“Storia religiosa degli Ebrei di Europa” è il volume presentato il 25 aprile al Castello Estense di Ferrara dall’Arcivescovo Mons. Luigi Negri e dal rabbino Giuseppe Laras, presidente emerito e onorario dell’Assemblea Rabbinica Italiana, già rabbino capo di Milano.
Pubblicato nella collana “Europa ricerche” della “Fondazione Ambrosiana Paolo VI”, il testo è frutto della XXIX Settimana europea svoltasi a Villa Cagnola (VA) nel settembre 2007, e contiene i preziosi contributi di eminenti studiosi del mondo ebraico; non solo ebrei ma anche cristiani.
Il progetto sotteso, a questo come agli altri volumi della collana, è lo storico discorso pronunciato dall’arcivescovo Montini il 12 settembre 1958, all’inaugurazione della statua di Nostra Signora d’Europa: “Abbiamo bisogno che un’anima unica componga l’Europa” che diede vita alla Fondazione Ambrosiana Paolo VI e ne definì lo scopo: il recupero delle radici europee e la riscoperta del contributo della tradizione cristiana all’unità del Continente, alla ricerca di un «supplemento d’anima» per l’Europa.
“Si tratta di un libro di straordinaria fattura e importanza – ha esordito Mons. Negri – una grande lezione di storiografia intelligente e appassionata che ha cercato di investire questo fenomeno così complesso e drammatico con ampiezza di documentazione e con intelligenza di lettura realmente eccezionali.
Questo libro ha la forza di suscitare la grande virtù della compassione, intesa come patire insieme le grandi vicende europee in esso narrate e approfondite”. Una premessa e due conseguenze nella relazione dell’Arcivescovo di Ferrara-Comacchio: la premessa è che storia non si chiude mai nel passato ma può essere superata, trascesa, in direzione del presente e del futuro: “la storia deve diventare l’oggi della coscienza di tutti noi e mettere in gioco la nostra responsabilità”. Dalla presa di coscienza di questa storia specifica due conseguenze per l’oggi.
La prima è che dobbiamo recuperare, con tanta gratitudine a Dio, le nostre identità: “l’identità dell’esperienza ebraica, nella sua straordinaria e terribile storia, a cui milioni e milioni di nostri fratelli ebrei hanno saputo rimanere fedeli, ma allo stesso modo l’identità cattolica, maturata nel tempo non senza fatica, tensioni, pericoli di divisione e che è sfociata nel Concilio Vaticano II, punto anche di grande svolta per il dialogo fra cattolici ed ebrei”.
E’ dall’approfondimento di queste reciproche identità che può svilupparsi la possibilità di un confronto vero e di una conoscenza più profonda. Benedetto XVI lo ha sottolineato nel suo memorabile discorso all’Università di Regensburg: cattolicesimo, ebraismo e cultura greca classica non possono essere scavalcate da chi vuole comprendere la vita della cultura e civiltà occidentale. Mantenere viva questa cultura e civiltà è una grande responsabilità reciproca nel contesto attuale. Coltivare le nostre identità per una conoscenza sempre più profonda, priva di strumentalizzazioni e, perché no, capace di trasformarsi in amicizia vera, che è la virtù dell’intelligenza, della consapevolezza matura, di un società civile e non barbara come l’attuale.
La seconda conseguenza: da queste identità può e deve nascere un movimento di profondo e comune impegno per l’uomo: “L’uomo ha bisogno dell’ebraismo attuale e del cattolicesimo attuale e di quella sana laicità su cui si è soffermato più volte il Magistero di Benedetto XVI, perché l’uomo di questo tempo è disperato. La disumanità delle grandi ideologie totalitarie e la debolezza che ne è seguita lo hanno segnato profondamente. Il risultato è l’apostasia da Dio che poi diventa l’apostasia dell’uomo da se stesso. In un mondo come questo occorre che le grandi religioni sappiano far fiorire, dalle loro identità e diversità, un impegno comune che sappia mettere l’uomo al centro. L’uomo nella sua intrascendibile dignità di creatura di Dio; libero perché ad immagine e somiglianza di Dio e capace di progettare ogni giorno la sua vita di fronte al Mistero come affermazione o negazione. Questa è la grande sfida che il terzo millennio pone al cattolicesimo e all’ebraismo. Questo è il cammino futuro del dialogo interreligioso. Non si deve limitare alle formulazioni teoriche e dogmatiche ma si misura e si verifica sull’utilità di bene e di giustizia che sa offrire all’umanità attuale”.
