L'incredulità di Tommaso diventa la nostra speranza

Il Vangelo di oggi ci fa comprendere meglio il senso della Passione, morte e resurrezione di Gesù

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Questa è la domenica che chiude l’Ottava di Pasqua, otto giorni distinti, considerati dal punto di vista liturgico, un unico grande giorno, il giorno della resurrezione del Signore. 

Il Vangelo della liturgia odierna ci fa comprendere meglio il senso della Passione, morte e resurrezione di Cristo. 

Oggi è la domenica della divina misericordia, perché Gesù, attraverso il dono dello Spirito Santo, offre agli apostoli il perdono dei loro peccati. Ma questo immenso dono della sua misericordia non è destinato solo agli apostoli rinchiusi in quel momento nel cenacolo. 

Gesù Cristo, mediante gli apostoli, e di conseguenza per mezzo di tutti i sacerdoti della Chiesa, dona gratuitamente il perdono a tutti coloro che lo desiderano.

“Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi». Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».” (Gv 20,21-23). 

Oggi, e questo vale per sempre, il perdono dei peccati arriva a noi per mezzo della tradizione della Chiesa. Il perdono è il vero potere della Chiesa, un potere che gli è stato conferito direttamente da Cristo Risorto, l’agnello immolato che ha preso su di sé i nostri peccati e li ha distrutti sul legno della croce. 

La divina misericordia non è solo per coloro che si trovavano nel cenacolo il giorno di domenica, “la sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato” (Gv 20,19). La divina misericordia si vuole estendere anche su tutti coloro che si trovavano in quel momento fuori del cenacolo. Su tutti coloro che hanno perso la speranza nel loro Signore, su tutti coloro che non credono fermamente  nella resurrezione di Gesù Cristo. 

Questo è esattamente quello che accade all’apostolo Tommaso, che era presente con Gesù nel cenacolo durante l’ultima cena, il giovedì santo, ma era assente la sera della domenica di Pasqua. Durante quella indimenticabile sera della prima Pasqua cristiana, Tommaso è altrove. Egli ha ritenuto essere con qualcun’altro e fare dell’altro, non ha voluto riunirsi con gli altri apostoli. 

Quindi, il primo segno dell’incredulità di Tommaso è quello di essere assente dal cenacolo, è quello di avere rinunziato alla comunione con la Chiesa.

E questa è la situazione molto diffusa ogni nella Chiesa. La domenica è il giorno della resurrezione del Signore che viene celebrata nella comunione della Chiesa, nello stare insieme con i discepoli di Cristo.

Ma si preferisce essere altrove, perdendosi così l’evento più atteso e desiderato dal nostro cuore, l’essere testimoni della resurrezione del Cristo.

Si preferisce una fede al di fuori della Chiesa, ritenendo che è possibile conoscere Dio seguendo le proprie convinzioni, selezionando dalla dottrina cristiana ciò che ci è più utile, più conveniente per noi. Proprio in virtù di questo modo di pensare relativista dell’uomo di oggi, la situazione di Tommaso diventa un esempio eloquente di questo modalità di essere discepolo di Cristo, un modo di vivere la fede. però. che non conduce all’esperienza dell’incontro con il Risorto. 

Il giorno della domenica ci ricorda che la nostra fede deve essere eucaristica, deve essere una fede nel Signore Risorto realmente presente nell’Eucarestia. E’ proprio il perdono dei peccati, che ci viene donato gratuitamente nel Sacramento della riconciliazione, fa diventare la nostra fede eucaristica, ci fa vedere che i nostri peccati sono stati presi e annientanti. E proprio per il perdono che abbiamo ricevuto, possiamo andare incontro  al corpo di Cristo, e riconoscerlo Signore e Dio della nostra vita. 

La delusione di Tommaso negli eventi della Passione non gli aveva fatto passare del tutto la speranza in Gesù. Dopo qualche giorno, Tommaso si riaffaccia nel cenacolo dove si trovavano ancora gli altri apostoli, e riceve da loro l’annunzio della resurrezione di  Gesù Cristo, che ha mostrato a tutti i presenti i segni della sua Passione. 

A questo punto la fede di Tommaso ha un risveglio, anche se la sua incredulità rimane. Tommaso non si accontenta di credere attraverso l’esperienza fatta dagli altri apostoli. 

L’evangelista non specifica se gli altri apostoli hanno solo veduto o se hanno anche toccato i segni della passione. Però, una cosa è certa: Tommaso non vuole solo vedere, ma vuole anche toccare con mano, vuole una prova tangibile e non solo visibile. «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». (Gv 20, 25). 

