I 50 anni della "Pacem in terris" (Seconda parte)

La portata profetica dell’enciclica del beato Giovanni XXIII

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[La prima parte è stata pubblicata ieri, mercoledì 17 aprile]

Le riflessioni di Giovanni XXIII partono dal fatto che Dio è il fondamento di ogni ordine morale. Su questo poggiano i diritti della persona (cap. I), che sono la base su cui è costruito l’edificio del documento: Rapporti tra gli esseri umani e i poteri pubblici all’interno delle singole comunità  politiche (cap. II), Rapporti fra le comunità politiche (cap. III), Rapporti degli esseri umani e delle comunità politiche con la comunità mondiale (cap. IV). All’interno di questo schema relativamente semplice, papa Roncalli afferma che la pace ha molteplici dimensioni, dalle relazioni individuali fino a quelle internazionali.

La pace non riguarda solo i rapporti tra gli Stati: riguarda tutti i livelli dell’esistenza umana e sociale, fino alla dimensione intima di ogni persona. Ciò lo porterà a parlare di un «disarmo integrale» che investe «anche gli spiriti» (n. 61).

Il Papa insiste molto sulle condizioni che rendono possibile la pace: un preciso ordine nell’universo e nella società, i cui quattro principi fondamentali sono verità, giustizia, amore e libertà. La pace non è soltanto assenza di guerra, ma è un insieme di relazioni fraterne tra le persone e tra le comunità.

Detto questo, Giovanni XXIII non propone una ideologia morale cristallizzata: individua le basi morali della vita individuale e collettiva, e le propone a ogni uomo di buona volontà.

L’enciclica della pace, esamina anche molte altre questioni: lo sviluppo, la collaborazione con i non cristiani, il lavoro, i poteri pubblici, l’immigrazione.  Ci soffermeremo su tre temi specifici:

1) La dimensione profetica dei diritti dell’uomo e della sua dignità. Il testo riprende i punti più importanti della Dichiarazione universale dell’ONU del 1948, ma, come è tradizione della Chiesa, insiste molto sui doveri che incombono su ciascuno. La chiave di lettura  si fonda sulla legge naturale, nella preoccupazione di riferirsi a una piattaforma che possa essere da tutti riconosciuta. Da questa riflessione, si svilupperanno molti movimenti cristiani e non cristiani, in difesa  dei diritti dell’uomo e della sua dignità.

2) Il disarmo. L’enciclica analizza bene il meccanismo della corsa agli armamenti atomici (n. 59): quando una parte investe nelle armi, la parte opposta vuole ristabilire l’equilibrio. Il Papa fa presente che «giustizia, saggezza e umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti» (n. 60). Giovanni XXIII l’argomentazione sulla buona ragione, ma anche sulla convenienza: che cosa potrà portare la guerra se non distruzione? Invita poi a un esame approfondito di un equilibrio internazionale autenticamente umano. Si tratta di posizioni classiche, in quanto invitano a ridurre «simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti», ma sono accompagnate da un forte appello alla «ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti» (n. 63), a una ricerca positiva della pace senza la quale ogni disarmo è impossibile.

3) Le istituzioni internazionali. Seguendo la tradizione che trova la sua genesi nell’opera del teologo spagnolo Francisco de Vitoria (XVI secolo), arricchita dal gesuita Taparelli d’Azeglio (XIX secolo) e da Pio XII, Giovanni XXIII, afferma la necessità di un ordine morale che tuteli il bene comune dell’umanità per richiedere la costituzione di un’autorità pubblica avente competenza e visione universale. Sottolinea ciò che gli sembra positivo nell’ONU, auspicandone l’adeguamento alla propria missione di garante dei diritti della persona umana. Quest’ultimo è un punto particolarmente importante: l’ONU usciva in quell’epoca dalla paralisi in cui l’aveva bloccata la guerra fredda; la sua opera in favore della distensione e dello sviluppo poteva lasciar sperare in un grande avvenire per tale istituzione.

Un’altro grande merito della Pacem in terris è quello di aver saputo accogliere le preoccupazioni di tutta l’umanità. La Chiesa è chiamata a raccogliere queste preoccupazioni tra cui  quella essenziale per la pace.

In questo possiamo vedere in fieri quella Chiesa che con Paolo VI diventerà «esperta in umanità»; la Chiesa è chiamata a difendere  ogni uomo nelle grandi  battaglie dell’epoca: indipendenza del Terzo Mondo, programmi di sviluppo, promozione della pace, diritti umani. Per Papa Roncalli in questo modo la Chiesa entra in comunione con le grandi correnti dell’epoca moderna, senza paure né ritrosie, riconoscendone tutti i valori. La Gaudium et spes svilupperà ulteriormente questa posizione.

Tutti questi elementi fanno comprendere il motivo del grande successo di questa enciclica. Successo che è andato ben oltre il mondo cristiano. La profetica visione, l’apertura a tutti gli uomini l’hanno diffusa al di là della comunità cattolica. Il linguaggio semplice e moderno, il tono fiducioso e positivo nell’avvenire ma esigente per tutti, rispondevano alle aspettative di molti alla fine della guerra fredda. Prima della Populorum progressio, fu certamente l’enciclica che ebbe la maggiore risonanza e diffusione. Rese più facile il dialogo con i non credenti, in particolare con i movimenti marxisti, riconoscendone gli elementi positivi e degni di approvazione. Rappresentò un notevole cambio di atteggiamento, specialmente per il riconoscimento dell’azione dei gruppi concreti di persone, siano essi di destra o di sinistra, in Paesi liberali o socialisti. Da qui la potenziale apertura del Vaticano verso l’Est Europa, sviluppata poi da Paolo VI e ancor più da Giovanni Paolo II.

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Carmine Tabarro

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