Nuova Evangelizzazione e impegno culturale nella vita consacrata

Lezione inaugurale dell’anno accademico 2013-2014 presso l’Istituto di Teologia della Vita Consacrata “Claretianum”

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Riprendiamo di seguito il testo della lezione inaugurale del nuovo anno accademico presso l’Istituto di Teologia della Vita Consacrata “Claretianum”, tenuta ieri, mercoledì 23 di ottobre, da monsignor Enrico dal Covolo, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense. 

*** 

Reverendissimo Moderatore generale, Padre Josep Abella, Superiore dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria,

Chiarissimo Signor Preside, Padre Santiago M. González Silva,

Carissimi Confratelli Clarettiani,

Autorità accademiche, religiose e civili,

Ufficiali, Professori, Studenti, Personale ausiliario dell’Istituto,

Cari Ospiti e Amici tutti.

Prima di tutto desidero comunicarvi una convinzione che ho maturato lungo i miei tre anni di servizio come rettore della Pontificia Università Lateranense. Solo dopo entrerò nel merito di questa lezione inaugurale.

Penso che i quattro Istituti incorporati alla Facoltà di Sacra Teologia della nostra università – il Claretianum, appunto; e poi l’Augustinianum, l’Accademia Alfonsiana e il Camillianum – possano rappresentare altrettanti “fiori all’occhiello” della cosiddetta “università del papa”.

Ritengo poi che in un’eventuale – auspicabile, quanto urgente – riorganizzazione delle istituzioni accademiche pontificie, queste alte scuole di specializzazione vadano valorizzate in massimo grado. I corsi istituzionali di baccalaureato – importantissimi, perché “di base” – possono e devono essere ridimensionati: serve una loro razionalizzazione, anzitutto ai fini di un’ulteriore qualificazione accademica, in sinergia generosa e intelligente con tutte le università pontificie romane.

Occorre invece potenziare, ed eventualmente moltiplicare, le specializzazioni dei cicli di licenza e di dottorato: proprio come la nostra specializzazione nella teologia della vita consacrata.

Così voi vi state già muovendo nello spirito della riforma, che è urgente promuovere. Vi ringrazio per il lavoro egregio che andate facendo. Vi assicuro che esso è apprezzato nella Chiesa e nel mondo, forse più di quanto voi stessi ve ne accorgiate.

Ringrazio in modo speciale il vostro Superiore generale per l’impegno appassionato e per l’investimento intelligente di risorse che egli non cessa di profondere nelle istituzioni accademiche clarettiane. Sono certo che la collaborazione generosa dei Clarettiani con l’università del papa – collaborazione che è tuttora in crescita – darà frutti abbondanti di bene e di fecondità vocazionale al vostro Istituto e alla Chiesa intera.

Il tema che mi è stato proposto per questa lezione è appassionante: “Nuova evangelizzazione e impegno culturale nella vita consacrata”.

Si tratta per me di un tema appassionante – come ho appena detto –, anche perché ho avuto la grazia di partecipare personalmente alla tredicesima assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi, sul tema: “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”.

Il contesto storico e culturale era davvero interessante. Il sinodo è iniziato il 7 ottobre 2012. Pochi giorni dopo, l’11 ottobre, ricorreva il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio ecumenico vaticano II, uno degli eventi più importanti del secolo scorso. Chi tra noi non ricorda, almeno per averla vista nei repertori d’archivio, quell’immagine multicolore di vescovi, che attraversavano in processione la piazza San Pietro, per entrare nell’aula conciliare? Chi non ricorda quel piacevolissimo intervento del beato papa Giovanni XXIII – prossimo ora alla canonizzazione –, quella specie di buona notte, che è passata alla storia come il “discorso della luna”, nella sera dell’11 ottobre 1962? “Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera”, osservò in quell’occasione il papa buono, parlando a braccio dalla finestra del palazzo apostolico. “Osservatela lì, in alto, a guardare questo spettacolo… Tornando a casa, voi troverete i vostri bambini. Date a loro una carezza, e dite: Questa è la carezza del papa!”.

