È un testo che nasce in vista della celebrazione del secondo centenario dell’Argentina, Noi come cittadini, noi come popolo. Verso un bicentenario in giustizia e solidarietà (2011-2016), quello coedito da Lev e Jaca Book, che ripropone un intervento tenuto dall’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio in occasione della XIII Giornata di Pastorale Sociale, organizzata dalla Commissione di Pastorale Sociale dell’Arcidiocesi di Buenos Aires e svoltasi nel santuario di San Cayetano de Liniers il 16 ottobre 2010.
“La storia la costruiscono le generazioni che si succedono nell’ambito di un popolo in cammino” annotava nella sua introduzione il cardinale Bergoglio, oggi Papa Francesco. Un popolo “che lotta per un senso, che lotta per un destino, che lotta per vivere con dignità”. Nella ricorrenza del bicentenario nazionale, in una storia che Bergoglio definisce “drammatica e piena di contraddizioni, spesso violente”, occorre pertanto “un’analisi serena, meditata, profonda”, che non ceda a “visioni decadentiste”, e in cui non prevalgano “acritiche visioni trionfaliste”.
All’inizio dell’intervento, il cardinale premette che “il sistema democratico è l’orizzonte e lo stile di vita che abbiamo scelto di avere e in esso dobbiamo dirimere le nostre differenze e trovare i nostri consensi”. Osserva che “in quanto dirigenti, spesso non siamo stati all’altezza delle sfide che abbiamo dovuto affrontare”, mentre “la nostra politica spesso non si è messa in modo deciso al servizio del bene comune”, trasformandosi invece “in uno strumento di lotta per un potere asservito a interessi individuali e settoriali; di conquista di posti e spazi più che di gestione di processi”. Essa inoltre “non ha saputo, non ha voluto o non ha potuto mettere limiti, contrappesi, equilibri al capitale per sradicare la disuguaglianza e la povertà, che sono i flagelli più gravi di questo momento storico”.
Sulla dimensione relazionale prevale piuttosto un “individualismo asociale e amorale”. Bergoglio ricorda però che bisogna “recuperare sempre più concretamente la propria identità personale come cittadino”, entrando a far parte di “un ordinamento, finalizzato al bene comune”, di una comunità nella quale “ciascuno ha un munus, un ufficio, un compito, un obbligo, un darsi, un impegnarsi, un dedicarsi agli altri”.
La piena identità di cittadino si acquisisce nell’appartenenza a un popolo, cioè “la cittadinanza impegnata, riflessiva, consapevole e unita in vista di un obiettivo o un progetto comune”.In tale prospettiva, la riflessione sul cittadino “culmina sempre in vocazione politica, nella chiamata a costruire con altri un popolo-nazione, un’esperienza di vita in comune attorno a valori e princìpi, a una storia, a costumi, lingua, fede, cause e sogni condivisi…”. Essendo chiamato a contribuire al bene comune, il cittadino “per ciò stesso fa politica, che, secondo il magistero pontificio, è una forma alta della carità”. E nel cittadino sono inseparabili “le tre categorie fondamentali dell’essere che i filosofi chiamano i trascendentali: la verità, la bontà e la bellezza”.
Vari elementi cospirano contro l’ideale di un progetto collettivo, e Bergoglio li elenca: il primato dell’interesse individuale, “questo individualismo arrivista, meschino”,il congiunturalismo e la visione a breve termine, la riduzione della politica a spettacolo.
Il cardinale espone quindi tre tensioni bipolari: fra pienezza e limite, fra idea e realtà e fra globalizzazione e localizzazione. Da esse derivano quattro principi, che occorre elaborare per crescere come cittadini: il tempo è superiore allo spazio, l’unità è superiore al conflitto, la realtà è superiore all’idea, e il tutto è superiore alla parte.
“Per essere cittadini non si può vivere né in un universalismo globalizzante né in un localismo folcloristico o anarchico” specifica Bergoglio. Qual è dunque il modello? “Il poliedro, che è l’unione di tutte le parzialità, che nell’unità mantiene l’originalità delle singole parzialità. È, per esempio, l’unione dei popoli che, nell’ordine universale, mantengono la loro peculiarità come popolo; è l’unione delle persone in una società che cerca il bene comune”.
Essere cittadini significa allora essere “chiamati a una lotta, a questa lotta di appartenenza a una società e a un popolo. Smettere di essere mucchio, di essere gente massificata, per essere persone, per essere società, per essere popolo”. Due i nemici della lotta: il “menefreghismo” e la “lamentela”.
Il cammino da percorrere consiste nella “riuscita di una cultura dell’incontro che privilegi il dialogo come metodo, la ricerca condivisa di consensi, di accordi, di ciò che unisce invece che di ciò che divide e contrappone”. Deve esserne autore “un soggetto storico che sia il popolo e la sua cultura, non una classe, una parte, un gruppo o un’élite”.
Questo l’appello finale dell’arcivescovo: “Dobbiamo recuperare la missione fondamentale dello Stato, che è quella di assicurare la giustizia e un ordine sociale giusto al fine di garantire ad ognuno la sua parte di beni comuni”. Il bicentenario è quindi “l’occasione per fissare politiche di Stato su temi che devono essere sottratti al congiunturalismo e alle pressioni politiche: i temi dell’educazione, della salute, del lavoro e della sicurezza”.
Monsignor Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, scrive nella presentazione dell’opera che la democrazia si rafforza “quando viene superato il congiunturalismo, il limite, e si aspira alla pienezza di vita, coltivando visioni di lungo periodo; quando nella soluzione dei conflitti si ricerca ciò che unisce e li si vede come occasioni per costruire qualcosa di nuovo e di superiore; quando non si rimane imprigionati nell’artificiale, nelle idee astratte e nei sofismi, ma si dà il primato ai problemi concreti delle persone”.
Nel concetto di popolo c’è una “vibrazione emancipatrice” – nota nella prefazione il sociologo José Paradiso – un “sentimento di cittadinanza attiva che esercita i suoi diritti ed esprime aspirazioni collettive”. Il coinvolgimento con la sorte e il destino di un popolo “è costruzione in comune e riconoscimento dell’altro. È lo sforzo per dotare di significanti che sottendano la partecipazione e il coinvolgimento non sporadico nella sorte della comunità, di tutti e di ciascuno. Coinvolgimento con chi ci è più vicino e con l’intera umanità” aggiunge Paradiso.