sua voce alla gerarchia ecclesiastica. Il punto di svolta fu però il 2011, quando, a seguito di diverse proteste e insistenti proposte di riforme della donna e del suo movimento, la Congregazione per la Dottrina della Fede decise di istituire una commissione sul caso.

Il dubbio sollevato dalla Heizer sulla facoltà della Chiesa di conferire l’ordinazione presbiterale alle donne fu presto bollato con un secco “no” dell’allora prefetto della Congregazione, il cardinale Joseph Ratzinger, che aveva risposto al quesito con la Dottrina della Lettera apostolica di San Giovanni Paolo II «Ordinatio sacerdotalis».

Il responso negativo alla questione delle donne-prete è “definitivo”, affermò l’attuale Papa emerito, spiegando che la Dottrina è una ed è fondata sulla Parola di Dio conservata e applicata nella Tradizione della Chiesa, sin dalle origini. Ciò spiega perché Papa Francesco ci tenga a ripetere spesso a teologi e sacerdoti: “Non siamo padroni della Dottrina, ma solo depositari”. In particolare, il ministero sacerdotale cristiano – ricordava Ratzinger – è radicato nel Nuovo Testamento, che dal principio veniva conferito solo agli uomini.

Quindi, per la Commissione del Sant’Uffizio – la stessa che ha proceduto ora alla scomunica – la questione era chiusa. Ma la signora Heizer non si è data per vinta e ha cominciato a celebrare le sue Messe casalinghe, in una modalità (nella propria abitazione, senza preti, davanti ad altri fedeli) che per il Dicastero custode dell’ortodossia cristiana avrebbe rappresentanto una “profanazione” del Sacramento dell’Eucarestia. La sentenza, dunque, non poteva essere che una: delicta graviora.

E su questo punto i coniugi Heizer proprio non ci stanno: “Ci indigna profondamente il fatto di ritrovarci nella stessa categoria dei preti colpevoli di abusi”, hanno affermato in un comunicato diffuso ieri. Per la Chiesa, infatti, nell’elenco dei delicta graviora risultano anche la pedofilia e i crimini contro la Penitenza. I due si dicono quindi profondamente “amareggiati”, soprattutto perché – scrivono – “non conosciamo un solo caso in cui un colpevole di abusi sia stato scomunicato”.

Scioccati da questa, a parer loro, drastica decisione, Martha e Gert hanno perciò respinto il decreto proveniente dal Vaticano – come riportato dal giornale Tiroler Tageszeitung – rimettendolo nelle mani del vescovo che aveva voluto consegnarlo personalmente. “Non abbiamo accettato il decreto – ha spiegato la coppia – ma al contrario lo abbiamo respinto. Non abbiamo mai accettato il processo nella sua struttura e conseguentemente non accettiamo neanche la condanna”.

Neanche la scomunica allora fermerà i due incorreggibili coniugi, che infatti promettono: “Continueremo a impegnarci con maggior forza per la riforma della Chiesa cattolica. Proprio questo modo di procedere mostra con quanta urgenza essa abbia bisogno di un rinnovamento”.

Il movimento “Wir sind Kirche – Noi siamo Chiesa” è oggi una delle organizzazioni progressiste più numerose e attive in tutta Europa. Nata intorno a un piccolo gruppo di cattolici di Innsbruck, capitanato oltre che Martha anche da Thomas Plankesteiner, nell’aprile 1995 pubblicò un “Appello dal popolo di Dio” rivolto alla gerarchia della Chiesa per ottenere riforme come l’introduzione del sacerdozio femminile, una maggiore democrazia ecclesiastica, l’abolizione del celibato dei preti e un adeguamento “moderno” della morale sessuale.

Il testo ebbe ampia eco in Europa, in particolare in Austria e Germania dove raccolse rispettivamente 505mila e 1,8 milioni di firme. Meno invece in altri paesi. In Italia, ad esempio, aderirono in 35mila all’appello. Le firme furono consegnate in Vaticano nell’ottobre del ’97 da circa 500 delegati di tutta Europa, e fu scritta anche una lettera a papa Wojtyla che però non ottenne risposta. Come, d’altronde, non ottenne risposta nessuno dei “rinnovamenti” proposti.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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