Francesco Fantin, prete nel Far West brasiliano (Seconda parte)

Morto il 12 aprile scorso, padre Chico “ha fatto stare in ginocchio i più famosi pistoleri e capibanda”

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Chiedo a padre Francesco se i suoi parrocchiani sono religiosi. Risponde: “Sono tutti battezzati e sposati in chiesa, hanno una religiosità popolare intensa ma anche superstiziosa. In fondo è buona gente, generosa, pronta ad aiutare chi è in difficoltà, ma vivono in posti di pionieri, di briganti, di sbandati che vengono anche dall’Argentina e dal Paraguay per sfuggire la legge. D’altra parte, dalla Chiesa hanno ricevuto poco. Non c’è mai stata vera evangelizzazione. Negli anni cinquanta, c’era un parroco che girava con due pistole ai fianchi e aveva due giovanotti grandi e grossi, buoni tiratori, che gli facevano da guardaspalle. E’ una popolazione abbandonata, per forza di cose domina la violenza. Per dirti com’è la situazione, sono venuto a sapere che in una delle mie cappelle il presidente della cappella aveva ammazzato 14 persone: era il più forte del paese ed era normale che fosse lui il presidente. C’è voluta molta diplomazia e trattative per cambiarlo senza fargli perdere la faccia. Con l’aiuto di Dio e la cordialità con tutti, sono riuscito a far rispettare due regole precise: chi viene in chiesa deve lasciare fuori le sue armi: c’è una capanna con un custode che le tiene, le registra e le restituisce all’uscita. Secondo: nelle feste del santo in ogni paese, all’inizio della giornata le armi personali le requisisco io e le restituisco al termine della festa. Queste feste del santo sono il momento di ritrovo, arriva gente anche da lontano, c’è la Messa solenne, la processione, danze, gare di tiro alla fune e altri giochi. Ma a questi raduni popolari ci scappa sempre il morto o i morti. All’inizio tutti vanno d’accordo, poi bevono, si sfidano, si scaldano e si sparano o si accoltellano.

“Mi sono messo d’accordo con i capi di ogni paese dove si svolge la festa. Ho detto: “Se non deponete le armi, non celebro la Messa e non faccio passare il santo per le vie del paese”. Così, al mattino tutti sono controllati da alcuni “vigilantes” autorizzati e non possono tenere nemmeno un coltello. Le loro armi, debitamente registrate, sono messe al sicuro. Così le feste hanno cominciato a svolgersi senza sparatorie nè accoltellamenti. In uno di questi paesi un uomo mi diceva: “A memoria d’uomo non c’è mai stata la festa di San Sebastiano senza che ci fosse almeno un morto. Adesso sei venuto tu e hai fatto il miracolo”. Debbo dire che oggi tutti mi ringraziano. A dir la verità, diverse volte sono stato minacciato di morte e dormivo fuori casa per paura che venissero a prendermi. La mia casa in legno su palafitte è vicina alla foresta e non ha altre case intorno. Qualche volta mi sono salvato da chi voleva farmi del male, minacciando maledizioni: sono superstiziosi e alla benedizione del prete o alla maledizione ci credono. Una notte sono venuti tre ladri a rubare le due vacche che hanno le suore, che danno latte per gli orfani, perchè in casa ne abbiamo una ventina: sono orfani di pistoleri ammazzati. Le suore si sono accorte e hanno cominciato a gridare. Io mi alzo, prendo la pila e vado verso la casa delle suore. C’è la luna piena, è chiaro come di giorno. Incontro i tre che scappano senza aver potuto prendere le vacche: hanno paura che accorra la gente del paese e allora li ammazzano di botte. Ci vediamo sul sentiero e ci fermiamo a pochi metri di distanza: io di fronte ai tre che hanno le pistole in mano. Allora, prima che possano spararmi, alzo le mani e grido forte: “Se mi sparate vi dò una maledizione con la mano sinistra e rimanete fulminati”. Il capo dei tre mi viene incontro con la pistola abbassata e mi dice: “Prete, lasciaci andare e non ti faremo niente”. Con tutta la fifa che ho in corpo grido: “Scappate pure nel bosco ma non tornate mai più da queste parti”.

Questo il padre Francesco Fantin, un vero missionario di Cristo. La seconda parrocchia in cui l’ho incontrato nel 1995 è quella di Frutal nel Minas Gerais. Nel 1987 il vescovo di Uberaba aveva chiamato il Pime per rimettere in piedi la parrocchia centrale della moderna città con 70.000 abitanti e due parrocchie. I religiosi, che vi lavoravano da 51 anni, si stavano ritirando e la riconsegnavano al vescovo in una situazione molto difficile. Negli ultimi otto anni tre sacerdoti avevano lasciato e uno era l’idolo dei giovani, lo scandalo era stato enorme, la gente era divisa, la parrocchia abbandonata, la casa parrocchiale spogliata di tutto. I primi tre missionari, Giorgio Pecorari, Giuseppe Negri (oggi vescovo di Blumenau in Santa Caterina) e Graziano Rota, hanno lavorato sodo per sette anni e poi nella parrocchia li hanno sostituiti altri tre del Pime, Benedito Libano (brasiliano), Francesco Fantin e Beppino Sedran. Quando all’inizio degli anni duemila la parrocchia è ritornata alla diocesi, i parrocchiani e il vescovo erano così contenti, che ha tentato di trattenere l’Istituto, ma ormai i missionari avevano preso altri impegni. Troppo lungo raccontare come la parrocchia di Frutal è rinata, rimando al volume “Missione Brasile – I primi 50 anni nel Brasile del Sud (1946-2006), che ho scritto per la Emi (pagg. 384, Euro 12).

(La prima parte è stata pubblicata ieri, sabato 20 aprile)

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Piero Gheddo

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