Il primo giorno del mese di novembre si festeggiano, solennemente, tutti i santi uniti con Cristo nella Gloria. Una bellissima illustrazione della comunità di tutti i Santi viene offerta da Francesco di Giorgio Martini nella Incoronazione della Vergine conservata nella Pinacoteca Nazionale di Siena.z
La formazione artistica di Francesco di Giorgio Martini si compie nella bottega del Vecchietta, all’interno della tradizione senese, dalla quale ben presto si distacca guardando ai risultati prodotti dalla cultura fiorentina e umbra, concludendo infine la sua formazione con un soggiorno a Roma, compiuto quasi sicuramente tra il 1458 e il 1464, documentato in due taccuini colmi di disegni e annotazioni di ciò che aveva visto e studiato, spaziando in maniera versatile nei molti campi che vanno dalla pittura fino all’architettura.
L’opera di pittore di Francesco di Giorgio ben presto si intreccia con quella di architetto, con quella d’ingegnere civile e militare culminante nel notissimo Trattato di architettura, ingegneria e arte militare (1490 c.), ma anche con l’attività di miniatore e scultore della quale rimangono poche ma significative opere. Come il Vasari ci ricorda nelle Vite «Francesco di Giorgio scultor senese, il quale non manco fu eccellente e raro scultore ch’egli si fosse architetto, come apertamente mostrano le figure da lui dopo la morte lasciate a Siena sua patria»[1].
Questa capacità di abbracciare varie discipline artistiche fa di Francesco di Giorgio Martini un autentico rappresentante del pieno Quattrocento italiano, tutto versato nella complessa costituzione di una identità artistica capace di soddisfare in pieno una committenza colta ed esigente.
Il capolavoro pittorico di Francesco di Giorgio è proprio l’Incoronazione della Vergine eseguita nel 1472 come pala d’altare per la chiesa abbaziale di Monte Oliveto Maggiore. Questa complessa pala d’altare fu concepita nel contesto storico, culturale e spirituale dei monaci olivetani, congregazione benedettina fondata da Bernardo Tolomei tra il 1313 e il 1319, come conferma la Charta fundationis dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore, rilasciata dal Vescovo di Arezzo Guido Tarlati il 26 marzo 1319. I monaci olivetani hanno sempre indossato l’abito benedettino nella sua forma tradizionale: tonaca, scapolare con cappuccio, cintura, cocolla e mantello.
La differenza sta nel fatto che tutti questi indumenti nella regola olivetana sono di colore bianco e non nero, in netta distinzione nei riguardi dei monaci neri. La Abreviatio observantiae Ordinis Montis Oliveti del XV secolo evidenzia che il bianco è stato scelto come colore delle vesti dei monaci in onore della Vergine Maria, facendo anche riferimento alle apparizioni della Vergine al Vescovo Tarlati; anche fra’ Antonio da Barga, all’inizio del XV secolo, nelle sue cronache si sofferma a lungo sul simbolismo dell’abito bianco, a un tempo mariano, ascetico e battesimale. L’ordine olivetano ha dunque uno spiccato culto mariano, evidente fin dalla scelta del colore dell’abito.
Ma guardiamo più da vicino il dipinto. Su una superficie di tre metri e mezzo per due, sono rappresentate quasi cinquanta figure, organizzate in una fittissima e complessa composizione; si presentano, infatti, come un edificio architettonico di varii piani che fa da contorno, quasi la sorreggesse, alla scena principale dell’incoronazione di Maria Santissima regina del cielo, che avviene su una strana piattaforma circolare, al di sotto di una ancora più strana sezione circolare.
Di fronte a questa tavola, molte sono le domande che ci attraversano la mente. Innanzitutto, perché ci sono tanti personaggi e quale è la loro identità? E le figure più o meno alate, rosse, azzurre, nere, dorate e inghirlandate, chi sono e cosa fanno? Perché sembrano essere divise in fasce sovrapposte? Cosa sono quei dischi sui quali agiscono le figure di Cristo e Maria? E quella specie di portello d’astronave che si apre e dal quale sembra calarsi una figura da un’altra dimensione, che cos’é e cosa sta ad indicare?
Una prima risposta a tutte questa domande, come al solito, va cercata nella cultura e nella religiosità del tempo, che può essere rintracciata nei testi di spiritualità e nei testi letterari che maggiormente circolavano tra i fedeli e nei conventi.
