Per una terapia della Tenerezza (Prima parte)

Nel suo ultimo libro monsignor Carlo Rocchetta spiega quanto sia importante labbraccio, nella coppia e nella vita

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“Abbraccio chiama abbraccio”, scrive monsignor Carlo Rocchetta nel capitolo conclusivo del suo ultimo libro pubblicato quest’anno e già alla seconda edizione, Abbracciami. Per una terapia della Tenerezza (Centro Editoriale Dehoniano), dove spiega “perché un teologo, prete, ha voluto redigere un libro sull’abbraccio”.

L’autore nel 2000 pubblicò un volume sulla teologia della tenerezza “che fu decisivo– scrive – in quanto orientò le mie stesse scelte di vita, concretizzate nel lasciare l’Insegnamento accademico e dedicarmi alla nascita e allo sviluppo del Centro Familiare Casa della tenerezza, dove attualmente opero a servizio della pastorale delle coppie e delle famiglie”.

In tutta questa sua ricerca, confluita in numerose pubblicazioni, mons. Rocchetta si è preoccupato di “superare visioni moralistiche e ritualistiche della fede per mettere in luce i contenuti positivi del messaggio cristiano”.

Abbracciamisi pone al servizio di una cultura dell’essere e della convivialità – scrive l’autore – in alternativa ad ogni anticultura dell’avere e dell’individualismo”.

Abbracciami nasce per porsi al servizio della famiglia, degli sposi, delle coppie in difficoltà, dei separati, dei figli, dei non sposati, ma anche di catechisti e sacerdoti che vengono a contatto con l’umanità ferita nella tenerezza.

L’interesse per l’abbraccio si è risvegliato nell’autore “per caso”, quando gli è capitato di leggere alcuni scritti sulla terapia dell’abbraccio. Dalla costatazione che non esiste niente o quasi su questa tematica nella letteratura cristiana, mons. Rocchetta ha ritenuto “assolutamente indispensabile la riscoperta dell’abbraccio come esperienza di incontro, di condivisione, di benedizione e di grazia”.

L’intervista all’autore vuole essere uno stimolo per iniziare un viaggio alla (ri)scoperta di un antropologia-terapia della tenerezza, attraverso i libri dell’autore, attraverso la “Casa della Tenerezza” di Perugia, attraverso la propria esperienza personale.

Abbraccio come modo di vivere, come identità dell’essere?

Mons. Rocchetta: Dal punto di vista antropologico il primo abbraccio che il bambino esperimenta è nel grembo della madre ed è l’abbraccio di cui ha bisogno quando è al mondo. L’abbraccio è la prima forma di comunicazione del nascituro con il mondo.

Dal punto di vista più strettamente biblico, la bibbia è percorsa dall’abbraccio. La teologia si fonda sull’abbraccio. L’abbraccio ritorna sotto tanti aspetti nella Scrittura, basta pensare al Cantico dei Cantici: tra gli innamorati l’abbraccio è continuamente il segno di questa crescita nell’amore. Nel Nuovo Testamento abbiamo episodi stupendi che caratterizzano la tenerezza di Dio: l’abbraccio tra Maria e Elisabetta e i loro figli nel grembo; Simeone che abbraccia il bambino Gesù; l’abbraccio del Padre misericordioso che accoglie il figlio prodigo e forse anche l’altro, è l’abbraccio benedicente, di accoglienza e di perdono; l’abbraccio di Gesù ai bambini. L’abbraccio fa parte della storia della salvezza, anche perché tutto si conclude con l’abbraccio della croce. La croce è il grande abbraccio e Cristo è forse l’unico attore delle religioni che muore con le braccia aperte, accogliendo. Buddha è tutto ripiegato su se stesso così altri fondatori di religioni di cui non sappiamo nemmeno come sono morti. Gesù muore guardando al Padre, offrendosi ma abbracciandoci e perdonando. È un gesto straordinario che ne svela tutto il senso antropologico, biblico e teologico. Anche il nostro corpo ha la forma dell’abbraccio!

L’abbraccio universale diventa, in un certo senso, un modo di vivere?

Mons. Rocchetta: L’abbraccio del bambino nel grembo, fra sposi, genitori e figli, amici, con nemici per riconciliarsi… diventa, nella prospettiva che ho sviluppato, il segno di una nuova cultura dell’incontro, non del muro, della convivialità non dell’individualismo, del recuperare gli spazi che ci separano per cui ogni uomo ogni donna è fratello e sorella.

L’abbraccio diventa il simbolo di una nuova cultura in una prospettiva universale. L’abbraccio aveva una grande valenza simbolica. L’abbraccio di pace dei primi cristiani, che oggi si è un po’ perduto, aveva un grande significato. L’eucarestia veniva  definita “ ad osculo convenire”, andare ad abbracciarsi a baciarsi; nell’eucarestia si riceve l’abbraccio del Signore, si entra in comunione con Lui e si è chiamati ad abbracciarsi l’un l’altro, per cui c’è  una spiritualità che scaturisce dalla riscoperta di questo gesto così semplice e gratuito che tutti possiamo vivere e praticare. Poi c’è l’abbraccio terapeutico che in un ambito specialistico effettivamente aiuta le persone.

