A corredo del primo numero di Credere, la gioia della fede, il nuovo settimanale popolare di Periodici San Paolo in uscita dal 7 aprile è stato inserito il volumetto di Papa Francesco: “Dio nella città”.
Cinquanta pagine che raccontano come un Pastore possa credere e insegnare che “Dio vive nella città”, dove ci sono tanti che non possono essere considerati “cittadini” perché esclusi, emarginati, stranieri e senza cittadinanza.
Le icone evangeliche di Zaccheo che, avuta la notizia dell’arrivo in città di Gesù sale sull’albero per vederlo, senza pensare che sarebbe stato visto e chiamato, così pure la guarigione di Bartimeo che da cieco questuante diventa testimone e araldo dei Cristo e poi ancora quella dell’emorroissa che si accontenta di toccare il suo mantello e riceve in dono la guarigione, sono tutte epifania di un incontro che, avvenuto in Città, rende possibile la presenza del divino nella storia della quotidianità.
Dio che è entrato nella storia dell’uomo, assumendone la natura e donando la sua vita per la salvezza, entra nelle nostre città, ha messo la sua tenda tra la gente, cammina con noi. Quando le sue orme non sono visibili sul terreno, ci rivelano il mistero della Misericordia, perché Dio ci ha preso in braccio e ci avvicina al suo cuore.
Il fatto che Gesù entra in Città, oggi laboratori di una cultura contemporanea complessa e plurale, impegna tutti ad uscire dalla propria solitudine e dal proprio nascondiglio e andarGli incontro. L’entrata di Gesù, si legge nel libro di Papa Francesco “ci spinge ad uscire per le strade” e lì avviene l’incontro con gli altri uomini che sono quel Gesù che non sempre si riesce a vedere: avevo fame… avevo sete… ogni volta che hai fatto ciò ad uno dei miei fratelli, lo hai fatto a me.
L’uscire implica l’incontro, e quindi l’accompagnarsi agli altri come i discepoli di Emmaus e quindi rendere fruttuoso il servizio nella carità, prendendosi cura degli altri e diventando lievito e testimonianza per altri che possono imitare tale gesto di vera carità. E’ questa la sintesi del documento conclusivo della V Conferenza dell’Episcopato latinoamericano di Aparecida – maggio 2007- che l’allora Card Bergoglio ha commentato.
Il buon Papa Francesco, che saluta con il semplice: “buona sera” e “buon pranzo”, diventa “maestro della pastorale urbana”, che si alimenta di azioni plurali. “Le città sono luoghi di libertà, e di opportunità; in esse le persone hanno la possibilità di conoscere altre persone, di interagire e di convivere con esse: Nella città è possibile sperimentare vincoli di fraternità, solidarietà e universalità. L’essere umano è chiamato a camminare sempre più incontro all’altro e a convivere con il diverso, ad accettarlo e ad essere accettato.”
La dimensione del “popolo” che dialoga con il suo Vescovo, secondo Papa Francesco, ed insieme pregano l’uno per l’altro, ha una direzione comune nel fare spazio a Dio, e “sentirci premiati “ da Dio che vive le nostre città, costruendo “ relazioni di prossimità per incarnare il fermento della Sua Parola in opere concrete.”
Lo diceva San Paolo (Rom, 13,1) raccomandando di essere “buoni cittadini” lo ripeteva Don Bosco che voleva tutti i suoi ragazzi come “buoni cristiani e onesti cittadini”, lo afferma la Chiesa e Papa Francesco lo ripropone, affermando che il vivere a fondo l’umano, in ogni cultura, in ogni città, migliora il cristiano e feconda la città, dandole un cuore.
“Saper guardare tutti ed osservare ciascuno”, regola d’oro della pedagogia del Buon Pastore che si prende cura di ciascuna delle pecorelle affidate, impegna il cristiano a saper vedere e guardarsi attorno.
Il “non vedere” il “non guardare”, il “passare oltre” come nella parabola del buon samaritano non è del fedele ai valori del Vangelo.
Con saggezza e puntualità Papa Francesco, citando anche Benedetto XVI, puntualizza il concetto del “non guardare” determinato da un “livellamento degli sguardi”. Lo sguardo di fede è contrapposto alle prospettive della scienza e dei mezzi di comunicazione e spesso è considerato “antiquato”; esso non riguarda soggetti astratti e paradigmi astratti, bensì, “guarda ecclesialmente delle realtà vive”.
Chi dorme per strada o davanti alle porte delle Chiese non può essere considerato come “parte della sporcizia e dell’abbandono del paesaggio urbano, della cultura dello scarto e del rifiuto”, ma, secondo lo sguardo di fede e la cultura della prossimità, che si apre agli altri, e ricalca la pedagogia del Padre del figliol prodigo, il quale c ogni mattina si affaccia dal terrazzo ed attende il figlio che ritorna alla casa del Padre e, vedendolo arrivare da lontano, gli corre incontro per abbracciarlo.
Nelle conclusioni Papa Francesco afferma che la fede, quasi una nuova “beatitudine”, migliora le città e consente di “vedere” “aprire gli occhi”, “allargare lo sguardo”. La fede che diventa carità accoglie l’altro, e nell’incontro si concretizza lo sguardo di chi sa amare. L’espressione evangelica nel racconto del giovane ricco: “Lo guardò e lo amò” diventa canone di prassi cristiana. “Lo sguardo dell’amore non discrimina, né relativizza perché è misericordioso e creativo”.
L’uscire da se stessi per incontrare gli altri in atteggiamento di prossimità, con lo sguardo rivolto al trascendente, capace di tradurre la fede in testimonianza ed in azioni di carità, costituisce la nuova sfida di Papa Francesco per una Chiesa che cammina e cresce nel servizio, seguendo con pazienza i ritmi del cambiamento, che si attuerà solo se ciascuno lo vuole e contribuisce ad attuarlo.