È il luogo più pericoloso del mondo per un essere umano: il grembo materno. Se i numeri hanno un significato, più delle parole, in Italia, dal 1978, sono stati eliminati circa 5 milioni di bambini. Il merito spetta alla legge 194, ipocritamente titolata “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Una legge che, fattivamente, mette contro madre e figlio, come nemici, l’uno contro l’altro. Se poi allarghiamo lo sguardo, nel mondo, al ritmo di 1 milione a settimana, si contano circa 50 milioni annui di bambini non pervenuti all’anagrafe della vita. Un ecatombe. Un genocidio di massa tollerato, ahimè, anche dalla gente comune, le cui coscienze sono state abilmente anestetizzate dalla cultura di massa che ha banalizzato il gesto che sopprime la vita. Quello che tutti noi abbiamo sperimentato come il “giardino della vita”, quello della nostra mamma, oggi per molti è il “cimitero della vita”. E chiunque osi solo porre, ipoteticamente, una soluzione di vita in alternativa, finisce nella gogna dei dogmatici dell’aborto. Nulla di nuovo però sotto il sole se “il destino dei profeti è quello di avere la testa mozzata”.
Eppure quel luogo, il grembo materno, è lo spazio dove accade, giornalmente, il miracolo della vita. È lì che ogni uomo, ogni scienziato, ogni ricercatore può davvero fare esperienza del “big-bang della vita”. Altro che il “big-bang del brodo primordiale” della nascita dell’universo, il big-bang che ha originato il mondo, irriproducibile su qualsiasi scala sperimentale! Il vero gioiello, la vera punta di diamante dell’umanità è lì, dentro quel mondo fatto di pareti uterine, sangue, processi bio-chimici, attenzioni, partecipazioni emotive, dove la perfezione diviene carne, un mondo dove c’è l’alba della vita. Il soggetto cardine del processo della vita è il figlio in grembo (con la partecipazione magistrale della mamma) che solo dal punto di vista lessico-scientifico assume i connotati di zigote, embrione, feto per poi una volta nato di neonato, bambino, adolescente, giovane ecc. ecc. in un processo senza soluzione di continuità.
È l’embrione la “pietra che i costruttori stanno scartando” nella società che si definisce moderna. Scartato perché degradato a “grumo di cellule” (chi non lo è?), “materiale umano vivente” (come potremmo non esserlo tutti?) – solo per citare alcune delle accezioni linguistiche che culturalmente uccidono il bambino in pancia -, l’embrione da punto di vista scientifico, sia che sano o malato, è una meraviglia. Basterebbe che l’ignoranza e la falsificazione lasciassero il posto allo stupore, all’estasi di trovarsi di fronte ad un capolavoro di vera ingegneria umana. Che una volta iniziato il percorso della vita, dal concepimento, non ha più termine. A meno che non intervenga una mano omicida che sopprima quella bellezza che va sviluppandosi.
L’embrione sin dalle primissime fasi di vita è un “perfetto direttore d’orchestra” che, interagendo con la madre, fa emergere piano piano ciò che è già insito nel proprio patrimonio genetico: lo sviluppo del viso, quello delle mani, il battito del cuore, la crescita dei capelli, la formazione del sistema nervoso, tutte manifestazioni del “bello che diviene” nel tempo della vita… Lo stupore di una donna quando può vedere e ascoltare il battito del proprio bimbo già dalla 5a- 6asettimana di gestazione è rilevatore di un mondo umano tutto nuovo che cresce. E che lascia senza fiato.
Eppure… eppure dinanzi allo spettacolo silenzioso della vita assistiamo ad una mattanza che lascia sgomenti: embrioni-figli (non lo si dimentichi mai che quello che c’è in grembo, fosse anche di poche cellule, è un figlio) gettati nel water perché “inaspettati” nel percorso di vita di una coppia, manipolazioni tecnico-scientifiche per selezionare la specie in presenza di “embrioni difettosi”, ibernazioni di embrioni per fecondazioni artificiali il cui risultato, se tutto va bene (e non sempre ciò accade), è di avere un bimbo in braccio e 4-5 fratelli dello stesso bimbo “congelati” in qualche freezer di clinica; sperimentazioni trans-umane per dar seguito al “tutto ciò che è tecnicamente possibile va realizzato” con incroci deliranti fra cellule embrionali umane e animali… Non c’è che dire: oggi dell’embrione ne facciamo buon uso, è diventato il “prezzemolo della sperimentazione”.
