Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale smascherano i paradisi fiscali delle multinazionali

Dietro la scusante della Responsabilità Sociale d’Impresa, diverse aziende miliardarie senza scrupoli hanno rafforzato la propria competitività, con uno scarso impatto sociale e ambientale

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La critica alla Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) è dovuta ai molteplici casi che hanno smascherato le malefatte di imprese con elevato rating (quotazione). In altre parole, la RSI serviva da paravento per consentire ad imprese senza scrupoli di rafforzare sola la propria forza competitiva, con un basso impatto dal punto di vista sociale e ambientale. Inoltre queste imprese irresponsabili, investendo poco nella RSI a fronte di grandi guadagni, hanno acquisito una elevata capacità di pressione attraverso donazioni filantropiche che ha permesso loro di “comprarsi” la reputazione ritenuta necessaria.

Un solo esempio: nel Rapporto 2000 sulla responsabilità sociale di Enron si legge: “Noi vogliamo lavorare per promuovere il rispetto reciproco con le comunità e i portatori di interessi che sono toccati dalle nostre attività. Noi trattiamo gli altri come vorremmo essere trattati noi stessi”.

Tutto questo accade perchè queste imprese irresponsabili trovano complici Stati compiacenti. Ne abbiamo una prova evidente attraverso l’elusione fiscale. Nel mirino ci sono paesi quali Irlanda, Lussemburgo o Paesi Bassi, dove risiede la sede fiscale di molte grandi imprese globali, che pagano pochissime tasse a fronte di utili iperbolici. Ma da qualche tempo, causa crisi finanziaria, sembra che qualche cosa si stia muovendo.

Sia l’Unione Europea che il Fondo Monetario Internazionale hanno affermato che la riforma fiscale è ineludibile e sono partite una serie di richieste verso quei paesi che attirano le grandi multinazionali attraverso politiche fiscali decisamente vantaggiose. Apple, Google, Amazon, Starbucks, tanto per citarne alcune. Recentemente queste multinazionali sono balzate all’onore delle cronache per i rilievi mossi dai molti addetti ai lavori e del Fisco, proprio perché, domiciliandosi in Paesi che applicano tassazioni minime sul filo della legalità, pagano meno tasse e preservano intatti i loro profitti, non contribuendo quindi alla giustizia fiscale e sociale dei Paesi dove questi utili vengono prodotti.

Si tratta di una situazione che, a partire dai cittadini ai corpi intermedi, sta pressando i governanti europei alle corde per la crisi economica. Inoltre i governi si trovano nella necessità di “far cassa” in ogni modo possibile. La situazione è divenuta talmente insopportabile che l’Ocse ha dettato una road map per controllare l’elusione fiscale internazionale, adottata dal recente G20 di San Pietroburgo.

Riportiamo due casi di dominio pubblico sulla stampa specializzata. Di recente, è emerso il caso di un'”intesa fiscale” tra il governo Dublino e Apple per applicare una tassazione al 2% o meno, contro il 12,5% prevista (il 12,5% di tassazione in Europa è da paradiso fiscale). Il secondo caso riguarda Google, il colosso high-tech Usa che ha scelto come sua sede fiscale europea l’Irlanda. Nonostante la tassazione del 12,5%  Google è riuscita a fare meglio, pagando solo il 5% grazie alle opportunità offerte dal governo irlandese.

Ma, analizzando i fatti, scopriamo che Google ha guadagnato in Europa 15,5 miliardi di euro, e che per pagare meno tasse si è trasferito in Olanda e poi di nuovo in Irlanda, in una società con sede a Dublino ma residente nel paradiso fiscale delle isole Bermuda. Il tutto chiaramente per fini fiscali. Questa triangolazione ha permesso a Google nel 2012 di “lavare fiscalmente” 15,5 miliardi alle Bermuda, dove non si pagano tasse. In questo modo il fisco europeo (Irlanda compresa) e le politiche sociali e industriali europee, hanno perso preziosi introiti arrivando al paradosso che, l’anno passato Google, ha pagato 17 milioni di euro di tasse in Irlanda contro ricavi di 15,5 miliardi. 

Questo è solo un esempio del “contributo” che multinazionali come Google e altre imprese hanno dato alla tanto sbandierata RSI. Speriamo che l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale passino dalle parole ai fatti. Sono fondamentali, dunque, politiche che facciano crescere il senso del capitale civile sia delle imprese irresponsabili che degli Stati compiacenti malati da politiche cortotermistiche.

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Carmine Tabarro

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