Per concludere Mons. Negri ha osservato che la produzione dei volumi della ‘Fondazione Ambrosiana Paolo VI’ sono stati certamente frutto della grande sensibilità del Card. Montini ma ciò è stato possibile proprio perché è stato Arcivescovo di Milano: “Milano rappresenta un ‘unicum’ nella storia italiana e non lo dico perché sono milanese – ha sottolineato Mons. Negri. E non ce ne abbiano i fratelli romani che hanno un’altra funzione nella storia della Chiesa e della società. A Milano la sensibilità per la propria identità è diventata sempre una straordinaria capacità di incontro, di dialogo e di benevolenza. E questo certamente il Card. Montini l’ha imparato frequentando quelle realtà e quella vita ecclesiale che porta i nomi di S. Ambrogio e di S. Carlo”.
Il Rav Giuseppe Laras è intervenuto per illustrare il volume sottolineando la sua natura unitaria, al di là dei diversi contributi: “tratta lo stesso tema da angolazioni diverse e ci offre un’immagine coerente e compiuta della storia religiosa degli ebrei di Europa”. Tracciando a grandi linee il percorso storico, Rav Laras ha fatto notare sia le differenze tra gli ebrei di Europa, tra le tradizioni occidentali e orientali (Sefarditi e Ashkenaziti) a cui va aggiunto il gruppo autoctono italiano, che le modalità con cui queste differenze hanno avuto origine: dalle vicende storiche in cui gli ebrei sono stati coinvolti. In particolare, e a scopo esemplificativo, ha illustrato il cambiamento di riflessione dell’ebraismo sefardita dopo l’espulsione dalla Spagna nel 1492: “fino a quando in Spagna ci fu una certa tranquillità la mistica ebraica si interrogò su Dio e i suoi comportamenti, poi dopo il 1492, dalle vicissitudini derivanti dall’espulsione, il pensiero mistico si concentrò non più su Dio ma sull’uomo e sul destino del popolo Ebraico”.
Sotto questo aspetto Rav Laras ha voluto ricollegarsi alla Shoah per sottolineare che le riflessioni rispetto alla presunta assenza di Dio e della sua giustizia (Teodicea) in quel contesto forse non sono poste in modo adeguato: “Ho studiato a fondo la questione e sono arrivato a questa conclusione: più che interrogarsi su dove era Dio, bisogna interrogarsi su dov’era l’uomo! Dio non c’entra, ma c’entra l’uomo: come ha potuto l’uomo compiere dei misfatti di questo genere. Ecco la vera domanda. Ecco perché, partendo dalla Shoah, dobbiamo cercare di cooperare per creare un uomo nuovo, incapace di programmare la distruzione di un popolo. Per realizzare questo progetto dobbiamo far si che l’uomo sia posto al centro dei sistemi etici, e ogni sistema etico deve essere eteronomo cioè far riferimento a valori esterni, provenienti da fuori, quali l’unicità, la dignità e la sacralità dell’uomo. Solo così si può sperare che non avvengano più nefandezze come la Shoah”.
In questa prospettiva di ricostruzione dell’uomo ho cercato, con il card. Martini, di rilanciare il dialogo ebraico-cristiano a Milano, consapevoli entrambi che al dialogo si fa quando ognuno è fedele ai propri fondamenti di fede. Solo così si può collaborare alla soluzione dei tanti problemi posti dalla nostra società”. Rav Laras ha terminato citando la frase ‘domani sarà meglio di oggi’, tipicamente messianica, perchè se riusciamo a convincerci di questo, affronteremo l’oggi con maggiore serenità e coraggio.