“Andate ed evangelizzate, a volte anche con le parole”. Furono queste le parole con cui San Francesco inviò i suoi fraticelli in giro per il mondo ad annunciare la parola di Dio. Sono le stesse che ha gridato Papa Francesco durante la sua visita di venerdì scorso ad Assisi, ai 12.000 giovani riuniti fuori Santa Maria degli Angeli. Ed è lo stesso concetto che il Pontefice, con espressioni diverse, ha ribadito questa mattina, durante l’udienza in Vaticano con i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.
Perché – ha spiegato subito il Santo Padre – per compiere un buon lavoro di evangelizzazione, è urgente “andare incontro” all’altro e attivare una pastorale “centrata sull’essenziale”, ma prima di ogni cosa bisogna dare la priorità alla “testimonianza”, ovvero dimostrare con fatti concreti ciò che si predica a parole.
“Nel nostro tempo – ha osservato infatti il Pontefice – si verifica spesso un atteggiamento di indifferenza verso la fede, ritenuta non più rilevante nella vita dell’uomo”. Per questo gli ultimi Papi hanno insistito su una “nuova Evangelizzazione”, che – ha spiegato Bergoglio – “significa risvegliare nel cuore e nella mente dei nostri contemporanei la vita della fede”.
“La fede è un dono di Dio”, e noi cristiani siamo chiamati a viverla “in modo concreto, attraverso l’amore, la concordia, la gioia, la sofferenza” ha affermato il Pontefice. Questo “suscita delle domande, come all’inizio del cammino della Chiesa: perché vivono così? Che cosa li spinge?”. “Interrogativi – ha detto – che portano al cuore dell’evangelizzazione, che è la testimonianza della fede e della carità”. “Ciò di cui abbiamo bisogno, specialmente in questi tempi” – ha proseguito il Santo Padre – sono dunque “testimoni credibili” che con la vita e la parola “rendano visibile il Vangelo” e risveglino “l’attrazione per Gesù Cristo, per la bellezza di Dio”.
“Tante persone si sono allontanate dalla Chiesa” ha osservato il Papa. Tuttavia, “non è il caso di parlare di colpe”: “Ci sono responsabilità nella storia della Chiesa e dei suoi uomini, ce ne sono in certe ideologie e anche nelle singole persone” ha detto. Noi, “come figli della Chiesa”, non dobbiamo far altro che “continuare il cammino del Concilio Vaticano II, spogliarci di cose inutili e dannose, di false sicurezze mondane che appesantiscono la Chiesa e danneggiano il suo vero volto”.
Inoltre, sono necessari “cristiani che rendano visibile agli uomini di oggi la misericordia di Dio, la sua tenerezza per ogni creatura”. La crisi dell’umanità contemporanea è molto “profonda”, ha affermato il Santo Padre: la nuova Evangelizzazione deve allora utilizzare “il linguaggio della misericordia, fatto di gesti e di atteggiamenti prima ancora che di parole”.
Una cosa però è da precisare: la nuova Evangelizzazione non è il ‘compitino’ da svolgere nell’Anno della Fede; né tantomeno una missione che riguarda una cerchia ristretta. Il Papa l’ha spiegato bene: “Ogni battezzato è cristoforo, cioè portatore di Cristo, come dicevano gli antichi Padri”. Quindi “chi ha incontrato Cristo, come la Samaritana al pozzo, non può tenere per sé questa esperienza, ma sente il desiderio di condividerla, per portare altri a Gesù”.
Qui si passa al secondo punto: “andare incontro agli altri”. La nuova Evangelizzazione – ha rimarcato Bergoglio – “è un movimento rinnovato verso chi ha smarrito la fede e il senso profondo della vita”. Questo dinamismo “fa parte della grande missione di Cristo di portare la vita nel mondo” e coinvolge ogni cristiano, il quale “è chiamato ad andare incontro agli altri, a dialogare con quelli che non la pensano come noi, con quelli che hanno un’altra fede, o che non hanno fede”. Il cristiano – ha ribadito il Santo Padre – ha il ‘dovere’ di “incontrare tutti”, “senza paura e senza rinunciare alla nostra appartenenza”, perché “tutti abbiamo in comune l’essere creati a immagine e somiglianza di Dio”.
La Chiesa, da parte sua, “è inviata a risvegliare dappertutto questa speranza, specialmente dove è soffocata da condizioni esistenziali difficili, a volte disumane, dove la speranza non respira, soffoca”. Lì in quelle che Papa Francesco tante volte ha definito “periferie dell’esistenza”, c’è bisogno “dell’ossigeno del Vangelo, del soffio dello Spirito di Cristo Risorto”.
In questo senso possiamo immaginare i portoni della Chiesa come delle grandi porte girevoli, dove da un lato si entra “perché ognuno possa trovarvi accoglienza e respirare amore e speranza”; dall’altro si esce per “portare questo amore e questa speranza”, sotto la guida dello Spirito Santo.
Tutto questo, però, nella Chiesa, “non è lasciato al caso”, ma esige “l’impegno comune” per un progetto pastorale “ben centrato sull’essenziale, cioè su Gesù Cristo” ha sottolineato il Papa. È questo il terzo punto per una nuova e vera Evangelizzazione: “Non serve disperdersi in tante cose secondarie o superflue, ma concentrarsi sulla realtà fondamentale, che è l’incontro con Cristo, con la sua misericordia, con il suo amore e l’amare i fratelli come Lui ci ha amato”.
Ogni diocesi o parrocchia deve chiedersi infatti se la propria pastorale “rende visibile l’essenziale, cioè Gesù Cristo” oppure “è dispersiva, frammentaria, per cui, alla fine, ciascuno va per conto suo”. In questo contesto, Bergoglio, come già prima di lui Paolo VI nella Evangelii nuntiandi, ha sottolineato “l’importanza della catechesi”: “Il grande movimento catechistico ha portato avanti un rinnovamento per superare la frattura tra Vangelo e cultura e l’analfabetismo dei nostri giorni in materia di fede” ha ricordato.
Ha poi rievocato un’immagine già citata durante la visita nella Cattedrale assisiate di San Rufino: “bambini che non sapevano neppure farsi il Segno della Croce”. Un fatto che ha impressionato molto il Pontefice durante il suo ministero, soprattutto perché ciò non accadeva nelle favelas o in posti di estremo degrado, ma “nelle nostre città!”.
Le “periferie dell’esistenza” sono quindi dietro l’angolo; il ‘lavoro dei catechisti’ è perciò “un servizio prezioso per la nuova Evangelizzazione”. È importante però – ha concluso Papa Francesco – che “i primi catechisti” siano i genitori: “i primi educatori della fede nella propria famiglia con la testimonianza e con la parola”.