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Prima Predica di Quaresima
“Tutta la creazione geme e soffre
nelle doglie del parto” (Rom 8, 22)
Lo Spirito Santo, nella creazione e nella trasformazione del cosmo.
1. Un mondo in stato di attesa
In Avvento san Paolo ci ha introdotto alla conoscenza e all’amore per Cristo; in questa Quaresima l’Apostolo ci farà da guida alla conoscenza e all’amore per lo Spirito Santo. Ho scelto, a questo scopo, il capitolo ottavo della Lettera ai Romani perché esso costituisce, nel corpus paolino e nell’intero Nuovo Testamento, la trattazione più completa e più profonda sullo Spirito Santo.
Il brano sul quale oggi vogliamo riflettere è il seguente:
“Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” (Rom 8, 19-22).
Un problema esegetico dibattuto fin dall’antichità circa questo testo è quello del significato del termine creazione, ktisis. Con il termine creazione, ktisis, san Paolo a volte designa l’insieme degli uomini, il mondo umano, a volte il fatto o l’atto divino della creazione, a volte il mondo nel suo complesso, cioè l’umanità e il cosmo insieme, a volte la nuova creazione che risulta dalla Pasqua di Cristo.
Agostino[1] seguito ancora da qualche autore moderno[2], pensa che qui il termine designi il mondo umano e che quindi si debba escludere dal testo ogni prospettiva cosmica, riferita alla materia. La distinzione tra la “creazione intera” e “noi che possediamo le primizie dello Spirito”, sarebbe una distinzione interna al mondo umano e equivarrebbe alla distinzione tra l’umanità irredenta e l’umanità redenta da Cristo.
L’opinione però oggi quasi unanime è che il termine ktisis designa la creazione nel suo complesso, cioè sia il mondo materiale che il mondo umano. L’affermazione che la creazione è stata assoggettata alla vanità “senza sua colpa”, non avrebbe senso se non riferita appunto alla creazione materiale.
L’Apostolo vede questa creazione pervasa da un’attesa, in uno “stato tensionale”. L’oggetto di questa attesa è la rivelazione della gloria dei figli di Dio. “La creazione nella sua esistenza apparentemente chiusa in se stessa ed immobile…aspetta con ansia l’uomo glorificato, del quale essa sarà il ‘mondo’, anch’esso quindi glorificato” [3].
Questo stato di sofferta attesa è dovuto al fatto che la creazione, senza sua colpa, è stata trascinata dall’uomo nello stato di empietà che l’Apostolo ha descritto all’inizio della sua lettera (cf. Rom 1, 18 ss.). Lì egli definiva tale stato “ingiustizia” e “menzogna”, qui usa i termini di “vanità” (mataiotes) e corruzione (phthora) che dicono la stessa cosa: “perdita di senso, irrealtà, assenza della forza, dello splendore, dello Spirito e della vita”
Questo stato però non è chiuso e definitivo. C’è una speranza per il creato! Non perché il creato, in quanto tale, sia in grado sperare soggettivamente, ma perché Dio ha in mente per esso un riscatto. Questa speranza è legata all’uomo redento, il “figlio di Dio”, che, con un movimento contrario a quello di Adamo, trascinerà un giorno definitivamente il cosmo nel proprio stato di libertà e di gloria.
Di qui la responsabilità più profonda dei cristiani nei confronti del mondo: quella di manifestare, fin d’ora, i segni della libertà e della gloria a cui tutto l’universo è chiamato, soffrendo con speranza, sapendo che “le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi”.
Nel versetto finale l’Apostolo fissa questa visione di fede in una immagine ardita e drammatica: l’intera creazione è paragonata a una donna che soffre e geme nei dolori del parto. Nell’esperienza umana, questo è un dolore sempre misto a gioia, ben diverso dal pianto sordo e senza speranza del mondo, che Virgilio ha racchiuso nel verso dell’Eneide: “sunt lacrimae rerum”, piangono le cose[4].
