Quando l’apostolo Pietro venne sepolto, come già precedentemente illustrato, in una tomba ‘terragna’ nei pressi del circo di Caligola, la sua memoria rimase vivida nelle menti dei primi cristiani ma l’ubicazione della sua tomba venne ben presto dimenticata a causa del fatto che i cristiani, in quei rari periodi in cui non venivano perseguitati, erano considerati sospetti e quindi impossibilitati a praticare liberamente la propria fede. Soltanto con la stipula a Milano del famoso editto ‘di Tolleranza’ (promulgato nel 313 con l’accordo tra l’imperatore d’Occidente Costantino e l’imperatore d’Oriente Licinio), si pose fine alle persecuzioni e venne sancita, dal punto di vista religioso, la neutralità dell’impero. Successivamente, con l’editto di Tessalonica voluto dall’imperatore Teodosio nel 380, il cristianesimo divenne ufficialmente l’unica religione dell’impero. Questo diede modo ai cristiani di acquisire quella libertà che gli permise di edificare luoghi di culto (spesso costruiti in aree cultuali pagane o nei pressi delle sepolture dei martiri) ad imperitura gloria e lode a Dio.
In seguito al martirio dell’Apostolo Pietro venne edificata una piccola edicola funeraria (definita ‘Trofeo di Gaio’ dal nome dal presbitero che ne ordinò l’edificazione) che contenesse le sue reliquie ma, contrariamente a quello che si è portati a pensare, i pellegrinaggi sulla sua tomba furono molto numerosi, probabilmente fatti ‘con discrezione’ e scaglionati nel tempo. Questi episodi sono testimoniati dai molti graffiti in lingua latina ritrovati nei pressi del cosiddetto ‘Muro G’, una piccola struttura intonacata di rosso su cui si appoggia l’edicola funeraria. Un’iscrizione in particolare attirò, all’atto del ritrovamento, l’attenzione degli studiosi, in quanto i termini PETR[…] ENI[…] vennero interpretati come ‘Pétr[os] enì’ cioè ‘Pietro è qui’ oppure ‘Pétr[os] en i[réne]’ tradotto come ‘Pietro in Pace’. Il ‘Trofeo di Gaio’ venne inglobato dall’imperatore Costantino all’interno di un’altra edicola più grande ricordata dallo storico Eusebio di Cesarea. E’ su questo monumento costantiniano che vennero edificati nel tempo gli altari di Gregorio Magno (590-604), di Callisto II (1123) e di Clemente VIII nel 1594, poi coperto dal baldacchino del Bernini posizionato in corrispondenza della cupola michelangiolesca.
L’avvio degli scavi alla ricerca della tomba di Pietro fu piuttosto casuale. Tutto iniziò quando papa Pio XI decise di farsi seppellire, alla sua dipartita, in un angolo specifico delle Grotte Vaticane che risultò essere troppo angusto per potervi collocare il sarcofago Decisero quindi di abbassare il livello del pavimento ma durante le operazioni di scavo si intercettò un cornicione di un tetto, in seguito identificato come il cornicione di una tomba monumentale. Il ritrovamento indusse lo Stato Pontificio ad approfondire le ricerche fino a quando si identificò un’intera necropoli formata da tombe pagane e cristiane, la cui datazione si inoltra fino alla seconda metà del III secolo d.C. Le grandi tombe monumentali (quelle che oggi chiamiamo ‘sepolcri di famiglia’), erano in parte destinate come ‘colombario’ altre erano invece delle vere e proprie domus onde poter seppellire i defunti appartenenti ad intere famiglie. Alcune sono riccamente decorate da marmi pregiati, sarcofagi intarsiati, pavimenti in mosaico e affreschi parietali, questi ultimi spesso riproducesti scene di vita quotidiana, elementi floreali ed animali, nonché scene di banchetto.
La prima campagna di scavi venne effettuata nel decennio 1939/1949 durante tutto l’arco della Seconda Guerra Mondiale, nonostante fosse sempre presente il timore di alterare irrimediabilmente il contesto archeologico più importante della cristianità, ma anche di creare danneggiamenti alla basilica soprastante, le cui fondazioni costantiniane poggiavano su una colmata di terra che aveva completamente seppellito la necropoli. Per l’occasione infatti, tutte le tombe monumentali vennero private della loro copertura ed interamente riempite di terra, onde evitare futuri cedimenti della basilica.
Nel 1950 venne dato l’annuncio da papa Pio XII del ritrovamento della tomba di Pietro ma non delle sue reliquie, rinvenute tre anni dopo dall’archeologa/epigrafista Margherita Guarducci, rinvenute poco distanti dall’originario luogo di sepoltura. Le reliquie erano avvolte in un panno di porpora intessuto di fili d’oro, le cui analisi hanno evidenziato appartenere ad un uomo di circa 60/70 anni d’età (attualmente ricollocate nella nicchia originale). Nonostante non si abbia l’assoluta certezza della reale appartenenza delle reliquie al ‘Principe degli Apostoli’ (anche se il panno color porpora intrecciato con fili d’oro rappresenti un indizio importante), la spinta della fede non porrà mai alcun dubbio nei cuori di ciascun fedele.
(La seconda parte è stata pubblicata sabato 13 aprile. La quarta puntata uscirà sabato 27 aprile)
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.