Un evento “davvero singolare” per tutta la Compagnia di Gesù. Così padre Antonio Spadaro SJ, direttore della Civiltà Cattolica, ha commentato l’elezione di Jorge Mario Bergoglio a Romano Pontefice, con il nome di Francesco.
Lo studioso gesuita è intervenuto stamattina in qualità di moderatore presso la sede di Civiltà cattolica, alla presentazione dei due istant book, Guarire dalla corruzione e Umiltà, strada verso Dio, editi da EMI, due brevi saggi del cardinale Bergoglio, pubblicati per la prima volta in spagnolo nel 2005, durante il suo ministero di arcivescovo di Buenos Aires.
Un gesuita che diventa papa, secondo Spadaro, è un fatto che può spiegarsi come segue: “Noi facciamo un voto speciale di obbedienza al Papa – ha detto il direttore di Civiltà Cattolica – perché lui ha una visione più universale della Chiesa e sa quali sono le frontiere sulle quali inviarci. Se uno di noi diventa Papa, questo fatto è da comprendersi come il più alto servizio alla Ecclesia universa”.
La visione della Chiesa di papa Bergoglio è “inclusiva”, ha proseguito Spadaro. Per usare le parole dell’allora arcivescovo di Buenos Aires, alla conferenza dei vescovi latino-americani di Aparecida del 2007, la Chiesa deve evitare la “malattia spirituale” dell’autoreferenzialità, che la fa rimanere chiusa in se stessa e invecchiare.
In quell’occasione il cardinale Bergoglio fu molto netto: «Tra una Chiesa accidentata che esce per strada e una Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima».
Nel libro Umiltà. La strada verso Dio, Bergoglio definisce l’autoreferenzialità «la muraglia di una ideologia difensiva»: l’atteggiamento opposto è dunque “quello di chi sa essere umile – ha commentato Spadaro – di chi non vede il mondo come un nemico ma «sa avvicinarsi agli altri»”. Nella sua capacità di avvicinarsi agli altri “Papa Francesco mi sembra un maestro”, ha aggiunto il direttore di Civiltà Cattolica.
L’altra mini-antologia, Guarire dalla corruzione, è stata definita da Spadaro “una vera bomba, specialmente ai nostri giorni”. In quest’ultima pubblicazione, il Papa spiega come l’ideologia e la presunzione di non farsi mettere in discussione, siano «il frutto di un cuore corrotto».
Si diventa corrotti, aggiunge Bergoglio, quando vi è «stanchezza della trascendenza» che porta alla «frivolezza», un atteggiamento molto più grave della lussuria o dell’avarizia, proprio perché appanna l’idea stessa di trascendenza e, quindi, di peccato.
Il corrotto è colui che “vive irretito dentro se stesso” e “non ha amici ma complici, «utili idioti»”, ha proseguito Spadaro, spiegando il pensiero del Papa.
Inoltre, quando Bergoglio parla di “povertà”, si riferisce alla “povertà gesuitica”, un concetto ben diverso dalla “ideologia della povertà” ed opposto alla «borghesia dello spirito» e al «clericalismo ipocrita». “Essere veramente poveri è essere veramente liberi – ha spiegato Spadaro -. Essere corrotti è essere imbrigliati in una trappola infernale”.
Un modo di pensare, per molti versi, in linea con quelli di un suo predecessore, il beato Giovanni XXIII, che nel 1960 aveva confidato all’allora direttore di Civiltà Cattolica, padre Roberto Tucci SJ (successivamente creato cardinale), che i rigidi protocolli del Vaticano lo mettevano a disagio e lo facevano sentire «come un detenuto». Papa Roncalli aspirava piuttosto ad essere un «bonus pastor per tutti, vicino al popolo».
Come il suo immediato predecessore Benedetto XVI, papa Francesco è in lotta “contro le radici della crisi dell’Occidente” e “contro la corruzione”. Entrambi i pontefici, pur così diversi, appaiono dei baluardi “contro la crisi della libertà al tempo della crisi dell’Occidente, che è anche economica ma non solo”.
Papa Francesco, ha proseguito Spadaro, non può quindi essere assimilato ad alcuna “categoria politica o sociologica” ma presenta una “profondità di contenuto che andrà tutta compresa”.
I suoi libri oggi presentati, inoltre, non sono di “pura devozione” e nemmeno di “pura denuncia”. L’impegno sociale che il Papa incoraggia, parte da “categorie spirituali” e la sua predicazione spinge in modo inequivocabile a una “riflessione su noi stessi”.
Papa Francesco, ha osservato Spadaro, a colloquio con ZENIT, va “dritto al cuore della gente” e unisce una “personalità di governo” con le “capacità pastorali” ma, al tempo stesso, è supportato da “contenuti molto forti”.
Non è un papa “intellettuale”, nel senso che non è “astratto”, tuttavia la sua riflessione nasce dalla “scienza dello spirito”. Egli attinge ad un metodo, quello della spiritualità ignaziana che implica “grande riflessione, anche sulle categorie culturali di comprensione”.
La sua virtù comunicativa, è la capacità di trasmettere messaggi senza le “barriere comunicative classiche dei discorsi intellettuali”. Il suo “ritmo” è quello tipico degli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio, quindi un “ritmo ternario” che aiuta la comprensione e la memorizzazione, attraverso le canoniche tre parole-chiave da estendere, ampliare e approfondire.
Papa Francesco, ha aggiunto Spadaro, sa utilizzare “immagini” e “metafore” molto forti che colpiscono l’immaginazione e che aiutano la memorizzazione. Ha inoltre una grande capacità di comunicare non verbalmente, usando la “mimica”, la “gestualità” e il “contatto fisico”.