Nella sua bontà – benché io fossi vescovo da appena due anni –, Benedetto XVI mi ha invitato a prendere parte al sinodo. Stavo seduto nell’ultima fila dei vescovi, proprio perché ero tra quelli di nomina più recente. Dietro di me c’erano i Superiori generali degli Istituti di vita consacrata, tra cui il vostro Superiore. C’era anche il mio Rettor maggiore.  Ogni tanto io mi giravo indietro, e facevamo qualche commento tra di noi. Così, per la nostra indisciplina, il settore ha ottenuto da qualche illustre padre sinodale il titolo – non proprio onorifico – di  “curva sud del sinodo”…

Da parte mia, ho potuto dire qualche cosa su questo tema, che mi sta molto a cuore: il ruolo delle scuole e delle università per la nuova evangelizzazione.

Si trattava di formulare proposte valide per la formazione dei giovani e per una felicità più piena delle donne e degli uomini, in questa società dilaniata e divisa, senza pace. Sta qui la differenza sostanziale tra la proposta di fede della Chiesa e i proselitismi e i fondamentalismi di ogni marca. La proposta della fede è totalmente libera, e si avvale semplicemente della sua validità intrinseca, oggettiva, che ogni donna e ogni uomo devono valutare, ben al di là di qualsiasi dogmatismo.

*

Trascorro finalmente al testo di questa lezione inaugurale.

La  articolerò in due momenti fondamentali.

Anzitutto cercherò di delineare un quadro plausibile di riferimento. Vorrei richiamare, in estrema sintesi, la dottrina della Chiesa sul tema in esame, dall’esortazione apostolica Vita Consecrata (1996) fino al sinodo per la nuova evangelizzazione (2012), passando attraverso l’istruzione Ripartire da Cristo (2002).[1]

In secondo luogo tenterò di applicare questa dottrina della Chiesa – che riguarda l’impegno della vita consacrata per la (nuova) evangelizzazione della cultura – alle nostre istituzioni universitarie, cioè alla nostra missione specifica, accennando a due linee operative, che considero prioritarie: la cultura della qualità accademica e la pastorale universitaria.

1. Il quadro generale di riferimento

1.1. L’esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata

E’ noto a tutti che l’esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata (d’ora in poi VC) – firmata dal beato papa Giovanni Paolo II il 25 marzo 1996 – rappresenta una tappa decisiva nella storia della vita consacrata, configurandosi come un’approfondita e puntuale attualizzazione del decreto conciliare Perfectae caritatis.[2]

In particolare, il n. 98 dell’esortazione (Evangelizzare la cultura) contiene la riflessione magisteriale più ampia e articolata sul tema che ci interessa.

Lo riprendiamo puntualmente.

Il paragrafo rileva anzitutto che gli Istituti di vita consacrata hanno sempre avuto un grande influsso nella formazione e nella trasmissione della cultura. Ciò è accaduto nel medioevo, quando i monasteri divennero luoghi di accesso alle ricchezze culturali del passato e di elaborazione di una nuova cultura umanistica e cristiana. Molte persone consacrate hanno promosso la cultura, e spesso hanno investigato e difeso le culture autoctone. Oggi, poi, il bisogno di contribuire alla promozione della cultura, al dialogo fra cultura e fede, è avvertito nella Chiesa in modo tutto particolare.[3]

I consacrati – prosegue il nostro testo – non possono non sentirsi interpellati da questa urgenza. Anch’essi sono chiamati a individuare, nell’annuncio della parola di Dio, metodi più appropriati alle esigenze dei diversi gruppi umani e dei molteplici ambiti professionali, perché la luce di Cristo penetri ogni settore umano, e il fermento della salvezza trasformi dall’intern
o il vivere sociale, favorendo l’affermarsi di una cultura permeata dai valori evangelici.

Ma, al di là del servizio rivolto agli altri – e qui il testo magisteriale assume i toni di un esame di coscienza e di un pressante appello rivolto a ciascuno di noi –, anche all’interno della vita consacrata c’è bisogno di rinnovato amore per l’impegno culturale, di dedizione allo studio come mezzo per la formazione integrale e come percorso ascetico, straordinariamente attuale, di fronte alla diversità delle culture. Diminuire l’impegno per lo studio può avere pesanti conseguenze anche sull’apostolato, generando un senso di emarginazione e di inferiorità, o favorendo superficialità e avventatezza nelle iniziative.

