Alessandro aveva 56 anni, arrivò in Ospedale in una condizione molto dolorosa: un linfoma di alto grado con localizzazioni cerebrali e polmonari. Lo incontrai arrivando una sera per il turno di notte. Mi impressionò il suo aspetto trascurato, le poche cose in un sacco nero di plastica, una barba lunga, un pacchetto di sigarette sul comodino aperto da cui si vedevano alcune sigarette mezze fumate e deposte lì in attesa di essere fumate ancora.
Mi presentai, gli dissi chi ero e gli chiesi come stava; una risposta secca: “Malissimo”. Cercai di parlare un po’ con lui ma era difficile. Mi chiese: “Me lo fa un favore? Mi prenderebbe un caffè e una bottiglia d’acqua, non ho soldi e soprattutto non ho nessuno che me li possa portare…lo so, lei è un medico e non dovrebbe fare queste cose, ma per favore può fare questo per me?”. Gli portai quanto mi aveva chiesto e cominciò a raccontarmi un po’ di cose; mi resi conto che alcune non erano vere, ma posi attenzione su tutte, su quelle vere, su quelle probabilmente vere e su quelle assolutamente false. Ci salutammo e come dico a tutti gli dissi, tenendogli le mani: “Se hai bisogno questa notte chiamami”.
Nei giorni successivi i miei incontri con Alessandro si riempirono di significato, tra una richiesta e l’altra di cose materiali, di cui effettivamente aveva bisogno. Iniziai a conoscere il suo cuore ricco di ferite, di cose non belle, pieno di droga e di violenza, di abbandono e desiderio di amore. Non veniva nessuno a trovarlo e questo lo rattristava molto.
I giorni passavano e la sua salute peggiorava, il linfoma cerebrale dava segni di sé nonostante le cure. Cercavamo in tutti i modi di rintracciare la sorella che non vedeva ormai da anni, ma tutto risultava difficile. Un giorno comparve la sua ex compagna, alcolista e tossicodipendente anche lei; poi arrivò un amico drogato che creò in ospedale una serie di problemi anche gravi. Insomma non si riusciva a trovare qualcuno “dei suoi” in grado di dare ad Alessandro quell’affetto che ci urlava dal profondo del cuore.
Una domenica, mi chiamarono dal piano perché c’erano alcuni “strani soggetti” che si aggiravano nei corridoi. Mi avvicinai ed incontrai quei “piccoli piccoli” di cui parlava Gesù, quelli che agli occhi del mondo non sono degni neanche di compassione. Era un gruppo di sei-sette persone sfigurate dall’alcol e dalla droga, con gli occhi persi in quel mondo che avevano disperatamente cercato di raggiungere con queste dipendenze, ma che non avevano mai trovato.
Mi avvicinai a loro con molto rispetto e anche con un po’ di timore, li feci accomodare nel salottino dove riceviamo i parenti e con molta fermezza, ma anche dolcezza, gli dissi che ero contenta di conoscere gli amici che Alessandro aveva tanto cercato, che il posto dove erano aveva delle regole da rispettare, altrimenti avrei dovuto mandarli via. Assunsi il ruolo di “capo clan”, ed essi capirono subito.
Quando arrivò l’ora della fine delle visite, erano ancora lì. Spiegai loro che era ora di uscire e come scolaretti diligenti, si misero in fila e ognuno si avvicinava all’amico e lo salutava con un proprio aneddoto che potesse ricordargli il passato. “Alessà te ricordi quando ce ubriacavamo poi andavamo a mangià l’uovo fritto a Tor Bella Monaca”. “Alessà te ricordi er tunnel dell’Eur dove stavamo perché nun tenevamo casa e quanno venne a televisione tu parlasti pè tutti noi…”. “Alessà, te ricordi come ce semo divertiti…”.
Ognuno gli regalava un bacio sul viso e lui rispondeva con una lacrima. Mi resi conto che sulla sedia c’era una camicia con delle palme e il mare disegnati, chiesi di chi fosse e mi risposero che l’avevano comprata per Alessandro per il giorno della sua morte, perché doveva vestirsi allegro. Poi un giorno, ormai alla fine, arrivò la sorella. Un lungo dialogo, molto doloroso, quando ormai Alessandro non aveva più voce, né sguardo… Al sentire però la voce della sorella che lo chiamava, un movimento fece sì che le loro mani si stringessero. La sorella incontrò gli amici, all’inizio ci fu grande disprezzo.Un giorno le dissi: “Perché fa così con queste persone? In questi anni sono stati loro ad essere accanto a suo fratello. È vero, sono stati anni di droga, di alcool e di delinquenza, però loro c’erano e mi creda, gli vogliono bene con tutto il cuore; hanno accettato regole per loro impensabili, hanno superato se stessi per amore, per amicizia…”. Mi resi conto che il volto di quella donna cambiava e scoppiò in un pianto liberatorio.
Dopo due giorni, durante un lungo turno di pomeriggio e notte, andai da Alessandro e vidi la sorella che dialogava con gli amici. Alla fine ognuno si mise in fila e dopo aver salutato Alessandro, si avvicinò alla sorella e la salutò con un bacio a cui lei rispose con un abbraccio. Il mio cuore si commosse fino alle lacrime. Dio non lascia mai l’opera sua incompiuta: due giorni fa la sorella ha chiesto l’unzione degli infermi per Alessandro. Erano tutti lì, anche gli amici che forse non sapevano cosa fosse, ma non dissero nulla.
Il cappellano era malato e non si trovava nessuno. Chiamai allora padre Rinaldo che con la sua semplicità ha coinvolto tutti, sapeva bene che quelle persone non avrebbero potuto rispondere ai grandi riti, alle grandi celebrazioni, e dopo aver spiegato loro in modo semplice il sacramento dell’unzione, ha invitato tutti a recitare il Padre Nostro.
Tutti, ma proprio tutti, stretti intorno ad Alessandro, con gli occhi fissi su di lui, hanno pregato con un’intensità tale da sembrare di essere nella più grande cattedrale del mondo! Questa notte Alessandro è andato in cielo e questa mattina sono venuti gli amici che, in fila come scolaretti, hanno voluto ringraziare per il bene fatto all’amico e per il Padre nostro recitato insieme. In quella fila c’era anche la sorella…
* Enza Annunziata è membro dell’Istituzione Teresiana e medico oncologo nell’ospedale di Roma “Cristo Re”. Ha lavorato in Perù, in particolare nel fiume Napo (Amazon), con il Progetto Cultura e Solidarietà Domani (PRODOCS) e successivamente a Villa El Salvador (Pachacamac), alla periferia di Lima, in un progetto sanitario dell’Istituzione Teresiana.