Dinanzi all’embrione, “giovanissimo essere umano” come acutamente lo chiamava il genetista Lejeune, si gioca la partita decisiva per la vita. È lui, l’embrione umano, la “pietra” sulla quale la società si sta sfracellando moralmente, culturalmente, giuridicamente e socialmente. Embrione trattato alla stregua di una cosa, usato, abusato, manipolato fino a divenire irrilevante. O filosoficamente, distinto dall’essere persona. L’embrione umano sarebbe, secondo una corrente di pensiero, sì un essere umano ma non persona (esistono esseri umani che non sono persone? e dove abitano? Quali diritti hanno? Quale parametro, quali criteri e chi li stabilisce per darci il patentino di essere umano persona?).
Significativa è l’esperienza che va maturando “La Quercia Millenaria” all’interno di quel patrimonio di racconti che le coppie offrono: una volta individuati i figli malati, a volte terminali, in grembo da alcuni medici la soluzione viene instradata attraverso la presenza di un “materiale da scartare”, è una “crescita inopportuna”, il consiglio che è “allucinante mettere al mondo figli con gravi patologie”, l’invito pressante “signora, non vorrà mica mettere al mondo un mostro!”… non mancano diagnosi sballate o approssimative e che comunque denotano un mancanza di umanità verso il figlio in grembo (che è sempre un embrione in sviluppo).
Vi è da riflettere dinanzi alle minacce, non più oscure, che la vita nel grembo materno subisce. Oggigiorno tornano attuali, ancora, le parole che il filosofo Romano Guardini, lucidamente, scrisse quando la tecnica e la selezione genetica non ancora “attaccavano” in profondità il capolavoro di umanità qual è l’embrione, quando non ancora, in modo sfacciato, si era disumanizzato l’embrione: “L’uomo è inviolabile non già perché vive e ha quindi ‘diritto alla vita’. Un simile diritto l’avrebbe anche l’animale, perché anch’esso vive… Ma la vita dell’uomo non può essere violata perché l’uomo è una persona. Persona significa capacità all’autodominio e alla responsabilità personale, a vivere nella verità e nell’ordine morale. La persona non è un dato di natura psicologica, ma esistenziale. Non dipende fondamentalmente da età, o condizioni fisico-psichiche o doti naturali, ma dall’anima spirituale che è in ogni uomo. La personalità può essere inconscia come nel dormiente; tuttavia esige già una tutela morale. In generale è pure possibile che non si attui perché mancano i presupposti fisio-psichici come nei pazzi o negli idioti; ma l’uomo civile si distingue appunto dal barbaro perché la rispetta anche in un simile involucro. Può anche essere nascosta come nell’embrione, ma già vi è e col proprio diritto. La personalità dà all’uomo la sua dignità; lo distingue dalle cose e ne fa un soggetto. Una cosa ha consistenza, ma non in proprio; effetto, non responsabilità; valore, non dignità. Si tratta alcunché come cosa, in quanto lo si possiede, lo si usa, e per finire lo si distrugge, vale a dire – per gli essere viventi – lo si uccide. La proibizione di uccidere l’uomo rappresenta il coronamento della proibizione di trattarlo come cosa… Il rispetto per l’uomo in quanto persona è una delle esigenze che non ammettono discussione: ne dipendono la dignità, ma anche il benessere e alla fine la durata dell’umanità. Se questa esigenza viene messa in forse, si cade nella barbarie. Ma è impossibile farsi un’idea di quali minacce possano sorgere per la vita e l’anima dell’uomo, se, privo del baluardo di questo
rispetto, viene consegnato allo Stato moderno e alla sua tecnica” (Il diritto alla vita prima della nascita, Vicenza 1985, pp. 19-21).
È dunque il caso, di “avere più teste mozzate”, mani accoglienti, sguardi di partecipazione amorevole verso chi si trova dinanzi ad una maternità inaspettata, ad un figlio scientificamente definito terminale (ma bisognoso comunque di amore e attenzione), ad una sterilità o infertilità accertate (che suonano come sconfitte miste a rabbia) per far comprendere, nei fatti e nella verità, che nella partita della vita egoismi, tecnicismi, arroganza e solitudine sono preludio di sconfitta. Della mamma, della coppia, della scienza. La vittoria scaturisce da una scienza capace di avere uno sguardo di umanità sul concepito. E di accompagnarlo verso la luce della vita dove ci siano braccia accoglienti. E un cuore a misura d’uomo.
* Alessandro Di Matteo è coordinatore del Ramo Abruzzo de La Quercia Millenaria Onlus
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