"Custodire e coltivare la vita. Perché essere corresponsabili?" (Prima parte)

Relazione di mons. Bruno Forte al Convegno delle Presidenze diocesane di AC

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Riprendiamo di seguito la prima parte della relazione tenuta ieri, venerdì 26 aprile, da monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, al Convegno delle Presidenze diocesane di Azione Cattolica, che si svolge fino a domenica 28 aprile presso la Domus Pacis a Roma sotto il titolo Abitare il mondo da figli. Educare oggi alla corresponsabilità”.

Il titolo della relazione è: “Custodire e coltivare la vita. Perché essere corresponsabili?”.

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Il termine che nella Bibbia corrisponde meglio all’idea di responsabilità è forse quello di “custodia”. Custodire vuol dire stare accanto all’altro con attenzione d’amore, rispettando e accompagnando il suo cammino, facendosene carico, coltivando la sua vita come bene assoluto. È in questo senso che l’Antico Testamento usa il termine “custode” (“shomer” in ebraico) in riferimento al Dio della storia della salvezza: “Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele. Il Signore è il tuo custode, il Signore è la tua ombra e sta alla tua destra” (Sal 121, 4-5). Analogamente a come l’Eterno custodisce la sua creatura, questa è chiamata a “custodire” il mondo in cui dimora e l’altro uomo come proprio fratello: “Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode” (Sal 127,1). L’oggetto del custodire, cui è chiamata la responsabilità morale di ogni essere umano, è molteplice: “Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!”. Così l’ha espresso Papa Francesco nell’omelia della liturgia inaugurale del suo servizio di vescovo di Roma, allargando peraltro lo sguardo all’intera famiglia umana: “La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene” (19 Marzo 2013). Riflettendo sul tema “Custodire e coltivare la vita. Perché essere corresponsabili?” vorrei soffermarmi allora su tre ambiti, considerando successivamente l’uomo come custode del creato, come custode dell’altro e come custode di Dio, che a sua volta lo custodisce in modo peculiare nel Suo popolo, la Chiesa dell’amore.

1. L’uomo custode del creato

Il creato è affidato all’uomo perché lo custodisca: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15). Che significato ha questa chiamata alla custodia? Creato per un atto di puro amore, conservato in essere per il costante attuarsi della donazione originaria, l’uomo e con lui l’universo intero “dimorano” nel mistero di Dio. Dio Trinità, il Dio che è amore ed eterna relazione d’amore, è il mistero del mondo, al tempo stesso e inseparabilmente l’origine, il grembo e la patria di esso. La “casa” del mondo rimanda alla “casa” trascendente, intima a ogni cosa più che ogni cosa a se stessa: la responsabilità, che la creatura libera e consapevole è chiamata ad esercitare verso ciascuna delle creature e verso l’insieme della “casa”, che è il mondo, si radica nel rapporto di tutto ciò che esiste alla sua divina “casa”, che è la Trinità trascendente, al tempo stesso rivelata e nascosta in tutto il creato. L’etica come “comportamento” (ἔθος) rimanda all’etica come “dimora” (οἶκος):l’agire morale deve essere conseguente al riconoscimento dell’ambiente vitale in cui la persona opera, quello penultimo delle cose create e quello ultimo del divino mistero che crea e sostiene l’universo intero.

Il fine del creato non può essere altro, allora, che quello dello stesso atto creatore: la gratuità dell’amore, la pura, diffusiva bellezza d’amare. Creato per amore, l’uomo è destinato a realizzarsi nella pienezza dell’amore: la gratuità che ne è l’origine, ne è non di meno il senso. Il Dio dell’inizio è il Dio del compimento, quando sarà tutto in tutti e l’universo sarà la Sua patria. Questo fine, per cui tutto esiste, è quanto il linguaggio della tradizione ebraicocristiana chiama la gloria di Dio: il termine dice la potenza e lo splendore dell’Altissimo, il Suo comunicarsi gratuito e creatore alle creature, e, da parte di queste, il riconoscimento della donazione, il destinarsi accogliente a Colui, che liberamente e per amore si è destinato ad esse: “Il mondo è stato fatto per la gloria di Dio”1. Il comportamento della creatura libera e consapevole sarà allora eticamente responsabile e spiritualmente fecondo se tenderà a celebrare in ogni scelta la gloria del Dio vivente, ad accogliere cioè il Suo amore creatore nell’atto sempre nuovo della donazione dell’esistenza, dell’energia e della vita, e a rispondere al dono col dono, all’amore con l’amore. Nel vivere questa risposta la creatura realizzerà la verità di se stessa secondo il progetto del Creatore: “Gloria Dei vivens homo, vita hominis visio Dei”2.