Un testo sempre illuminante per comprendere il clima culturale e il contesto spirituale è ancora una volta l’importantissima Legenda Aurea scritta da Jacopo da Varazze, verso la fine del XIII secolo, per riordinare in modo coerente le vite dei santi, raccogliendo con un metodo maggiormente scientifico le testimonianze più degne di fede, seguendo nell’esposizione l’ordine dettato dal calendario liturgico, in modo da offrire un testo critico, aggiornato, pieno di innumerevoli citazioni, etimologie e approfondimenti teologici.
Entrando in questa mentalità, capiamo che il tema dell’incoronazione di Maria, regina degli angeli e di tutti i santi, rimanda innanzitutto alla comunità dei santi e alle schiere degli angeli. Dunque il capitolo della Legenda Aurea, che ci può maggiormente aiutare a comprendere il dipinto, è proprio quello dedicato alla festività di Ognissanti. In esso troviamo innanzitutto il nesso tra questa festa e l’incoronazione di Maria, secondo la sensibilità medievale e rinascimentale; infatti Jacopo da Varazze narra di una visione mariana che un uomo ebbe proprio nella festività di Ognissanti: «fu rapito in estasi, ed ecco che vide il Re dei Re seduto sul trono sublime, con attorno a lui tutti gli angeli. Giunse allora la Vergine delle Vergini con un diadema rifulgente, seguita dai continenti e dalle vergini. Il Re si alzò, fece porre un seggio e la fece sedere accanto a sé» [2].
Risulta inoltre particolarmente interessante la narrazione di come e perché è stata istituita questa festa: «I Romani infatti, quando furono padroni di tutto il mondo, costruirono un tempio immenso [...] più solenne e grandioso di tutti gli altri, in onore di tutti gli dei, e gli dettero nome Pantheon, cioè “tutti gli dei”, poiché pan significa “tutto” e theos “dio”. [...] Al tempo dell’imperatore Foca, quando Roma aveva già da tempo ricevuto la fede del Signore, Bonifacio [3], quarto papa dopo Gregorio Magno, verso il 605, ottenne da Foca quel tempio, lo liberò dall’immondizia degli idoli, e lo consacrò, il 12 maggio in onore della Beata Maria e di tutti i martiri, e chiamò quel luogo “Santa Maria ai Martiri”[...] La chiesa non celebrava ancora la solennità dei confessori, ma di fatto una gran folla conveniva per questa ricorrenza [...] un papa di nome Gregorio fissò questa ricorrenza al primo novembre [...] e ordinò che in tutto il mondo in questa data si celebrasse solennemente la ricorrenza di Ognissanti, e così accadde che il tempio fabbricato in onore di tutti gli idoli è divenuto il tempio di tutti i santi, e dove prima si venerava la moltitudine degli idoli oggi si venera la moltitudine dei santi» [4]. Dunque, comprendiamo che il luogo dell’incoronazione di Maria va individuato nel tempio di tutti i santi, nel cuore e nel culmine dello spazio celeste.
Possiamo comprendere l’opera proprio come un “pantheon”: la struttura architettonica composta di figure rappresenta il “tempio di tutti i santi”, edificato con i loro stessi corpi. Gli attributi, gli atteggiamenti, gli abiti, secondo il linguaggio della tradizione, individuano precise figure dell’agiografia. Si noti per esempio la fanciulla recante un fiore, posta in basso al centro: in essa possiamo sentire risuonare le parole di Cipriano, riportate con opportunità da Jacopo da Varazze: «dice Cipriano: La verginità è il fiore della pianta della Chiesa, splendore e ornamento della grazia spirituale»[5].
Partendo dall’ alto, possiamo individuare nella fascia superiore, separati da un marcapiano, profeti e patriarchi divisi in due gruppi, ruotanti rispettivamente attorno alla figura di Re David e di san Giovanni Battista. Immediatamente sotto alla fascia dei patriarchi e dei profeti, possiamo scorgere nella fascia centrale a destra e sinistra del trono dove la Beata Vergine viene incoronata, due gruppi di apostoli, a sinistra Andrea, Giacomo e Pietro e a destra Giovanni, Paolo e Giacomo il maggiore. Nella riga inferiore, tra i martiri si distinguono nettamente Stefano e Cosma a sinistra, Lorenzo e Damiano a destra; nella riga ancora inferiore, riconosciamo i grandi santi legati alla tradizione del monachesimo tra i quali, ovviamente, Benedetto, Antonio abate e Paolo eremita, fino a giungere alle vergini dove si individuano facilmente Orsola, Margherita a sinistra e Caterina d’Alessandria e Cecilia a destra. Dunque, nei numerosi personaggi che affollano il dipinto possiamo riconoscere i santi di cui Maria è regina.
