Giovanni Paolo II il 21 ottobre 2003, nel discorso in occasione del suo ultimo concistoro per la creazione di nuovi cardinali, esortò coloro che il Signore «associa, con il sacramento dell’Ordine, in maniera più stretta, alla sua stessa missione» a rifuggire «ogni tentazione di carriera e di tornaconto personale». Benedetto XVI più volte ha richiamato dal cedere a tale desiderio; in uno degli ultimi suoi interventi, domenica 17 febbraio 2013 prima della recita dell’Angelus, ha evidenziato che nucleo centrale della seduzione demoniaca «consiste sempre nello strumentalizzare Dio per i propri interessi, dando più importanza al successo o ai beni materiali».
Che nel cuore umano, compreso quello dei ministri ordinati, vi sia l’inclinazione al protagonismo, esibizionismo e ostentazione onde ottenere ammirazione non meraviglia. La Chiesa insegna che a motivo del peccato originale la natura umana è «inclinata al peccato (questa inclinazione al male è chiamata “concupiscenza”). Il Battesimo […] cancella il peccato originale e volge di nuovo l’uomo verso Dio; le conseguenze di tale peccato sulla natura indebolita e incline al male rimangono nell’uomo e lo provocano al combattimento spirituale» (CCC 405).
Specificando ulteriormente tale realtà il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «La “concupiscenza”, nel senso etimologico, può designare ogni forma veemente di desiderio umano. La teologia cristiana ha dato a questa parola il significato specifico di moto dell’appetito sensibile che si oppone ai dettami della ragione umana. […] È conseguenza della disobbedienza del primo peccato. Ingenera disordine nelle facoltà morali dell’uomo e, senza essere in se stessa una colpa, inclina l’uomo a commettere il peccato» (CCC 2515).
Di conseguenza anche rispetto alla tentazione del carrierismo «ignorare che l’uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi» (CCC 407). Così a volte il famoso promoveatur ut amoveatur, ossia sia promosso affinché sia rimosso, diventa un assecondare tale inclinazione al protagonismo presente nell’uomo; a lungo andare tutto ciò può ingenerare vere e proprie strutture di peccato quali ad esempio “cordate” o fenomeni di collusione finalizzati al prestigio e acquisizione di posti di potere. Così accade che qualcuno, pur avendo amministrato in malo modo attività a loro affidate precedentemente – creando gravi dissesti finanziari e pastorali – si trovi a occupare posti di maggiore responsabilità inerenti ad aspetti in cui precedentemente si è mostrato se non proprio incompetente, almeno inadeguato.
Quindi la lotta al carrierismo è certamente una battaglia innanzitutto personale onde non cedere alla tentazione di primeggiare, ma anche un impegno comunitario di riforma che spesso comporta incomprensione e scherno. Così si narra che san Vincenzo De Paoli, nella sua opera di riforma della Chiesa, un giorno andò presso una casata nobiliare per comunicare che uno dei membri di famiglia, destinato alla carriera ecclesiastica, non sarebbe mai diventato vescovo. Come risposta ebbe, come era da aspettarsi, una sedia rotta sulle sue spalle!
Tuttavia in quest’opera è importante anche quella flessibilità riscontrabile in un brano delle annotazioni che papa Roncalli quasi quotidianamente lasciava sulle proprie agende. Infatti Giovanni XXIII nel suo secondo concistoro tenutosi il 14 dicembre 1959 creò otto cardinali. La lista dei nomi fu proposta dal Segretario di Stato, cardinal Domenico Tardini e l’unico aggiunto personalmente dal Papa fu quello di Francesco Marano.
Tale scelta pontificia risulta maggiormente significativa leggendo quanto scrisse lo stesso Giovanni XXIII nella sua agenda: «12 novembre, giovedì […] Buone intese con Tardini circa nomina definitiva 8 cardinali nel prossimo Concistoro. Anche Morano vi è compreso a 86 anni, insensibile ad ogni considerazione che rinunziando li farebbe tanto onore coram Deo et hominibus. Ho preferito da mia parte rendere omaggio senectuti anche se questa si accosta alla fatuitas mentis. Povero Morano: meglio lasciarlo morire in senectute bona: che funestare in amaritudine i suoi ultimi anni» (Giovanni XXIII, Pater amabilis. Agende del pontefice, 1958-1963, ed. critica a cura di M. Velati, Bologna 2007, p. 61).