Nella diversità dei carismi e delle reali possibilità dei singoli istituti – precisava ancora Giovanni Paolo II – l’impegno dello studio non si può ridurre alla formazione iniziale o al conseguimento di titoli accademici e di competenze professionali. Esso è piuttosto espressione del desiderio mai appagato di conoscere più a fondo Dio, abisso di luce e fonte di ogni umana verità. Per questo, tale impegno non isola la persona consacrata in un astratto intellettualismo, né la rinchiude nelle spire di un soffocante narcisismo; piuttosto, esso sprona al dialogo e alla condivisione, è formazione alla capacità di giudizio, è stimolo alla contemplazione e alla preghiera, nella continua ricerca di Dio e della sua azione nella complessa realtà del mondo contemporaneo.

Così la persona consacrata, lasciandosi trasformare dallo Spirito, diventa capace di ampliare gli orizzonti degli angusti desideri umani e, nello stesso tempo, di cogliere le dimensioni profonde di ogni individuo e della sua storia, al di là degli aspetti più vistosi, ma spesso marginali.

<p>Innumerevoli sono oggi i campi di sfida che emergono dalle varie culture: ambiti nuovi o tradizionalmente frequentati dalla vita consacrata, con i quali urge mantenere fecondi rapporti, in atteggiamento di vigile senso critico, ma anche di fiduciosa attenzione verso chi affronta le difficoltà tipiche del lavoro intellettuale, specie quando, in presenza degli inediti problemi del nostro tempo, occorre tentare analisi e sintesi nuove.

Una seria e valida evangelizzazione dei nuovi ambiti in cui si elabora e si trasmette la cultura – così termina il nostro paragrafo – non può essere operata senza un’attiva collaborazione con i laici che vi sono impegnati.[4]

2.2. L’istruzione Ripartire da Cristo

Come ho già anticipato, questo denso passaggio dell’esortazione Vita Consecrata rimane il testo più diffuso e approfondito fra gli interventi del recente magistero sul tema in esame.

Assai più conciso è il relativo paragrafo dell’istruzione Ripartire da Cristo. Un rinnovato impegno della vita consacrata nel terzo millennio, promulgata dalla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica il 19 maggio 2002, all’indomani – si può dire – della conclusione del grande giubileo per l’anno duemila.[5]

Si legge al n. 39 del documento: “Bisogna promuovere all’interno della vita consacrata un rinnovato impegno culturale che consenta di elevare il livello della preparazione personale e prepari al dialogo fra mentalità contemporanea e fede, per favorire” – e questo è un elemento nuovo, sul quale dovremo ritornare – “anche attraverso proprie istituzioni accademiche, un’evangelizzazione della cultura intesa come servizio alla verità”.

3.3. Il sinodo sulla nuova evangelizzazione

Siamo ancora in attesa dell’esortazione apostolica postsinodale. Nel frattempo, possiamo riferirci al messaggio finale dei padri sinodali (Nuntius) e alle Propositiones conclusive inviate al papa.

Leggiamo nel n. 7 del messaggio finale: “Il dono di Dio, che la fede rende presente, non è semplicemente la promessa di condizioni migliori in questo mondo, ma l’annuncio che il senso ultimo della nostra vita è oltre questo mondo, in quella comunione piena con Dio che attendiamo alla fine dei tempi. Di questo orizzonte ultraterreno del senso dell’esistenza umana sono particolari testimoni nella Chiesa e nel mondo quanti il Signore ha chiamato alla vita consacrata; una vita che – proprio perché totalmente consacrata a lui nell’esercizio di povertà, castità e obbedienza – è il segno di un mondo futuro che relativizza ogni bene di questo mondo. Dall’assemblea del sinodo dei vescovi giunga a questi nostri fratelli e sorelle:

– la gratitudine per la loro fedeltà alla chiamata del Signore e per il contributo che hanno dato e danno alla missione della Chiesa;

– l’esortazione alla speranza in situazioni non facili anche per loro in questi tempi di cambiamento;

– l’invito a confermarsi come testimoni e promotori di una nuova evangelizzazione nei vari ambiti di vita in cui il carisma di ciascuno dei loro istituti li colloca”.

Più stringato è il testo della Propositio 50, che recita così: “Il sinodo chiede agli ordini religiosi e alle congregazioni di essere totalmente disponibili per andare alle frontiere… culturali dell’evangelizzazione”.

2. Le istituzioni accademiche della vita consacrata per la nuova evangelizzazione

Non c’è bisogno di commentare ulteriormente i testi addotti.