In questo corteo celeste, si possono a questo punto decifrare anche le strane figure variamente alate e colorate: si tratta di angeli, differenziati con molta precisione nella successione gerarchica dei nove cori angelici; serafini, cherubini, troni, dominazioni, potestà, virtù, principati, arcangeli e angeli formano una successione di dimensioni intermedie che convergono verso Dio Padre: «Poiché dunque l’unico principe è Dio, il quale è capo non solamente di tutti gli angeli, ma altresì degli uomini e di tutto il creato, ne segue che una sola è pure la gerarchia non solo di tutti gliangeli, ma anche di tutte le creature razionali, atte a partecipare le cose sante» [6].
Per esempio, i Troni vengono rappresentati sotto i piedi di Maria e di Cristo, e Tommaso d’Aquino ricorda che secondo Dionigi essi vanno interpretati anche in analogia con i troni materiali, e dunque «il trono accoglie la persona che vi siede e questa può anche essere trasportata. E così questi angeli accolgono in se stessi Dio, e in certo qual modo lo portano agli angeli inferiori […] il trono è aperto davanti per ricevere chi vi deve sedere. E nello stesso modo anche questi angeli sono aperti, con la loro prontezza, ad accogliere Dio e a prestargli servizio» [7].
Francesco di Giorgio costruisce un dipinto che è una vera e propria rappresentazione dell’architettura del cielo, dove architravi e colonne, muri e archi sono costituiti dal corpo mistico della Chiesa che nel cielo canta le lodi in un coro sconfinato; come ricorda Guglielmo d’Auxerre nella Summa de officio, la liturgia della festa di tutti i santi celebra«l’onore della maestà divina: quando infatti onoriamo i santi, onoriamo Dio nei santi, e predichiamo il suo splendore in loro, e infatti quando diamo onore ai santi, diamo specificatamente onore a colui che li ha resi santi».
Secondo la fine sensibilità medievale per i simboli, Jacopo da Varazze spiega il rimando tra la gerarchia celeste e la struttura cosmica, palesando come accessibile e fruibile per il fedele la costante organizzazione del mondo creato: «Va anche osservato che c’è una quadruplice distinzione fra i santi del Nuovo Testamento che veneriamo nel ciclo annuale, e che oggi riassumiamo assieme, per supplire a tutto quanto abbiamo fatto con negligenza: sono gli apostoli, i martiri, i confessori e le vergini. Questi, secondo Rabano Mauro, sono rappresentati dalle quattro parti del mondo: l’Oriente rappresenta gli apostoli, il Mezzogiorno i martiri, il Settentrione i confessori e l’Occidente le vergini» [8].
Questa scansione universale, capace di tenere insieme il tempo dell’anno, lo spazio della terra e le realtà non visibili, è la vera chiave di lettura dell’opera di Francesco di Giorgio, che da bravo architetto sa costruire uno spazio.
Esiste una lunga tradizione che serpeggia nella storia, capace di leggere le proporzioni esistenti tra le parti e il tutto. Così per esempio in Vitruvio leggiamo: «Se la natura ha composto il corpo umano in modo tale che ogni membro e proporzionato con il tutto, non e` senza motivo che gli Antichi abbiano voluto che, nelle loro opere, fosse esattamente osservato lo stesso rapporto delle parti con il tutto. Ma, fra tutte le opere di cui hanno regolato le misure, hanno avuto cura soprattutto del tempio degli dei»[9].
Ma anche entro la tradizione cristiana troviamo rappresentata questa corrispondenza; così per esempio in san Pier Damiani, dottore della Chiesa vissuto nell’XI secolo: «L'uomo e` chiamato con un termine greco, microcosmo, cioe` mondo in piccolo, perche` per la sua essenza materiale e` composto degli stessi quattro elementi dell'universo»[10] e per esempio Alcuino ne esplicita il significato in termini cristiani: «Quattro sono i fiumi che scorrono dall'unica Fontana del Paradiso, per bagnare la terra. Quattro sono gli evangelisti che procedono da un'unica Fonte che e` Cristo, per innaffiare i cuori disseccati, al fine di far spuntare i fiori delle virtu`. Quattro sono gli elementi dai quali trae origine la coesione dell'ordinamento del mondo. Quattro sono le virtu` dalle quali quel mondo in piccolo che e` l'uomo deve ricevere il suo ordinamento»[11].