Quest’etica della custodia del creato, vissuta a gloria del Creatore, si esprime in tre forme fondamentali: il lavoro, il rispetto e la festa. Il lavoro porta in sé l’impronta dell’amore fontale del Padre: attraverso di esso l’uomo partecipa alla stessa azione creatrice di Dio nei confronti del creato. “L’attività umana individuale e collettiva, ossia quell’ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, considerato in se stesso, corrisponde al disegno di Dio. L’uomo, infatti, creato a immagine di Dio, ha ricevuto il comando di sottomettere a sé la terra con tutto quanto essa contiene, e di governare il mondo nella giustizia e nella santità, e così di riportare a Dio se stesso e l’universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le cose, in modo che, nella subordinazione di tutte le realtà all’uomo, sia glorificato il nome di Dio su tutta la terra”3. Il lavoro stabilisce con la creazione una relazione di trasformazione e di finalizzazione, che non dovrebbe mai essere di strumentalizzazione e sfruttamento. Il lavoro richiede tanto il riconoscimento delle cose create nella loro autonomia propria e nella loro finalizzazione al progetto di Dio, quanto il rispetto della persona umana nella sua vocazione a essere cooperatrice dell’azione divina sul mondo. In questo senso, la mancanza di lavoro offende la dignità più profonda dell’essere umano e deve essere avvertita come stimolo all’impegno e alla responsabilità di tutti, perché ciascuno possa esprimersi in maniera appropriata alla sua vocazione nel lavoro che è chiamato a svolgere. La relazione, che coordina l’iniziativa operosa della creatura umana con la dignità di ciascuna realtà creata, è stata espressa nella tradizione cristiana in maniera significativa dalla spiritualità monastica benedettina dell’“ora et labora”4. Il lavoro scandisce la giornata del monaco come una componente necessaria della sua vocazione alla glorificazione di Dio ed entra armonicamente nel ritmo del tempo qualificato dalla lode dell’Altissimo, inserendovi la natura con i suoi cicli e le sue stagioni. L’interiorità del tempo si salda, così, al
l’esteriorità dello spazio in un unico processo vitale, che è al tempo stesso gloria dell’Eterno e realizzazione del creato in comunione con la persona umana e la comunità degli uomini, non nonostante, ma attraverso le trasformazioni che l’attività umana introduce nei ritmi della natura, senza per questo sconvolgerli5.

La responsabilità ecologica si esprime, poi, nella relazione di rispetto verso la dignità di ogni creatura. Questo rapporto, fatto di sobrietà e di spirito di povertà, di attenzione e di ascolto discreto, riconosce e accoglie in ogni realtà creata l’evento della donazione da parte del Creatore, che in essa si compie, il miracolo, sempre nuovo e sorprendente, dell’atto di essere. Questo rapporto può essere caratterizzato con la categoria, propria della tradizione spirituale, della reverentia. Essa può essere illustrata con le riflessioni della Contemplazione per ottenere l’amore, con cui si chiudono gli Esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola: “Il primo punto è richiamare alla memoria i benefici ricevuti di creazione, redenzione e doni particolari… Il secondo è osservare come Dio abita nelle creature: negli elementi, dando l’essere; nelle piante, facendole vegetare; negli animali, facendo sentire; negli uomini, dando l’intendere; e così in me, dandomi l’essere, la vita, i sensi e facendomi intendere… Il terzo è considerare come Dio opera e lavora per me in tutte le cose create sulla faccia della terra, si comporta, cioè, come uno che lavora: così, per esempio, nei cieli, negli elementi, nelle piante, nei frutti, negli armenti… dando l’essere, conservando, facendo vegetare, sentire… Il quarto è osservare come tutti i beni e i doni discendono dall’alto: come la mia limitata potenza dalla somma e infinita di lassù; e così la giustizia, la bontà, la pietà, la misericordia… così come dal sole scendono i raggi, dalla fonte le acque…”6. Lo stupore e la meraviglia dinanzi all’evento sempre nuovo dell’amore, che è l’esistere della creatura, divengono spirito di azione di grazie, povertà recettiva del dono, rispetto e delicatezza verso tutto ciò che esiste. Scrive il teologo ortodosso Dumitru Staniloae: “Il santo lascia percepire, nei riguardi di ogni essere umano, un comportamento pieno di delicatezza, di trasparenza, di purezza nel pensiero e nei sentimenti. La sua delicatezza si estende anche agli animali e alle cose, perché in ogni creatura egli vede un dono dell’amore di Dio, e non vuole che questo amore sia ferito, trattando questi doni con negligenza o indifferenza. Egli rispetta ogni uomo e ogni cosa. Se un uomo soffre, o anche un animale, manifesta ad essi una compassione profonda”7.