Evidentemente quella testimonianza unanime degli altri apostoli non ha lasciato indifferente Tommaso, che riprende a frequentare la comunità dei discepoli. La Chiesa, proprio perché nasce dal dono dello Spirito Santo, è chiamata a non tenere per sè quello che ha ricevuto, ma è continuamente invitata a testimoniare l’evento della resurrezione, iniziando dal suo interno.

L’episodio di Tommaso, discepolo di Cristo, ci ricorda che anche noi, in alcuni momenti della nostra vita, siamo avvolti dalla nube tenebrosa dell’incertezza e dell’incredulità, anche se frequentiamo con una certa assiduità la liturgia.

La Chiesa si rinnova e cresce comunicando la resurrezione al suo interno, ai suoi fedeli. La la domenica diventa lo spazio e il tempo privilegiato per annunziare la pace e la gioia del Risorto, e così dissipare ogni dubbio e inquietudine dal nostro cuore. 

Ed è quello che accadde proprio a Tommaso. Egli questa volta, la domenica sucessiva, otto giorni dopo la domenica di Pasqua, era presente anche lui nel cenacolo. Gesù, dopo aver offerto il dono della sua Pace a tutti i presenti, si rivolge direttamente a Tommaso, e lo invita a vincere la sua incredulità, proprio attraverso ciò che gli impediva di credere, ossia il contatto diretto con le Sue piaghe. “Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!».” (Gv 20, 27). 

Gesù si rivolge a Tommaso, al grande assente della domenica passata. E questo vuol dire che Gesù si rivolge a noi, che delle volte siamo distratti, sfiduciati, scoraggiati per come è andata la settimana.

E cosa ci dice Gesù? Esattamente quello di cui noi abbiamo bisogno sentirci dire. Proprio dove è avvenuta una sconfitta, una delusione, una ferita, una morte, quello sarà il luogo dove poter sperimentare l’amore vittorioso del Risorto. 

Questo può avvenire solo quando riconosciamo che le piaghe di Cristo sono le ferite provocate dal nostro peccato, dalla nostra incredulità. E toccando le ferite di Cristo, riconoscendo il male che noi abbiamo commesso, veniamo sorpresi dall’agire di Dio. Non ci sentiamo accusati, ma avvertiamo la dolcezza del perdono ricevuto da Lui.

Sperimentiamo che il dono della fede, il credere che anche a noi è possibile oggi toccare misticamente le ferite di Cristo, ci dona la salvezza, perché sperimentiamo che anche le nostre ferite non sono più sanguinanti, ma cicatrizzate, guarite, perdonate.

Nessun medico della terra è capace di guarire le ferite del cuore, se non colui che ha plasmato il nostro cuore, Dio stesso. 

E dal contatto delle piaghe di Cristo, Tommaso vince la sua incredulità e professa la sua fede in Gesù Cristo morto e risorto. Rispose Tommaso: “«Mio Signore e mio Dio!».” (Gv 20, 28).  

A questo punto osserviamo un qualcosa di inusuale, perché Gesù si rivolge a Tommaso. ma in realtà sta parlando a tutti noi, sta parlando alla Chiesa di ogni tempo. “Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quel
li che pur non avendo visto crederanno!»” (Gv 20, 29).
 

Queste parole sono di grande consolazione perché la gioia, la beatitudine che deriva dall’esperienza di Gesù risorto, non è solo per i testimoni oculari della resurrezione di Cristo. La beatitudine, la gioia, la speranza di una vita piena è anche per tutti coloro che crederanno a questo evento, anche senza averlo visto con i propri occhi. 

Il grande insegnamento di questo Vangelo di Giovanni è che Cristo risorto può essere riconosciuto tramite la fede, quando sperimentiamo che le ferite del nostro cuore, causate dai nostri peccati, sono sanate quando entriamo in contatto con i sacramenti della vita cristiana.

Allora il sacramento della confessione, unito a quello della comunione, rappresentano il nostro stendere la mano verso il costato di Cristo Risorto. E solo tramite questo contatto di fede e di speranza scopriamo che il nostro peccato di incredulità è stato sanato, è stato perdonato. 

La riparazione del nostro peccato si attua con l’annunzio della resurrezione. Proprio come ha fatto l’apostolo Tommaso, che, secondo quanto ci racconta la tradizione, è arrivato fino ai confini della terra, in India, per testimoniare il grande evento della resurrezione di Gesù Cristo.

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Osvaldo Rinaldi

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