Nel complesso, essi forniscono alla nostra riflessione un quadro di riferimento plausibile. Se ne deve cogliere soprattutto l’istanza fondamentale, che la vita consacrata continui a impegnarsi efficacemente in una rinnovata evangelizzazione della cultura, valorizzando per questo i carismi propri e gli ambiti di azione caratteristici di ogni istituto.

Ma l’istruzione Ripartire da Cristo – pur nella concisione con cui affronta il tema – introduce un elemento nuovo, su cui imposterò la seconda parte della mia lezione. Come abbiamo letto, il documento afferma che nel rinnovato impegno di evangelizzazione della cultura gli istituti di vita consacrata devono operare “anche attraverso proprie istituzioni accademiche” (n. 39).

E’ precisamente il nostro caso. Ci è offerta un’opportunità che non dobbiamo sciupare.

A questo punto, però, la domanda che ci guida diventa la seguente: come le istituzioni accademiche della vita consacrata – e in modo speciale il “Claretianum” – devono impegnarsi per una nuova evangelizzazione della cultura? Quali mezzi, quali strategie conviene privilegiare?

Come potete ben comprendere, sono queste delle domande da cento milioni, e nessuno di noi può pretendere di averne in  tasca la risposta esclusiva.

D’altra parte, siccome sono stato invitato io a tenere questa lezione inaugurale, vi dirò quello che penso, senza pretendere di imporre il mio punto di vista – sostenuto peraltro da oltre quarant’anni di esercizio salesiano della missione educativa e di insegnamento in diverse scuole superiori e università –.

Ecco, io credo che per raggiungere il nostro scopo – cioè la (nuova) evangelizzazione della cultura attraverso le nostre istituzioni accademiche – siano da privilegiare due linee di azione: la cultura della qualità accademica e la pastorale universitaria.

2.1.  La cultura della qualità accademica

Mi riferisco a un libro recente e autorevole, che molti di voi conoscono. Esso si intitola così: La cultura della qualità.[6] Ma che cosa significa cultura della qualità accademica? E soprattutto, che cosa intendiamo qui per promozione della qualità?

“Promuovere la qualità di una università/facoltà” – risponde il nostro volume – “significa evidenziare il valore delle attività svolte da tale istituzione, consolidarne gli aspetti positivi e, laddove necessario, migliorare quelli carenti. A tale scopo risulta appropriata l’azio
ne valutativa. Occorre, perciò, in primo luogo identificare i criteri che, sulla base della sua missione, ne definiscono la qualità [si continua a parlare, come è evidente, di una università/facoltà]. In secondo luogo, è necessario raccogliere informazioni pertinenti, valide e affidabili circa lo svolgersi dell’attività istituzionale secondo i criteri precedentemente identificati. Infine, va espresso un giudizio di merito, a partire dai suddetti criteri, circa la qualità dell’attività svolta, tenendo conto delle informazioni raccolte” (CQ, p. 27).

         Cerco di co-stringere al massimo i contenuti del volume, ai fini delle nostre argomentazioni.

         Per realizzare concretamente l’idea autentica di università[7]–idea gravemente compromessa, o addirittura rinnegata, dalla cultura imperante – è indispensabile che la cultura della qualità divenga lo stile della vita accademica ordinaria.

Ciò significa che le iniziative messe in atto per la promozione della qualità – pur con i loro eventuali limiti – non dovranno mai essere viste come un atto burocratico, fiscale, che bisogna pur adempiere (con un fastidio più o meno celato); e prima finiscono, meglio è: via il dente, via il dolore!

         Significa piuttosto essere intimamente persuasi che le varie iniziative di valutazione e di promozione della qualità non puntano tanto a premiare o a punire un’istituzione accademica, un corso, un professore, un’attività… Si propongono invece di migliorare la possibilità di raggiungere i fini, per cui l’istituzione, il corso, il professore… agiscono. “Si tratta di offrire un sostegno alla realizzazione del processo formativo nel suo insieme e alla ricerca, e non di attuare una sorta di controllo fiscale o sanzionatorio” (CQ, p. 4).

Da questo punto di vista, la valutazione e la promozione della qualità, con le iniziative connesse, devono rappresentare una sollecitudine permanente delle nostre facoltà.

Così ritengo che il volume preparato dalla Congregazione per l’educazione cattolica possa costituire un punto sicuro di riferimento. Rappresenta anche un’ottima guida per l’autovalutazione: in verità, dobbiamo persuaderci che il protagonista più efficace della cultura della qualità è ciascuno di noi, ogni persona che partecipa alla vita dell’università.

