Ripercorrere i luoghi in cui i monaci calabresi vissero e le montagne e le grotte in cui gli uomini di Dio trovarono il silenzio: un modo suggestivo e affascinante di ammirare le bellezze naturalistiche, paesaggistiche e culturali di un territorio dove un monastero non è mai stato solo un luogo mistico ma bensì un vero e proprio centro di vita, capace di influenzare positivamente l’ambiente circostante. In questa direzione, si è avviata una feconda riflessione nell’ambito del concorso letterario “3M: Medioevo, Montagna, Monachesimo” promosso dall’Ostello della Gioventù di Carlopoli (comune della provincia di Catanzaro, ad una decina di chilometri dal grande Parco naturalistico della Sila) con la partecipazione e premiazione di diversi studiosi.
Fulgido faro che ha illuminato la riflessione dei convegnisti è stata l’esperienza dell’abate Gioacchino da Fiore, monaco esegeta, fondatore dell’Ordine dei Florensi nato a Celico (Cs) intorno al 1135 e morto in concetto di santità nel 1202, i cui resti mortali sono oggi custoditi all’interno della magnifica Abbazia di San Giovanni in Fiore. Egli, “di spirito profetico dotato”, come lo immortalò Dante, fu “profeta” dei tempi ultimi, latore di un messaggio intriso di stimoli per un rinnovamento a livello spirituale e civile : non è un caso che Ernst Bloch, padre del più sistematico pensiero utopico del ventesimo secolo, abbia dato grande attenzione alla sua opera, ritenendo la visione dell’Abate calabrese “l’utopia sociale più influente del medioevo”.
A coronare gli studi sulle “3M: Medioevo, Montagna, Monachesimo”, è stata la relazione dell’Arcivescovo Metropolita dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, mons. Vincenzo Bertolone, il quale sempre lietamente onora della sua presenza la comunità che lo chiama: egli ha sintetizzato in una ulteriore “M” le tre succitate: la “M” della parola “mistica”. Perché è la mistica, la spiritualità, il cuore della civiltà europea; quella mistica presente nella lettera pastorale di Bertolone “Andate e annunciate: conoscenza e amore o amore e conoscenza” dove leggiamo, tra l’altro, una bellissima citazione di J. Guitton: “Queste sono le radici della religiosità e poi della vita mistica. Il paradosso della fede è “chiudere gli occhi e vederci” […] il mistero nascosto, la bontà e il senso delle cose non si raggiunge attraverso la sola conoscenza. Bisogna ancora ragionevolmente scommettere che tutto è buono dietro il male, che dietro le nubi brilla ancora il sole. Questa sicurezza è la fede.”
La tensione dialettica tra fede, spiritualità, cultura e carità è apparsa in tutta la sua grandezza nell’opera di testimoni e santi calabresi: Gioacchino da Fiore, Bartolomeo da Simeri, San Francesco di Paola, e molti altri che si ergono nel rango di campioni della spiritualità, ascesi e civiltà calabra, civiltà segnata dalla compresenza di Greci e di Latini. In particolare penso proprio a Gioacchino da Fiore e a san Francesco di Paola. Il primo rappresenta l’impegno costante e inesauribile del logos, che ricerca nuovi sentieri per indagare la Rivelazione; il secondo, invece, testimonia la centralità dell’agape come senso e fine ultimo del logos e della vita comune degli uomini. Lungi dal ritenere alternative queste due differenti testimonianze di vita e di pensiero, ciascuna deve mettere in luce l’urgenza di coniugare le istanze, affinché la promozione della Calabria e del Meridione divenga effettiva e radicata nella dialettica tra “pensiero” e “carità”.
“Le radici della cultura europea – ha affermato Bertolone – si trovano precisamente nei monasteri: i monaci che si insediavano in valli paludose, le bonificavano fino a farle diventare giardini ospitali: nel grande sconvolgimento culturale prodotto dalla invasione di popoli barbari, i monaci non solo conservano i tesori della vecchia cultura ma insieme ne formano una nuova”.