2. La tesi dell'”Intelligent design”: scienza o fede?
Questa visione di fede e profetica dell’Apostolo ci offre l’occasione per toccare il problema oggi così dibattuto della presenza o meno di un senso e di un progetto divino interno al creato, senza con ciò voler sovraccaricare il testo paolino di significati scientifici o filosofici che evidentemente non ha. La ricorrenza del bicentenario della nascita di Darwin (12 Febbraio 1809) rende ancora più attuale e necessaria una riflessione in tal senso.
Nella visione di Paolo Dio è all’inizio e al termine della storia del mondo; lo guida misteriosamente a un fine, facendo servire ad esso anche le impennate della libertà umana. Il mondo materiale è in funzione dell’uomo e l’uomo è in funzione di Dio. Non si tratta di un’idea esclusiva di Paolo. Il tema della liberazione finale della materia e della sua partecipazione alla gloria dei figli di Dio trova un parallelo nel tema dei “cieli nuovi e terra nuova” della Seconda Lettera di Pietro (3,13) e dell’Apocalisse (21,1).
La prima grande novità di questa visione, è che essa ci parla di liberazione della materia, non di liberazione dalla materia, come invece avveniva in quasi tutte le concezioni antiche della salvezza: platonismo, gnosticismo, docetismo, manicheismo, catarismo. Sant’Ireneo ha combattuto tutta la vita contro l’affermazione gnostica, secondo cui “la materia è incapace di salvezza”[5].
Nel dialogo attuale tra scienza e fede il problema si presenta in termini diversi, ma la sostanza è la stessa. Si tratta di sapere se il cosmo è stato pensato e voluto da qualcuno, o se è frutto del “caso e della necessità”; se il suo cammino mostra i segni di un’intelligenza e avanza verso un traguardo preciso, o se si evolve per così dire alla cieca, obbedendo solo a leggi proprie e a meccanismi biologici.
La tesi dei credenti a questo riguardo ha finito per cristallizzarsi nella formula che in inglese suona Intelligent design, il disegno intelligente, s’intende del Creatore. Quello che ha creato tanta discussione e contestazione circa questa idea è stato, a mio parere, il fatto di non distinguere abbastanza chiaramente il disegno intelligente come teoria scientifica, dal disegno intelligente come verità di fede.
Come teoria scientifica, la tesi del “disegno intelligente” afferma che è possibile provare dall’analisi stessa del creato, quindi scientificamente, che il mondo ha un autore esterno a sé e mostra i segni di una intelligenza ordinatrice. È questa affermazione che la maggioranza degli scienziati intende (e la sola che può!) contestare, non l’affermazione di fede, che il credente ha dalla rivelazione e di cui anche la sua intelligenza sente l’intima verità e necessità.
Se, come pensano molti scienziati (non tutti!), è pseudo-scienza fare del “disegno intelligente” una conclusione scientifica, è altrettanto pseudo-scienza quella che esclude l’esistenza di un “disegno intelligente” in base ai risultati della scienza. La scienza potrebbe avanzare questa pretesa se potesse da sola spiegare tutto: non solo cioè il “come” del mondo, ma anche il “che” e il “perché”. Questo la scienza sa bene che non è in suo potere farlo. Anche chi elimina dal suo orizzonte l’idea di Dio, non elimina con ciò il mistero. Resta sempre una domanda senza risposta: perché l’essere e non il nulla? Lo stesso nulla è forse per noi un miste
ro meno impenetrabile dell’essere, e il caso un enigma meno inspiegabile di Dio?
In un libro di divulgazione scientifica, scritto da un non credente, ho letto questa significativa ammissione: se ripercorriamo indietro la storia del mondo, come si sfoglia un libro dall’ultima pagina in su, arrivati alla fine, ci accorgiamo che è come se mancasse la prima pagina, l’incipit. Sappiamo tutto del mondo, eccetto perché e come è cominciato. Il credente è convinto che la Bibbia ci fornisce proprio questa pagina iniziale mancante; in essa, come nel frontespizio di ogni libro, è indicato il nome dell’autore e il titolo dell’opera!