2.2. La pastorale universitaria

Le riflessioni che svolgerò in questo paragrafo valgono per tutte le istituzioni accademiche. Bisognerà poi adattarle all’istituzione specifica, a cui ci si riferisce. Per esempio, il “Claretianum” ha una configurazione peculiare, dato che di norma i suoi studenti sono persone consacrate.

In ogni caso – come vedremo – il discorso della pastorale universitaria resta importante anche qui: anzitutto perché favorisce il dialogo della vita consacrata con la cultura contemporanea; e poi in vista della missione, che sempre di più richiede la presenza di persone consacrate nelle istituzioni accademiche. 

Ma che cosa bisogna intendere esattamente, quando si parla di pastorale universitaria?

La pastorale universitaria va compresa come accompagnamento efficace di tutti i membri della comunità accademica – un vero e proprio orientamentoverso la loro formazione integrale.

In maniera coerente, occorre chiarire un possibile malinteso (spesso ideologico; o forse dovuto anche al sostantivo che viene abitualmente impiegato: pastorale, appunto). E lo facciamo in maniera decisa, per essere chiari in massimo grado: la pastorale universitaria non è una roba da preti.

Al contrario, la pastorale universitaria – intesa nel modo che abbiamo detto – riguarda tutti i membri della comunità accademica: ognuno di loro ne è responsabile e protagonista, nessuno escluso, dal rettore al personale ausiliario.

Vale anche qui la regola d’oro della pedagogia. L’insostituibile protagonista del processo educativo – ferma restando l’azione dello Spirito e della sua grazia – è il formando stesso, e dunque ciascuno di noi. La formazione è prima di tutto autoformazione.

Così la pastorale (universitaria) deve essere sempre condotta nel rispetto pieno della libertà personale, e nella sollecitazione intelligente e appassionata delle migliori energie spirituali di ciascuno.

L’aula del corso accademico è il primo luogo della pastorale universitaria. E’ lì che il docente – come un buon pastore – promuove nello studente l’integrazione feconda tra fede e ragione, tra scienza e vita, qualunque sia la facoltà (o le discipline) dell’insegnamento.

“Lo sguardo della scienza riceve un beneficio dalla fede: questa invita lo scienziato a rimanere aperto alla realtà, in tutta la sua ricchezza inesauribile. La fede risveglia il senso critico, in quanto impedisce alla ricerca di essere soddisfatta nelle sue formule, e la aiuta a capire che la natura è sempre più grande. Invitando alla meraviglia davanti al mistero del creato, la fede allarga gli orizzonti della ragione, per illuminare meglio il mondo che si schiude agli studi della scienza” (Lumen Fidei 34).

In queste parole di papa Francesco, che ho appena citato, possiamo raccogliere il frutto maturo dell’anno della fede, e confermare l’impegno della vita consacrata – attraverso le “proprie istituzioni accademiche” – per l’evangelizzazione della cultura. In particolare, è d’obbligo per noi la ricezione attenta e grata della seconda parte dell’enciclica (Se non crederete, non comprenderete, nn. 23-36), articolata nei seguenti paragrafi: Fede e verità; Conoscenza della verità e amore; La fede come ascolto e visione; Il dialogo tra fede e ragione; La fede e la ricerca di Dio; Fede e teologia.

E’ vero allora che la pastorale universitaria non è qualche cosa di periferico (o di lodevolmente affiancato) alla vita accademica vera e propria.

E’ vero, invece, il contrario.

La pastorale universitaria – che accompagna esistenzialmente gli studenti e i docenti nel conseguimento dell’universitas scientiarum, cioè della Verità tutta intera («La domanda sulla Verità… è una domanda sull’origine di tutto, alla cui luce si può vedere la mèta, e così anche il senso della strada comune»: Lumen Fidei 25) –; ebbene, la pastorale universitaria scorre attraverso le varie discipline, come scorre attraverso la convivenza quotidiana dei vari membri della comunità accademica.

Tutto questo – si noti – vale anche a prescindere dalla tipologia istituzionale dell’università (se statale, libera, cattolica o pontificia…). Vale per ogni università che voglia essere degna di questo nome.