L’indagine sulle radici monastiche dell’Europa di Bertolone ha evidenziato che il motto dei monaci era “ora et labora”: dunque non solo «prega» ma anche «lavora». Per quanto quindi riconosciamo le radici greche dell’Europa, notiamo che se la Grecia non avesse incontrato il cristianesimo avrebbe continuato a passare accanto, senza afferrarli, ad aspetti essenziali della cultura: il lavoro, l’economia, il rapporto con le cose. Per i greci, infatti, il lavoro non faceva parte della cultura: era una cosa da schiavi. Nel mondo greco il lavoro fisico era considerato l’impegno dei servi. Sarà il monachesimo a spiritualizzare il lavoro: e i luoghi coltivati diventavano “epifania” di presenza divina.
“Per la verità – ha continuato l’Arcivescovo – i monaci non avevano come scopo la cultura: il loro obiettivo era “ quaerere Deum”, “cercare Dio”. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. E anche oggi, come hanno affermato grandi teologi come Karl Rahner e il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, “il nostro secolo o sarà spirituale, o non sarà”. Dalle “3M” ci viene quindi riproposta la via della ricerca spirituale: non si tratta però di una ricerca senza bussole: Dio stesso ha piantato dei segnali di percorso e una via: la sua Parola, consegnata agli uomini nelle Sacre Scritture e che l’abate Gioacchino indagò con spirito profetico”.
Uno dei più imponenti impianti abbaziali del Medioevo cristiano in Calabria riguarda l’abbazia di Santa Maria di Corazzo e il suo insigne abate Gioacchino. L’abbazia, che ricade proprio nel comune di Carlopoli, fu centro religioso, politico e culturale di essenziale valore per oltre sette secoli. Soggiornò entro le sue mura anche il filosofo cosentino Bernardino Telesio. Oggi le sue maestose rovine si stagliano solitarie e potenti come monito all’indifferenza religiosa, politica e culturale degli uomini di questo tempo. E la novità dell’ordine florense, che trovo straordinariamente profetica nel valorizzare il laicato, è data dall’accettazione della presenza dei laici nella Congregazione religiosa. Si tratta di laici singoli o sposati con prole. A questi è concesso lavorare i terreni assegnati a ognuno dalla comunità.
Illuminante la sottolineatura spirituale-trinitaria di Bertolone: “L’abate Gioacchino da Fiore è luminoso faro, che si staglia tra le tempeste della storia e non si è mai confuso con le burrasche teologiche ed eretiche, sempre dichiarandosi fedele al Pontefice; nella sua speculazione teologica ha dato il primato alla contemplazione della presenza di Dio nella storia degli uomini. Una storia, abitata dalla Trinità, che si svela gradualmente e completamente, all’intelligenza dell’uomo spirituale che si mette in ascolto. Come afferma il teologo Moltmann: “È l’indiscusso merito di Gioacchino aver saputo pensare storicamente la Trinità e trinitariamente la storia”. Ora, se l’uomo è creato a immagine di Dio, del Dio tripersonale, deve portarne in sè i tratti essenziali: egli vive in queste coordinate trinitarie. Sull’immagine e somiglianza divina, che l’uomo porta in sé, si fonda tutto l’ethos umano. L’uomo è persona per questo essenziale riferirsi all’altro, per questa essenziale apertura all’altro: la relazionalità è per la persona il tratto distintivo; essa si realizza innanzitutto nel modello dell’accoglienza e del dono”.
L’epoca dell’Abate Gioacchino è quella delle grandi istanze spirituali, dei movimenti pauperistici, che culmineranno negli Ordini monastici ben orientati di Francesco d’Assisi e Domenico di Guzman. A sottolineare la spiritualità francescana che diversi punti ha in comune con quella florense, nel corso del convegno Anna Rotundo ha recitato il “Cantico delle creature”, nei cui “coloriti fiori” Gioacchino vedeva la ricchezza dei carismi presenti nella Chiesa. L’esperienza gioachimita si pone a cavallo tra due ep
oche, tra due visioni monastiche, tra due modi di meditare e mediare la Parola. Fa sintesi tra il monachesimo di Antonio Abate e quello più di taglio Occidentale che prevedeva forme di solitudine concatenate con momenti di vita comunitaria.
Il sogno di giustizia, di amore, di libertà e di pace che animava l’ardente speranza del riformatore calabrese innervi anche oggi la nostra vita e trovi nella contemplazione del mistero trinitario il suo grembo fecondo e la sua più vera espressione.