Una analogia ci può aiutare a conciliare la nostra fede nell’esistenza di un disegno intelligente di Dio sul mondo con l’apparente casualità e imprevedibilità messa in luce da Darwin e dalla scienza attuale. Si tratta del rapporto tra grazia e libertà. Come nel campo dello spirito la grazia lascia spazio all’imprevedibilità della libertà umana e agisce anche attraverso di essa, così nel campo fisico e biologico tutto è affidato al gioco delle cause seconde (la lotta per la sopravvivenza delle specie secondo Darwin, il caso e la necessità secondo Monod), anche se questo stesso gioco è previsto e fatto proprio dalla provvidenza di Dio. Nell’uno e nell’altro caso, Dio, come dice il proverbio, “scrive diritto per linee storte”.
3. L’evoluzione e la Trinità
Il discorso su creazionismo ed evoluzionismo si svolge di solito in dialogo con la tesi opposta, di natura materialistica e atea, in chiave, perciò, necessariamente apologetica. In una riflessione fatta tra credenti e per credenti, come è la presente, non possiamo fermarci a questo stadio. Fermarci qui, significherebbe rimanere prigionieri di una visione “deistica”, e non ancora trinitaria, e quindi non specificamente cristiana, del problema.
Chi ha aperto il discorso sull’evoluzione a una dimensione trinitaria è stato Pierre Teilhard de Chardin. L’apporto di questo studioso nella discussione sull’evoluzione è consistito essenzialmente nell’aver introdotto in essa la persona di Cristo, di averne fatto un problema anche cristologico[6].
Il suo punto di partenza biblico è l’affermazione di Paolo, secondo cui “tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1,16). Cristo appare in questa visione come il Punto Omega, cioè come senso e approdo finale dell’evoluzione cosmica e umana. Si posssono discutere il modo e gli argomenti con cui lo studioso gesuita giunge a questa conclusione, ma non la conclusione stessa. Ne spiega bene il motivo Maurice Blondel in una nota scritta in difesa del pensiero di Teilhard de Chardin: “Davanti agli orizzonti ingranditi della scienza della natura e dell’umanità, non si può, senza tradire il cattolicesimo, rimanere su spiegazioni mediocri e a modi di vedere limitati che fanno del Cristo un incidente storico, che lo isolano nel Cosmo come un episodio posticcio, e sembrano fare di lui un intruso o uno spaesato nella schiacciante e ostile immensità dell’Universo”[7].
Quello che manca ancora, per una visione compiutamente trinitaria del problema, è una considerazione del ruolo dello Spirito Santo nella creazione e nell’evoluzione del cosmo. Lo esige il principio basilare della teologia trinitaria secondo cui le opere ad extra di Dio sono comuni a tutte e tre le persone della Trinità, ognuna delle quali vi partecipa con la sua caratteristica propria.
Il testo paolino che stiamo meditando ci permette proprio di colmare questa lacuna. L’accenno al travaglio da parto della creazione è fatto nel contesto del discorso di Paolo sulle diverse operazioni dello Spirito Santo. Egli vede una continuità tra il gemito della creazione e quello del credente che è messo apertamente in rapporto con lo Spirito: “Essa (la creazione) non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente”. Lo Spirito Santo è la forza misteriosa che spinge la creazione verso il suo compimento. Parlando dell’evoluzione dell’ordine sociale, il concilio Vaticano II afferma che “lo Spirito di Dio che, con mirabile provvidenza, dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra, è presente a tale evoluzione”[8].
Egli che è “il principio della creazione delle cose” [9], è anche il principio della sua evoluzione nel tempo. Questa infatti altro non è se non la creazione che continua. Nel discorso rivolto, il 31 Ottobre 2008, ai partecipanti al simposio sull’evoluzione, promosso dalla Pontificia Accademia delle scienze, il Santo Padre Benedetto XVI sottolinea questo concetto: “Affermare, diceva, che il fondamento del cosmo e dei suoi sviluppi è la sapienza provvida del Creatore non è dire che la creazione ha a che fare soltanto con l’inizio della storia del mondo e della vita. Ciò implica, piuttosto, che il Creatore fonda questi sviluppi e li sostiene, li fissa e li mantiene costantemente”.