In realtà, la pastorale universitaria (correttamente intesa) salvaguarda e garantisce l’idea stessa di università, così come ci è stata trasmessa, a partire dalla fondazione delle università più antiche. Di fatto, la mèta ultima da perseguire nelle accademie è la sintesi filosofico-teologica, attraverso un dialogo inesausto tra fede e ragione, tra la scienza di Dio e le scienze dell’uomo.

Si tratta di una sfida immane, in controtendenza totale rispetto ad altre idee di università (le idee di multiversità, di politecnico,e simili), che oggi sembrano prevalere.

Come osserva Laurent Lafforgue in un saggio veramente ispirato, oggi “scienziati e credenti sono diventati quasi due umanità distinte, che si temono l’un l’altra come temono l’immagine della propria notte. Grande è diventata la tentazione, per quell’impresa originariamente cattolica che è l’università, di pensare di uscire dalla propria notte perdendo la fede. E in effetti, la mag
gior parte degli universitari ha perso la fede. Ma se la fede fosse vana, l’università non avrebbe nessun senso. E se la fede fosse totalmente perduta, non ci sarebbe più università. Grande è diventata anche la tentazione, per i credenti, di abbandonare l’università, di disinteressarsi delle scienze in nome della fede. Ma a che vale una fede che rifiuta la notte? Non è in nostro potere di uscire dalla notte con le nostre forze, crederlo sarebbe mentire a noi stessi. Ci è solo chiesto di restare fedeli alla verità, di cercarla nelle nostre notti, di amarla e di servirla”.[8]

La pastorale universitaria, assumendo senza riserve questa missione accademica, accompagna i suoi destinatari verso la maturazione di una vera e propria sintesi esistenziale tra fede, ragione ed esperienza di vita. Si tratta, ovviamente, di una sintesi sapienziale, robustamente caratterizzata dal punto di vista filosofico e teologico.

In vista di tale mèta, la pastorale coinvolge gli universitari a 360°, dalla testa ai piedi

3. Conclusione

Edgar Morin, in un testo assai diffuso, ha delineato con chiarezza l’obiettivo formativo, a cui l’università deve puntare. Questo obiettivo vale anche (e forse a maggior ragione) per chi – come noi – intende (ri)evangelizzare la cultura attraverso le istituzioni accademiche della vita consacrata.

Si tratta in effetti di un’osservazione di sintesi, con la quale possiamo concludere le nostre riflessioni: “L’obiettivo della formazione”, scrive questo filosofo francese, ancora vivente, salutato dai media,in maniera un po’ enfatica, come il padre del pensiero della complessità nel tempo della globalizzazione; ebbene, secondo Morin “l’obiettivo della formazione non è dare all’allievo una quantità sempre maggiore di conoscenze, ma è costituire in lui uno stato interiore profondo, una sorta di polarità dell’anima che lo orienti in senso definitivo, per tutta la vita. Ciò significa che imparare a vivere richiede non solo conoscenze, ma la trasformazione, nel proprio essere mentale, della conoscenza acquisita in sapienza, e l’incorporazione di questa sapienza nella propria vita”.[9]

Personalmente sono sempre più convinto che – di fronte all’emergenza educativa e alla crisi globale dei valori – una risposta per uscire dalla crisi c’è. E noi l’abbiamo a portata di mano, questa risposta, a volte senza neanche rendercene ben conto: la risposta è una università/facoltà che funzioni bene, un luogo che sia autentica formazione dei formatori.

Proprio qui risiede la missione peculiare delle istituzioni accademiche per la nuova evangelizzazione. “Un posto speciale” – hanno scritto i vescovi nel loro messaggiofinale del sinodo sulla nuova evangelizzazione– “un posto speciale lo occupano le istituzioni formative e di ricerca: scuole e università. Ovunque si sviluppano le conoscenze dell’uomo e si dà un’azione educativa, la Chiesa è lieta di portare la propria esperienza e il proprio contributo per una formazione della persona nella sua integralità. In questo ambito va riservata particolare cura alla scuola cattolica e alle università cattoliche, in cui l’apertura alla trascendenza, propria di ogni sincero itinerario culturale e educativo, deve completarsi in cammini di incontro con l’evento di Gesù Cristo e della sua Chiesa” (n. 10).

Purché l’università rimanga fedele a se stessa, alla sua identità e alla sua missione originaria; luogo di promozione della vera cultura; palestra di dialogo inesausto tra la fede e la ragione.[10]

                                                                           + Enrico dal Covolo, S.D.B.

