Lettura
Nell’ultima parte del viaggio verso Gerusalemme, Luca colloca la parabola del fariseo e dell’esattore delle tasse, due figure tipiche del tempo, che rappresentano due maniere diverse di pregare nel tempio e, in qualche modo, di vivere la vita. Quella del fariseo è una preghiera ineccepibile sul piano formale, ma sterile, perché finalizzata solo alla propria esaltazione. La preghiera dell’esattore delle tasse, invece, assume i tratti propri di quella del povero, che riconosce la propria condizione e si rimette completamente a Dio. L’agire di Dio sovverte le logiche umane, donando la giustizia al pubblicano e lasciando il fariseo prigioniero nella sua auto-giustificazione.
Meditazione
La preghiera è il riflesso della vita. In essa l’uomo può scoprire la verità della propria esistenza e il centro propulsore dei propri pensieri, delle proprie scelte, dei propri comportamenti. Nella preghiera il credente scopre anche il proprio cammino di conversione e trova la forza per poterlo compiere. Ad una condizione: che la sua sia una preghiera capace di solcare il limite dell’io per farsi invocazione, ascolto, richiesta di perdono, adorazione, silenzio davanti al Tu di Dio. Quella del fariseo della parabola è una preghiera “atea”, senza Dio, capace solo di rappresentare una noiosa elencazione dei propri diritti, di avanzare un proprio credito nei confronti di Dio e di disprezzare gli altri per confermare la propria esaltata autostima. È una preghiera che avvita il fariseo attorno a se stesso e al proprio mondo, soffocandolo nella propria giustizia. Tale modo di pregare appartiene ad una vita nella quale si è dio di se stessi e non si cerca altro se non il riconoscimento da parte degli altri uomini. Gesù, del resto, lo dice molto chiaramente, quando, parlando degli scribi e dei farisei, così li descrive: «Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati rabbì dalla gente» (Mt 23,5-7). Il pubblicano, al contrario, spaesato e confuso, non ha il coraggio neanche di alzare lo sguardo e non riesce neppure a fare l’elenco dei propri peccati. Sa solo dire: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». È come un vaso vuoto, che chiede di essere colmato solo da Dio con la sua misericordia. Solo una preghiera così riflette una vita rigenerata dal gesto ricreatore di Dio. A noi la scelta di seguire questa via piuttosto che quella del fariseo.
Preghiera
Ti chiediamo, Maria, di insegnarci l’umiltà nella preghiera e nella vita. Soprattutto nel confronto con i fratelli.
Agire
Cercherò di riconciliarmi con me stesso peccatore per essere capace di ricevere la misericordia del Padre e la riconciliazione con gli altri.
Meditazione del giorno a cura di monsignor Pietro Maria Fragnelli, vescovo eletto di Trapani, tratta dal mensile Messa Meditazione, per gentile concessione di Edizioni ART. Per abbonamenti: info@edizioniart.it