Accomuna sia credenti che non credenti nell'impegno di riscattare la propria terra dal dominio della mafia; accomuna sia coscienze religiose che coscienze civili di tanti che credono nella legalità al di là di ogni appartenenza ideologica: ecco perché l’abbiamo sentito più che mai vicino e presente, don Pino Puglisi, negli incontri de “Il Cortile dei Gentili”, che proprio nel segno del dialogo tra voci diverse e della comune responsabilità, sono stati intessuti da mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo Metropolita di Catanzaro-Squillace e postulatore della causa di beatificazione del parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia “in odium fidei”, la cui beatificazione avverrà a Palermo il prossimo 25 maggio.
«Solo negli atei sopravvive oggigiorno la passione per il divino»: Gesualdo Bufalino, un altro grande siciliano, così scriveva nel suo Malpensante: lo si può intendere come un monito, per il fedele abitudinario, affidato soltanto a formule dogmatiche, senza lo scavo del comprendere intelligente e vitale. E proprio in questa direzione ermeneutica di ricerca e apertura si sono svolti a Catanzaro gli incontri “Il Cortile dei Gentili”, culminati, il 20 e il 21 aprile scorsi, nell’appuntamento conclusivo alla presenza del cardinale Gianfranco Ravasi.
L'incontro è stato vissuto intensamente in tre momenti (il primo, ospitato nell’aula magna dell’Università “Magna Graecia”; il secondo al Palasport, con i giovani e il dialogo col filosofo Salvatore Natoli; il terzo, in piazza, a Catanzaro) ed è stato moderato dal vaticanista del Tg2, Enzo Romeo: hanno partecipato anche Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Roma, e Michele Prestipino, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, che sono intervenuti dopo i saluti del rettore dell'università di Catanzaro, Aldo Quattrone. Le relazioni dei magistrati si sono incentrate sulla falsa religiosità dei mafiosi, marcata con altarini e processioni, manifestazione che si possono derubricare a vuota superstizione e a strumentalizzazione del sentimento religioso popolare.
Nella sua splendida Lectio Magistralis, Ravasi si è soffermato sul rapporto tra fede e religione: “La fede – ha spiegato - è il punto terminale più alto della relazione umana: invita ad andare oltre, a scoprire il senso ultimo delle cose. Dice Kierkegaard, ‘La fede è la più alta passione d'ogni uomo. Ci sono forse in ogni generazione molti uomini che non arrivano fino ad essa, ma nessuno va oltre’. La religione è invece una sorta di comportamento globale sociale. E come tale la religione, alle volte, può essere completamente priva di fede, come avviene nel fenomeno mafioso. La religione può anche essere quindi solo partecipazione alla ritualità o aggregazione ad una determinata comunità per ragioni diverse. Insomma, può avere dentro di sé il nucleo forte della fede ma può essere anche completamente vuota. E’ il fenomeno tipico della religiosità di un prete, funzionario del culto, che non crede più. I fedeli sono in grado di capire quando un prete è autenticamente credente o fa solo il suo mestiere. E’ facile capire quindi come una religiosità marcata può essere espressione solo di superstizione”.
“Ognuno di noi, - ha proseguito poi il Cardinale nella splendida omelia per la Santa Messa celebrata in Cattedrale - magari nel profondo del cuore, ha un’amarezza, un’insoddisfazione, una disperazione. Dio non solo ascolta ma vuole entrare pienamente nel dolore dell’umanità e, sceso sulla terra, asciuga le lacrime dal volto degli uomini introducendo il sorriso. La stoffa del tessuto della vita è intessuto di fili di dolore ma il filo della gioia anche se invisibile, è quello più importante e tiene insieme tutta la trama di quella stoffa”.
L’arcivescovo Bertolone ha rivolto parole di ringraziamento e di stima per il cardinale Ravasi, che ha portato un raggio di sole divino negli incontri del “Cortile”:
“La nostra comunità diocesana, in sintonia con le scelte di Benedetto XVI, portate avanti brillantemente dal Card. Gianfranco Ravasi Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che ringrazio, desidera dialogare: ecco quindi ‘Il Cortile dei Gentili’, una sorta di ‘luogo franco’ , come quello dell'antico tempio di Gerusalemme a cui potevano accedere anche i non ebrei e perfino i non credenti. Uno spazio ‘neutrale’ - nel senso di libero, cordiale e franco – dove gli uomini e le donne possano, in una qualche maniera, agganciarsi a Dio, anche senza conoscerlo, anche prima di trovare l'accesso al suo mistero”.
Esorta al dialogo, mons. Bertolone, sentendo come nel dialogo l’altro abita nel nostro cuore a prescindere dalla sua appartenenza religiosa:
“’Dialogo’ è parola d'ordine della Chiesa nel mondo contemporaneo, a partire dal Concilio ecumenico Vaticano II : significa saper ascoltare l'uno le ragioni degli altri ed essere capace di alimentare le risorse umane e spirituali dei credenti per promuoverne un ruolo attivo nella società. Vogliamo entrare dentro i grandi temi e problemi che affascinano, e spesso angustiano, i singoli e la nostra società”.
Muovendo dall'idea teologica che Dio non è ‘individuo’ ma ‘comunità’ (Trinità), quindi vera relazione d’amore, Mons. Bertolone pensa ad un’etica che non sia solo rapporto ‘io-tu’, di sapore intimistico, ma che si apra ad un ‘terzo’ e diventa comunione:
“In questo senso, insieme, credenti e non credenti, sondiamo i diversi aspetti del ‘mistero della condizione umana’. Nell’incontro conclusivo con Ravasi, li abbiamo condensati in tre parole chiave del nostro vivere individuale e comunitario: etica, religiosità, corresponsabilità.
(La seconda parte verrà pubblicata domani, martedì 23 di aprile)