Cosa apporta di specifico e di “personale” lo Spirito nella creazione? Ciò dipende, come sempre, dai rapporti interni alla Trinità. Lo Spirito Santo non è all’origine, ma per così dire, al termine della creazione, come non è all’origine, ma al termine del processo trinitario. Nella creazione -scrive san Basilio – il Padre è la causa principale, colui dal quale sono tutte le cose; il Figlio la causa efficiente, colui per mezzo del quale tutte le cose sono fatte; lo Spirito Santo è la causa perfezionante[10].
L’azione creatrice dello Spirito è all’origine dunque della perfezione del creato; egli, diremmo, non è tanto colui che fa passare il mondo dal nulla all’essere, quanto colui che lo fa passare dall’essere informe all’essere formato e perfetto. In altre parole, lo Spirito Santo è colui che fa passare il creato dal caos al cosmo, che fa di esso qualcosa di bello, di ordinato, pulito: un “mondo” appunto, secondo il significato originario di questa parola. Sant’Ambrogio osserva:
“Quando lo Spirito cominciò ad aleggiare su di esso, il creato non aveva ancora alcuna bellezza. Invece, quando la creazione ricevette l’operazione dello Spirito, ottenne tutto questo splendore di bellezza che la fece rifulgere come ‘mondo’ “[11].
Non che l’azione creatrice del Padre fosse stata “caotica” e bisognosa di correzione, ma è il Padre stesso, nota san Basilio nello stesso testo citato, che vuole fare esistere tutto per mezzo del Figlio e vuole portare alla perfezione le cose per mezzo dello Spirito.
“In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gen 1,1-2). La Bibbia stessa, come si vede, allude al passaggio da uno stato informe e caotico dell’universo, a uno stato in via di progressiva formazione e differenziazione delle creature e menziona lo Spirito di Dio come il principio di questo passaggio o evoluzione. Essa presenta questo passaggio come repentino e immediato, la scienza ha rivelato che esso si è esteso su un arco di miliardi di anni ed è ancora in atto. Ma questo non dovrebbe creare problemi, una volta conosciuto lo scopo e il genere letterario del racconto biblico.
Fondandosi sul senso di analoghe espressioni presenti nei poemi cosmogonici babilonesi, oggi si tende a dare all’espressione “spirito di dio” (ruach ‘elohim) di Genesi 1,2 il senso puramente naturalistico di vento impetuoso, vedendo in essa un elemento del caos primordiale, al pari dell’abisso e delle tenebre, legandolo quindi a ciò che precede, e non a ciò che segue, nel racconto della creazione[12]. Ma l’immagine del “soffio di Dio” ritorna nel capitolo successivo della Genesi (Dio “soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”) con un senso “teologico” e non certo naturalistico.
Escludere, dal testo, ogni riferimento, per quanto embrionale, alla realtà d
ivina dello Spirito, attribuendo l’attività creatrice unicamente alla parola di Dio, significa leggere il testo solo alla luce di ciò che lo precede e non anche alla luce di ciò che lo segue nella Bibbia, alla luce degli influssi che ha subito e non anche dell’influsso che ha esercitato, contrariamente a ciò che suggerisce la tendenza più recente dell’ermeneutica biblica. (Il modo più sicuro per stabilire la natura di un seme sconosciuto non è forse vedere quale tipo di pianta da esso nasce?).
