"L'elevazione sulla croce è inseparabile dalla esaltazione nella gloria della resurrezione"

Omelia del cardinale Scola nella Domenica delle Palme

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Riportiamo di seguito l’omelia tenuta oggi nel Duomo dal cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, nella solenne celebrazione della Domenica delle Palme.

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1. «Così dice il Signore Dio: “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”» (Zc 9,9). Molti erano i pellegrini radunati a Gerusalemme in occasione della festa della Pasqua ebraica. Saputo che vi stava giungendo anche Gesù, gli corsero incontro accogliendolo come re e messia. Il Vangelo narra l’episodio in modo asciutto ma vivido.

Anche noi, radunati da varie nazioni, abbiamo appena rivissuto questo gesto. Ringrazio con molto calore la comunità filippina che ha voluto essere presente così numerosa. La partecipazione alla liturgia di persone di diverse civiltà e culture che ormai abitano la nostra città è un segno assai prezioso della missione di Milano che Benedetto XVI ci ha assegnato nella recente Visita ad limina: «La Lombardia è chiamata ad essere il cuore credente dell’Europa».

Torniamo ora alla folla acclamante di Gerusalemme. Essa guarda a Gesù come ad un re-guerriero, ad un messia nazionalista che avrebbe liberato Israele dal dominatore romano. Invece Gesù, con il gesto di cavalcare un asinello (il cavallo era la cavalcatura regale in tempo di guerra, l’asino invece in tempo di pace) sconvolge questa loro immagine. Il Suo regno sarà di altra natura.

Come sarà? Per capirlo il Prefazio ci offre un prezioso suggerimento. «Tu hai mandato in questo mondo Gesù, tuo Figlio, a salvarci perché, abbassandosi fino a noi e condividendo il dolore umano, risollevasse fino a te la nostra vita». Non si comprende a fondo l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme se non si tiene presente la Sua passione ormai imminente.

2. Oggi inizia la Settimana Santa(o autentica), cioè eminente, la fonte ed il vertice dell’intero anno liturgico. E noi sappiamo che la liturgia rende attuali, cioè presenti, i fatti della storia della salvezza. La celebrazione sacramentale li offre qui ed ora alla nostra libertà. L’Epistola – il celebre inno cristologico, probabilmente in uso nelle comunità dell’Asia, che Paolo inserisce nella Lettera ai Colossesi – spiega il significato del trionfo di Cristo di cui l’ingresso osannato in Gerusalemme è un anticipo. L’inno parla del «primato di Cristo su tutte le cose» (cfr Col 1,17).

In cosa consiste questo primato? Perché Gesù è più importante di tutto? Perché, in Lui sussistono tutte le cose, create in Lui ed in vista di Lui. Anzitutto ogni uomo e ogni donna. Ognuno di noi. La nostra consistenza, la consistenza della realtà è Gesù stesso. La conferma di questo è la Sua risurrezione dai morti. Egli è il primo perché riconcilia in Sé tutto. Dice l’Inno: «È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,19-20). Gesù il Messia, autore della pace dei cuori e dei popoli, ci riconcilia perché è la misericordia personificata. Perciò speriamo che Egli ci usi presto la Sua misericordia (cfr 2Mac 2,18): «Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono». Questo ci ha richiamato Papa Francesco (Omelia domenica V di Quaresima, 17.03.13). Se Lui ci riscatta, peccatori pentiti, se si rallegra più per un peccatore pentito che per novantanove giusti a cui pentirsi non serve (cfr Lc 15,17), allora accostiamoci, con un atto semplice di libertà, al Sacramento della Riconciliazione per toccare con mano la Pasqua di Gesù speranza nostra!

3. Torniamo ancora una volta, brevemente, all’Inno dell’Epistola per comprendere bene, come ci ha insegnato il Prefazio, il senso dell’Osanna del popolo di Gerusalemme. Dice: Gesù «ci ha pacificato con il sangue della sua croce». Abbiamo il coraggio di prendere sul serio questa affermazione contemplando il Crocifisso, prendendolo fisicamente in mano? O anche noi come la folla quel giorno, ci accontentiamo dell’immagine di un Messia mondano, un Messia onnipotente che eviti e ci eviti di passare per la cruna dell’ago del Golgota? Eppure l’esperienza di ogni uomo e di ogni donna insegna che, nella vita, gioia e dolore sono intrecciati in modo indisgiungibile. Come scrive Paul Claudel: chi conosce la vita «… sa che gioia e dolore in parti uguali la compongono» (L’annuncio a Maria). La fede illumina questa universale esperienza umana, mostrandoci come nel Signore Gesù, la croce è un passaggio obbligato, non però verso il nulla, ma verso la resurrezione. In Lui l’elevazione sulla croce è inseparabile dalla esaltazione nella gloria della resurrezione. Così è anche per noi poveri uomini. Ma proprio qui sta la nostra dignità di uomini consapevoli della loro natura e del loro destino, cioè liberi. I suoi discepoli lo capiranno solo dopo la discesa dello Spirito Santo, quando alla Chiesa (quindi a noi) fu chiaramente rivelato il pieno significato della vita e delle parole di Gesù. Sul momento non compresero: «I suoi discepoli… quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose» (Vangelo, Gv 12,16).

L’episodio dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme, proprio perché assunto nel suo pieno valore che comprende la croce in vista della risurrezione, ci dice che per tutte le donne e tutti gli uomini c’è speranza. In modo particolare per quanti sono nella prova fisica o morale. Con le opere di misericordia corporali e spirituali teniamo nel cuore in questa Settimana Santa i malati, i moribondi, i carcerati, gli immigrati, gli smarriti – soprattutto se giovani –, i poveri e gli emarginati di ogni sorta. Cerchiamo di essere con loro ospitali. Possano sentire attraverso di noi l’eco del Dio misericordioso che riconcilia e dà speranza.

4. Un’ultima parola sulla Lettura. «L’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace» (Lettura, Zc 9,10). La profezia di Zaccaria si realizza pienamente nel Signore Gesù.

La pace, frutto eminente della morte e resurrezione del nostro amato Salvatore, diventa possibile per ogni persona, per ogni famiglia, per ogni paese, per ogni popolo, per tutto il mondo se accettiamo di metterci, con umiltà, sulla strada che Lui ha percorso.

E qui la nostra supplica al Signore della pace non può non avere nel cuore le tragiche situazioni di guerre e di violenza che insanguinano il mondo. In particolare vogliamo partecipare al dolore dei cristiani martirizzati mentre partecipavano alla Santa Messa. Quale sfida alla nostra partecipazione spesso abitudinaria!

Diventeremo operatori di pace solo immedesimandoci con Lui, l’autentico operatore di pace. Come? «A noi che innalziamo ulivi e palme nel giorno del trionfo di Cristo, dona di portare frutti di opere giuste in perenne comunione con lui» (Orazione a conclusione della liturgia della Parola).

Inoltriamoci nella settimana “autentica”, la settimana più importante dell’anno, con la fede di Maria, Madre dolorosa e Madre gloriosa. Amen.

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ZENIT Staff

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