*

NOTE

[1] Sul percorso storico della vita consacrata dal Concilio a oggi – anche con riferimento al nostro tema specifico – la bibliografia è sterminata. Per completare il segmento storico da me evocato, e considerare gli anni del Pre-concilio e del Concilio fino a Vita Consecrata, si può consultare per esempio l’efficace sintesi di Pier Giordano Cabra, Tempo di prova e di speranza. Il cammino della vita consacrata dal Vaticano II ad oggi, Ancora, Milano 2005.

[2] Venticinque anni dopo Vita Consecrata, la Pontificia Università Lateranense, in collaborazione con l’Istituto “Claretianum”, ha inteso rivisitarne i contenuti, precisamente il 25 marzo 2011. Si può vedere il volumetto curato da Marco Cardinali, Alle sorgenti della vita. Invito alla lettura dell’Esortazione Apostolica Vita Consecrata, Lateran University Press, Città del Vaticano 2011. Oltre al mio intervento introduttivo (Alle sorgenti cristologico-trinitarie della vita consacrata. Invito alla lettura dell’Esortazione Apostolica, pp. 9-19), qui interessa soprattutto il contributo di Enrica Rosanna (Intraprendenza, Inventiva e Santità: invito profetico e strada percorsa. Riflessioni su Vita Consecrata 37, pp. 41-60). E’ ben noto che una buona parte dei nostri carismi rischia di soffrire una sorta di anacronismo culturale, se essi non vengono attualizzati con “fedeltà creativa”, cioè “con l’intraprendenza, l’inventiva e la santità dei fondatori” (VC 37).

[3] Si noti: ancora non era stata pubblicata l’enciclica Fides et Ratio (che è del 14 settembre 1998). Essa ha contribuito decisamente alla riflessione sul tema, e ne ha tenuto desto l’interesse fino a oggi: basta rileggere il n. 32 di Lumen Fidei.

[4] Per un commento ai lavori sinodali, che avrebbero poi condotto alla stesura di questo paragrafo 97 di VC, vedi per esempio M. Anna Maria Balducci, La cultura e la vita consacrata, in C.I.S.M. – U.S.M.I., Il Sinodo dei Vescovi sulla Vita Consacrata, Editrice Rogate, Roma 1994, pp. 247-257. Vedi poi José  Rovira, Profeti per una nuova cultura. XXIII Convegno del Claretianum, “Testimoni” 4 (1998), 11-12.

[5] E’ noto che l’istruzione intendeva rispondere – per gli ambiti di propria competenza – alle istanze pastorali avanzate dalla lettera apostolica Novo Millennio Ineunte del beato papa Giovanni Paolo II (6 gennaio 2001).

[6] Cfr. La cultura della qualità. Guida per le Facoltà Ecclesiastiche, a cura della Congregazione per l’educazione cattolica (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011). D’ora in poi: CQ.

[7] Alludo, come è evidente, al celebre volume del beato cardinale John Henry Newman, The Idea of a University. Da qualche anno esso è disponibile anche in lingua italiana, grazie alle cure di Angelo Bottone e di Vincenzo Cappelletti (L’idea di università, Edizioni Studium, Roma 2005). L’idea di università è pure il titolo del recente fascicolo della Rivista «Communio», n. 235 (2013) [qui interessa specialmente per le pp. 7-86, e in particolare per il saggio di Jean-Robert Armogathe, Newman rivisitato, pp. 77-86]. L’idea newmaniana resta alla base della cospicua riflessione di J. Raztinger-Benedetto XVI sull’università. Su questo, vedi ora, a cura di J. Steven Brown, Pope Benedict XVI. A reason open to God. On Universities, education & culture, The Catholic University of America Press, Washington, D.C. 2013. 

[8] Laurent Lafforgue, La ricerca ha un senso? Alcune note di un matematico cattolico, in «Communio» 235 [2013], pp. 14-27, qui 27.

[9] Edgar Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, p. 45.

[10] Per uno sviluppo ulteriore del tema si può vedere Angelo V. Zani – Michele Pellerey, Le istituzioni accademiche ecclesiastiche. Cultura della qualità e nuova
evangelizzazione
, LUP, Città del Vaticano 2012, soprattutto per le pp. 9-31. Vedi ancora Lumen Fidei 32-34 (Il dialogo tra fede e ragione).

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Enrico dal Covolo

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