Avanzando nella rivelazione, troviamo accenni via via sempre più espliciti a un’attività creatrice del soffio di Dio, in stretta connessione con quella della sua parola. “Dalla parola (dabar) del Signore furono fatti i cieli, dal soffio (ruach) della sua bocca ogni loro schiera” (Sal 33, 6; cf. anche Is 11.4: “La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento, con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio”). Spirito o soffio non indica certamente, in questi testi, il vento naturale. A quello stesso testo si rifà un altro salmo quando dice: “Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra” (Sal 104, 30). Qualunque interpretazione si voglia dare, perciò, a Genesi 1,2, è certo che il seguito della Bibbia attribuisce allo Spirito di Dio un ruolo attivo nella creazione.
Questa linea di sviluppo diventa chiarissima nel Nuovo Testamento che descrive l’intervento dello Spirito Santo nella nuova creazione, servendosi proprio delle immagini del soffio e del vento che si leggono a proposito dell’origine del mondo (cf. Gv 20, 22 con Gen 2,7). L’idea della ruach creatrice non può essere nata dal nulla. Non si può, in uno stesso commentario o edizione della Bibbia, tradurre Genesi 1,2 con “un vento di Dio soffiava sopra le acque” e poi rimandare a quello stesso testo per spiegare la colomba nel battesimo di Gesù![13].
Non è, dunque, scorretto continuare a rifarsi a Gen 1,2 e alle altre testimonianze posteriori, per trovarvi un fondamento biblico al ruolo creatore dello Spirito Santo, come facevano i Padri. “Se tu adotti questa spiegazione – diceva san Basilio, seguito in ciò da Lutero – ne trarrai grande profitto”[14]. Ed è vero: scorgere nello “Spirito di Dio” che aleggiava sulle acque un primo embrionale accenno all’azione creatrice dello Spirito dischiude la comprensione di tanti passi successivi della Bibbia, di cui altrimenti non si spiegherebbe l’origine.
4. Pasqua, passaggio dalla vecchiaia alla gioventù
Cerchiamo ora di individuare alcune conseguenze pratiche che questa visione biblica del ruolo dello Spirito Santo può avere per la nostra teologia e per la nostra vita spirituale. Quanto alle applicazioni teologiche, ne ricordo solo una: la partecipazione dei cristiani all’impegno per il rispetto e la salvaguardia del creato. Per il credente cristiano l’ecologismo non è solo una necessità pratica di sopravvivenza o un problema solo politico ed economico, ha un fondamento teologico. Il creato è opera dello Spirito Santo!
Paolo ci ha parlato di una creazione che “geme e soffre nelle doglie del parto”. A questo suo pianto da parto, oggi si mescola un pianto di agonia e di morte. La natura è sottoposta, ancora una volta “senza suo volere”, a una vanità e corruzione, diverse da quelle di ordine spirituale intese da Paolo, ma derivate dalla stessa sorgente che è il peccato e l’egoismo dell’uomo.
Il testo paolino che stiamo meditando potrebbe ispirare più d’una considerazione sul problema dell’ecologia: noi che abbiamo ricevuto le primizie dello Spirito stiamo affrettando “la piena liberazione del cosmo e la sua partecipazione alla gloria dei figli di Dio”, o la stiamo ritardando, come tutti gli altri?
Ma veniamo all’applicazione più personale. Diciamo che l’uomo è un microcosmo; a lui dunque come individuo, si applica tutto ciò che abbiamo detto in generale del cosmo. Lo Spirito Santo è colui che fa passare ognuno di noi dal caos al cosmo: dal disordine, dalla confusione e dalla dispersione, all’ordine, all’unità e alla bellezza. Quella bellezza che consiste nell’essere conformi alla volontà di Dio e all’immagine di Cristo, nel passare dall’uomo vecchio e all’uomo nuovo.
Con un accenno velatamente autobiografico, l’Apostolo scriveva ai corinzi: “Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Cor 4,16). L’evoluzione dello spirito non si svolge nell’uomo parallelamente a quello del corpo, ma in senso contrario.
