Carceri, associazioni verso una proposta di legge sulle pene alternative

Il presidente del CNV, Edoardo Patriarca: “Oltre un miliardo di risparmio e calo di sessanta punti nella recidiva”

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Per combattere il sovraffollamento delle carceri e incentivare trattamenti rispettosi del senso di umanità e dei diritti, le associazioni sono decise ad avanzare una proposta di legge per istituzionalizzare le pene alternative e i percorsi di rieducazione del detenuto. Intervenire sul piano normativo significherebbe infatti incidere sia sul piano economico sia su quello sociale. “Rafforzare la via delle pene alternative significa poter arrivare a un risparmio di oltre un miliardo di euro l’anno, cui si aggiunge l’abbattimento della recidiva di oltre sessanta punti”, spiega Edoardo Patriarca, presidente del Centro nazionale per il volontariato. 

“Oggi un detenuto costa circa 150 euro al giorno. In comunità, se introdotto in percorso alternativi di recupero, il costo scende a 50 euro. Un risparmio di 36.500 euro l’anno per ciascun detenuto”, prosegue Patriarca. “Ebbene, istituzionalizzando le pene alternative, con il coinvolgimento di trentamila detenuti attualmente reclusi si arriverebbe a risparmiare oltre un miliardo”.

In questo contesto si abbatterebbe anche la recidiva. “In assenza di misure alternative il tasso di recidiva nel primo triennio è dell’80 per cento, ma quando si adottano misure alternative la percentuale scende al 20. Riconoscere questo percorso significa quindi abbattere la recidiva di 60 punti. L’obiettivo che ci poniamo – spiega il presidente Cnv – è di mettere a sistema proposte, saperi ed esperienze. L’unione di azioni virtuose permette di favorire l’accoglienza, l’educazione e il reinserimento. Limitarsi a sottrarre i detenuti al sistema penale non ci permetterebbe di guardare oltre. Per questo è necessario investire nelle esperienze alternative. Tutto questo risolverebbe anche i problemi legati alla polizia penitenziaria, che oggi lamenta di essere in sotto organico”.

Cnv, Seac e Conferenza nazionale volontariato e giustizia, insieme alle associazioni e alle organizzazioni non profit che operano nel settore carcere, hanno avviato un percorso comune per arrivare alla redazione di una proposta di legge. Per raggiungere questi obiettivi, con percorsi condivisi e partecipati, è stato avviato un percorso già nel luglio scorso con la tavola rotonda ‘Carcere, gestire l’alternativa. Istituzioni e terzo settore a confronto’ organizzata presso la Camera dei Deputati di Roma. Cui è seguito un incontro a Rimini, nelle comunità dell’associazione Papa Giovanni XXIII (‘Dalla certezza della pena alla certezza del recupero’). Mentre a fine ottobre è già in programma un nuovo incontro a Firenze.

“E’ quindi necessario ribadire il principio del finalismo rieducativo della pena, che noi interpretiamo come un concetto di ‘relazione’. E’ in questa direzione che si muovono le comunità di accoglienza e tutti quei volontari che operano dentro e fuori dalle carceri. Queste azioni  sono destinate al ritorno del detenuto nella comunità. Perché rieducare significa appunto rispettare i valori fondamentali della vita sociale”, aggiunge Patriarca.

Del resto i dati fotografano una situazione apparentemente contraddittoria: se da una parte si certifica la diminuzione progressiva di reati dal dopoguerra ad oggi, dall’altra ci troviamo di fronte all’aumento fuori misura dei detenuti all’interno degli istituti penitenziari. “Un incremento dovuto anche agli effetti di norme come la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi e la ex Cirielli. Leggi che ‘producono’ carcere senza rispondere ai reali bisogni. E’ anche per questo – spiega Patriarca – che è necessario rivedere sia queste norme sia il catalogo dei reati”.  

Nel commentare il messaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e la prospettiva di un nuovo indulto, Patriarca ricorda i vincoli imposti all’Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. “Con la sentenza Torreggiani del gennaio scorso – conclude – ci è stato dato un anno di tempo per porre rimedio alla violazione dell’articolo tre della convenzione europea dei diritti dell’uomo, pena il pagamento di cifre ingentissime, stimate sui 50 milioni di euro, per indennizzare i detenuti che si troverebbero a vivere con meno di tre metri quadrati a testa. La scadenza è a maggio.

In questo contesto il messaggio di Napolitano sulla situazione disumana in cui versano le nostre carceri è un testo che andava letto con attenzione. Non mi è parso intelligente interpretare quelle parole come una proposta di amnistia per Silvio Berlusconi. Né penso sia stato utile da parte di Matteo Renzi liquidare con una battuta la riflessione del Presidente. Piuttosto vale la pena raccogliere la sfida e approntare una soluzione degna di un paese come il nostro: investire sull’edilizia carceraria, attivare le pene detentive alternative, depenalizzare alcuni reati”. Ed è proprio sui costi del carcere che è dedicata il 46esimo convegno nazionale del Seac, che si terrà a Roma l’8 e 9 novembre 2013.

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ZENIT Staff

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