Ma questa corrispondenza tra l’essenza dell’uomo e l’essenza dell’universo proviene anche da una radice più propriamente giudaico-cristiana; nel libro apocrifo di Enoch, meglio conosciuto come "il libro dei segreti di Enoch", composto a Gerusalemme nel I sec. d.C., Dio parlando di Adamo afferma: «Gli diedi un nome composto di quattro: Est- Ovest - Nord - Sud. Gli assegnai quattro stelle scelte»[12]. E così San Cipriano ancora più chiaramente: «Adamo fu formato con la terra presa alle quattro estremita` del globo. Cosi`, nel nome, Dio sembra perpetuare questa origine; pose una stella ad ognuno dei quattro punti cardinali; ad Oriente, quella che e` chiamata Anatole, a Occidente Dusis, al Nord Aretos, a Sud Mezenobris. Riunendo le prime lettere di queste quattro stelle si trova il nome di ADAM(o)»[13].
Francesco di Giorgio si muove dentro questo cosmo, che ha ancora tutto il sapore antico anche se già è tutto rinnovato dal cristianesimo, uno spazio definito e determinato, in cui è possibile trovare un centro ed una direzione. Questa visione trova corrispondenza nella progettazione degli edifici sacri a pianta centrale, costruiti attorno a un asse centrale che congiunge la terra con il cielo. Al proposito proprio il Pantheon costituisce il modello, non solo architettonico, di questa tradizione spaziale che percorre la storia dall’antichità fino all’Umanesimo quattrocentesco.
Francesco di Giorgio Martini, come pittore e come architetto, costruisce degli spazi che non risultano mai generati dall'ordine delle colonne, ma preferisce uno spazio generato dall'utilizzo plastico del piedritto, privilegiando la massa muraria.
Nel dipinto, sono le figure stesse a costituire la massa plastica che edifica il tempio, convergente verso il centro, dove si svolge l’eterna incoronazione di Maria da parte di Cristo, su una struttura circolare che è una sorta di sezione del cielo, definita dai cori degli angeli, posta sullo stesso asse dell’ulteriore sezione che in alto, proprio come l’oculo centrale del Pantheon, “buca” l’ultima sfera fisica verso l’empireo, dominato da Dio Padre, eternamente lodato dagli angeli [14].
Dunque la tavola di Francesco di Giorgio rappresenta il risvolto cosmico e universale dell’incoronazione della Vergine, fungendo nel contempo da dipinto liturgico per la festività di Ognissanti.
Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Accademico Ordinario Pontificio. Website: www.rodolfopapa.it Blog: http://rodolfopapa.blogspot.com e.mail: rodolfo_papa@infinito.it
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NOTE
[1] G. Vasari, Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri, a cura di Luciano Bellosi e Aldo Rossi, Torino, 1991,, pag. 415.
[2] J. da Varazze, Legenda Aurea, a cura di A. e L. Vitale Brovarone, Torino 1995, cap CLXII “Ognissanti”, pp.883-892.
[3] Si tratta di san Bonifacio IV (608-615). Monaco benedettino nato in Abruzzo. Consacrò a Roma il Pantheon, ottenuto in dono dall’imperatore Foca, al culto della Vergine, in memoria di tutti i martiri della cristianità. In occasione di questa cerimonia istituì anche la festa di tutti i Santi.
[4] J. da Varazze, op. cit.
[5] J. da Varazze, op. cit.
[6] Tommaso d’Aquino, Summa Theol., I, q. 108, art. 1, resp.
[7] Ibid., art. 5, ad 6um.
[8] J. da Varazze, op. cit.
[9] Lucio Vitruvio Pallione, De Architectura, liber III, cap. I,1.
[10] cfr. Pier Damiani, De divina onnipotentia, a cura di P. Brezzi e B. Nardi, Firenze, 1943; G. de Champeaux - S. Sterckx, I simboli del Medio Evo, Milano 1981, pag. 249 - corsivo mio.
[11] Ibid.
[12] cfr. La bibbia apocrifa, a cura di P. Bonsirven, Milano 1987.
[13] G. de Champeaux - S. Sterckx, op. cit., pag. 251.
[14] In modo analogo, Francesco di Giorgio aveva già rappresentato il volo degli angeli intorno a Dio, nella tavola Padre Eterno, del 1470 ca., conservata alla National Gallery di Washington, originariamente parte della Natività, oggi al Metropolitan Museum di New York.