Nella mia esperienza alle tante mamme che si lamentavano dei figli iperattivi, dicevo “prova ad abbracciarlo, a tenerlo stretto“. Tante sono tornate a dirmi “Funziona!” L’abbraccio, il ritorno al grembo fa sentire amato il bambino.

Abbraccio anche come antistress?

Mons. Rocchetta: Il grande pericolo oggi della coppia è lo stress. Quando uno dei due è stressato, la coppia è in difficoltà. Deve ritrovare un poco di calma e di serenità e l’abbraccio è una via, forse la via fondamentale, per ritrovare la serenità. Nel momento in cui ritroviamo noi stessi – chi sono io, chi sei tu – ci si calma, si lasciano alle spalle le preoccupazioni quotidiane. Questo non vale solo per gli sposi, vale anche per le persone amiche. Per questo credo che sia veramente  un antistress. Abbiamo fatto degli incontri con l’abbraccioterapia per gli  sposi presso la Casa della Tenerezza a Perugia!

Il testo contiene in appendice un modello per realizzare l’abbraccioterapia…

Mons. Rocchetta: È quello che abbiamo utilizzato quando abbiamo fatto questo incontro. È una indicazione, un canovaccio, per chi volesse fare questo in piccoli gruppi che hanno fatto un cammino di approfondimento, di spiritualità. L’abbraccio tra gli sposi rimanda all’abbraccio di Dio, l’abbraccio di Dio rimanda all’abbraccio degli sposi, cioè superare il dualismo fa vedere la forza sacramentale delle nozze. In fondo quello che gli sposi vivono amandosi e donandosi è celebrare il sacramento delle nozze. L’abbraccio fa parte di questo itinerario.

Lei parla della potenza dell’abbraccio che si realizza in modo “perfetto” proprio nell’abbraccio nuziale.

Mons. Rocchetta: Sì,  l’abbraccio nuziale è un’espressione di ciò che significa il sacramento delle nozze “non più due ma un solo essere” e porta a pienezza il senso stesso dell’abbraccio che genera realmente l’accoglienza. Condividere diventa una realtà concreta fino all’apertura alla vita, con il dono dei figli. L’intimità dell’abbraccio nuziale è la forma massima dell’abbraccio tra gli sposi e va vista in questa prospettiva bella, positiva.

Nel libro Elogio del litigio di coppia, ri-editato per la sesta volta proprio quest’anno, lei parla della potenzialità dell’abbraccio anche nel momento di crisi.

Mons. Rocchetta: Molte volte quando due sono emotivamente scossi, arrabbiati, c’è stato qualcosa che li ha feriti. Se si lasciano prendere soltanto dal discutere spesso complicano. Più uno è intelligente, più trova i motivi per darsi ragione e accusare l’altro. A volte è meglio tacere, stare abbracciati dieci minuti, mezz’ora in silenzio, poi ci si calma e si chiariranno i problemi in maniera più serena, al momento opportuno. È  molto collegato il discorso dell’abbraccio come linguaggio eloquente anche per riconciliarsi, per vivere il litigio in modo sano. Il litigio è inevitabile nella coppia. Il titolo, Elogio del litigio di coppia, è un po’ p
rovocatorio. Non si può pretendere che nella coppia non ci siano mai litigi. Però si può chiedere che il litigio sia sano, costruttivo, serva a chiarire, non sia distruttivo. L’abbraccio è una via, fondamentale, perché anche il contatto fisico trasmette un’immagine  positiva e calma gli animi.

Nell’Elogio del litigio di coppia lei parla di perdono quindi l’abbraccio si inserisce anche in questo contesto, perché sarebbe bello avere il “litigio ideale”, ma tanti litigi “ideali” non sono…

Mons. Rocchetta: Il perdono innanzitutto è un atto interiore che non vuol dire dimenticare il male, ma guarire piano piano dal male. Sostituisco l’atteggiamento di rabbia, di risentimento con un atteggiamento di nuova tenerezza, comprensione, perdono che bisognerebbe esprimere in un atto concreto che è appunto l’abbraccio, il bacio.  È  un percorso non facile ma indispensabile per la vita della coppia. Dopo deve esserci la riconciliazione. L’abbraccio si pone come punto di passaggio tra il perdono e la riconciliazione. L’abbraccio, più del bacio, accoglie la persona, la fa sentire integrata, la contiene totalmente. Non riguarda solo una parte della persona: tutta la persona si sente accolta amata, perdonata. Quando i due si riconciliano, si inizia un nuovo cammino. La riconciliazione è un passo ulteriore rispetto al perdono. È importante educarsi alla riconciliazione con l’abbraccio perché altrimenti non si esprime anche visivamente il perdono.

[La seconda parte sarà pubblicata domani, sabato 19 ottobre]

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Elisabetta Pittino

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