In questi ultimi giorni, per via dei tre Oscar che ha ricevuto e la celebrità del protagonista, si è parlato molto di un film intitolato “Il caso curioso di Benjamin Button”, tratto da un racconto dello scrittore Francis Scott Key Fitzgerald. È la storia di un uomo che nasce vecchio, con i tratti mostruosi di un ottantenne, e, crescendo, ringiovanisce fino a morire da vero bambino. La storia è naturalmente paradossale, ma può avere un’applicazione quanto mai vera se trasferita sul piano spirituale. Noi nasciamo “uomini vecchi” e dobbiamo diventare “uomini nuovi”. Tutta la vita, non solo l’adolescenza, è una “età evolutiva”!
Secondo il vangelo, bambini non si nasce ma si diventa! Un Padre della Chiesa, san Massimo di Torino, definisce la Pasqua un passaggio “dai peccati alla santità, dai vizi alla virtù, dalla vecchiaia alla gioventù: una gioventù s’intende non di età ma di semplicità. Eravamo infatti cadenti per la vecchiaia dei peccati, ma per la risurrezione di Cristo siamo stati rinnovati nell’innocenza dei bambini”[15].
La Quaresima è il tempo ideale per applicarsi a questo ringiovanimento. Un prefazio di questo tempo dice: “Tu hai stabilito per i tuoi figli un tempo di rinnovamento spirituale, perché si convertano a te con tutto il cuore, e liberi dai fermenti del peccato vivano le vicende di questo mondo, sempre orientati verso i beni eterni”. Una orazione, risalente al Sacramentario Gelasiano del VII secolo e ancora in uso nella veglia pasquale, proclama solennemente: “Tutto il mondo veda e riconosca che ciò che è distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova, e tutto ritorna alla sua integrità, per mezzo di Cristo che è il principio di tutte le cose”.
Lo Spirito Santo è l’anima di questo rinnovamento e di questo ringiovanimento. Iniziamo le nostre giornate dicendo, con il primo verso dell’inno in suo onore: “Veni, creator Spiritus”: Vieni Spirito creatore, rinnova nella mia vita il prodigio della prima creazione, aleggia sul vuoto, le tenebre e il caos del mio cuore, e guidami verso la piena realizzazione del “disegno intelligente” di Dio sulla mia vita.
[1] Cf. S. Agostino, Esposizione sulla Lettera ai Romani, 45 (PL 35, 2074 s.).
[2] A. Giglioli, L’uomo o il creato? Ktisis in S. Paolo, Edizioni Dehoniane, Bologna 1994.
[3] H. Schlier, La lettera ai Romani, Paideia, Brescia 1982, p. 429.
[4] Virgilio, Eneide, I, 462.
[5] Cf. S. Ireneo, Adv. haer. V, 1,2; V,3,3.
[6] Cf. C. F. Mooney, Teilhard de Chardin et le mystère du Christ, Aubier, Paris 1966.
[7] M. Blondel et A. Valensin, Correspondance, Aubier, Parigi 1965.
[8] Gaudium et Spes, 26.
[9] Tommaso d’Aquino, Somma contro i gentili, IV, 20, n. 3570 (Marietti, Torino 1961, vol. 3, p. 286).
[10] S. Basilio, Sullo Spirito Santo, XVI, 38 (PG 32, 136).
[11] S. Ambrogio, Sullo Spirito Santo, II, 32.
[12] Così G. von Rad, in Genesi. Traduzione e commento di G. von Rad, Paideia, Bresci
a 1978, pp. 56-57; da notare, tuttavia, che in Enuma Elish il vento appare come un alleato del dio creatore, non un elemento ostile che gli si oppone: cf. R. J. Clifford-R. E. Murphy, in The New Jerome Biblical Commentary, 1990, p. 8-9.
[13] Così avviene nella “Bibbia di Gerusalemme”: cf. note a Gen 1,2 e Mt 3,16 e in The New Jerome Biblical Commentary, Prentice Hall 1990, pp. 10 e 638.
[14] S. Basilio, Esamerone, II, 6 (SCh 26, p. 168); Lutero, Sulla Genesi (WA 42, p. 8)..
[15] S. Massimo di Torino, Sermo de sancta Pascha, 54,1 (CC 23, p. 218).