Infine, l’etica ecologicamente responsabile anticipa nel suo rapporto con la creazione qualcosa del futuro promesso attraverso il riposo e la festa: solo l’uomo è in grado di pregustare il giorno della nuova creazione, in cui si attuerà pienamente la bellezza della presenza di Dio tutto in tutti. L’ottavo giorno, il giorno della resurrezione di Cristo, è pegno della domenica senza tramonto della definitiva creazione rinnovata. Celebrare il giorno del Signore è, allora, esigenza profonda di una spiritualità ecologica, che alla festa dell’uomo col suo Dio invita l’universo intero, nel superamento delle lacerazioni, nel rinnovamento dei rapporti fra uomini, animali e cose, in vincoli di comunione e di pace con tutte le creature. Un segno e uno strumento di queste relazioni rinnovate è il riposo: esso non è la semplice cessazione delle attività produttive, ma la rigenerazione di tutti i rapporti, il tempo in cui tutto è visto e trasfigurato nella prospettiva dello “shalom” biblico, della creazione unificata in Dio. Nulla illumina meglio il senso teologico e spirituale del riposo che la concezione ebraica del Sabato, il giorno appunto della “menuchà”, del riposo di Dio (cf. Gen 2,2 ed Es 20,11): “Lungo tutto l’arco della settimana siamo sollecitati a santificare la nostra vita impiegando le ore dello spazio. Nel giorno del Sabato ci è dato di partecipare alla santità che è nel cuore del tempo… Il riposo pulito e silenzioso del Sabato ci conduce a un regno di infinita pace, alla fonte di consapevolezza di ciò che significa l’eternità… L’eternità esprime un giorno”8. Il Sabato è l’ultimo giorno, come la Domenica è il primo: il “settimo giorno” sta all’“ottavo” come il riposo alla festa; il compimento vissuto e gustato nell’uno si coniuga al nuovo inizio celebrato nell’altra. Esempio della capacità di relazionarsi al creato nell’armonia del riposo e della festa, è la spiritualità francescana della “custodia”: ispirata a un rapporto di pace e di bene con l’universo intero, essa è anche carica della tensione anticipatrice della creazione rinnovata. Francesco nel suo “Cantico delle creature” loda l’Altissimo “cum tucte le creature” e “per” loro, cioè inseparabilmente con esse, a ragione di esse e attraverso di loro, in un legame di comunione e di solidarietà col creato. “Custodire” il creato è al tempo stesso vivere la pace del riposo sabbatico in solidarietà con esso, e aprirsi alla festa della donazione sempre nuova del Creatore in spirito di “perfetta letizia”. Francesco unisce la spiritualità del Sabato all’esperienza gioiosa del giorno del Risorto9.

Benedetto, Ignazio, Francesco offrono, dunque, tre modelli eloquenti delle attitudini fondamentali proprie di un’etica e di una spiritualità ecologiche, che, radicate nella fede trinitaria, fanno dell’uomo il custode del creato secondo il disegno di Dio: lavoro e riverente accoglienza, riposo nella pace del compimento e festa nella gioia del nuovo inizio accomunano l’uomo e il creato in uno stesso rapporto di amore, che partecipa dell’amore creativo dei Tre, e celebra, nella responsabilità verso la grande “casa” del mondo, la gloria della Trinità, “dimora” trascendente e santa di tutto ciò che esiste.

Che cosa questo comporta per il cammino formativo proprio dell’Azione Cattolica? La scelta pedagogica dell’Associazione dovrà proporsi sempre più di educare all’atteggiamento della “custodia” del creato, radicato in un’etica e in una spiritualità ecologiche fondate nella fede trinitaria. La sensibilità alla dignità del lavoro, alla relazione di rispetto verso la grande “casa” del mondo e alla celebrazione feconda della festa, nel riposo rigenerante specialmente dell’ottavo giorno, dovranno essere attenzioni costanti, presenti in tutte le fasi della vita di chi aderisce all’Azione Cattolica e al suo progetto formativo.

(La seconda e ultima parte verrà pubblicata domani, domenica 28 aprile)

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NOTE

1 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae 1 q. 46 a. 2.

2 S. Ireneo, Adversus Haereses, IV, 20, 7.

3 Concilio Vaticano II, Costituzione Gaudium et spes, 34. Cf. anche l’Enciclica Laborem exercens di Giovanni Paolo II (1981).

4 Cf. S. Benedetto, La Regola, Testo, versione e commento a cura di A. Lentini, Montecassino 1980², cap. 48, 418ss.

5 Dove questo avvenisse, il lavoro umano contribuirebbe alla crisi ecologica, non a caso attribuita alla sfasatura tra i “tempi storici” e i “tempi biologici”, fra i velocissimi tempi della tecnologia e i lentissimi tempi della biologia: cf. E. Tiezzi, Tempi storici, tempi biologici, Garzanti, Milano 1984.

6 S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, IV Settimana, Contemplatio ad amorem.

7 D. Staniloae, La preghiera di Gesù
e lo Spirito Santo
, Città Nuova, Roma 1988, 23.

8 A. Heschel, Il Sabato, Garzanti, Milano 1987, 163.

9 Regola non bollata (1221), 17,17ss.: 49. Cf. C.B. Del Zotto, Creato, in Dizionario Francescano, Padova 1983, 279 299.

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Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

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