Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce,
insieme esultano,
poiché vedono con gli occhi
il ritorno del Signore a Sion.
Prorompete insieme in canti di gioia,
rovine di Gerusalemme,
perché il Signore ha consolato il suo popolo,
ha riscattato Gerusalemme.
tutti i confini della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio.
Is. 52, 2-7
Nessuna retorica sentimentalista e pauperistica. Le scarpe del Papa sono la metafora profetica del suo pontificato. No, non si tratta di scrutare il futuro e prevedere quello che solo lo Spirito Santo conosce. Ma di contemplare un paio di scarpe usurate dal cammino dell’evangelizzazione, due, come “le due cose delle quali in questo momento si ha bisogno, si ha più bisogno: misericordia, misericordia e coraggio apostolico” (Card. J. Bergoglio, Intervista a Trenta Giorni, Novembre 2007).
E i lacci, che, in miracolosa armonia, uniscono senza uniformare, legano senza omologare, i lacci soavi e dolci dello Spirito Santo: “Armonia, questo è il termine giusto. Nella Chiesa l’armonia la fa lo Spirito Santo. Uno dei primi padri della Chiesa scrisse che lo Spirito Santo «ipse harmonia est», lui stesso è l’armonia. Lui solo è autore al medesimo tempo della pluralità e dell’unità. Solo lo Spirito può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e allo stesso tempo fare l’unità. Perché quando siamo noi a voler fare la diversità facciamo gli scismi e quando siamo noi a voler fare l’unità facciamo l’uniformità, l’omologazione”.
Scarpe e lacci su cui il Padre ha voluto edificare la sua Chiesa in questo tempo; “una Chiesa povera per i poveri”, che incolli le sue scarpe sulla Roccia, e consumi le suole nell’annuncio del Vangelo, alla ricerca della pecora perduta, inviata come Giona a Ninive, “il simbolo di tutti i separati, i perduti, di tutte le periferie dell’umanità. Di tutti quelli che stanno fuori, lontano”. L’annuncio del Vangelo è il solo compito per la Chiesa, per sfuggire al “rischio che corre la coscienza isolata. Di coloro che dal chiuso mondo delle loro Tarsis si lamentano di tutto o, sentendo la propria identità minacciata, si gettano in battaglie per essere alla fine ancor più autoccupati e autoreferenziali”. Per ciascuno di noi c’è solo l’urgenza di andare alle Ninive nelle quali viviamo, e, come Giona, “dire a tutti quegli uomini che le braccia di Dio sono ancora aperte, che la pazienza di Dio è lì e li attende, per guarirli con il Suo perdono e nutrirli con la Sua tenerezza”. “Solo per questo Dio aveva inviato” Giona, solo per questo Dio mi ha scelto, sembrano dirci le scarpe di Papa Francesco.
Scarpe di Papa e di cristiano, giumenti deboli come la nostra carne, ad accompagnare la Chiesa e i suoi figli sul cammino per “uscire da sé stessi, dal recinto dell’orto dei propri convincimenti considerati inamovibili se questi rischiano di diventare un ostacolo, se chiudono l’orizzonte che è di Dio”, perché “le nostre certezze possono diventare un muro, un carcere che imprigiona lo Spirito Santo”. Scarpe che segnano i passi della Chiesa che, come una madre misericordiosa, “lascia aperta la porta”, sempre; Elia, infatti, può giungere da un momento all’altro, e avrà certamente le sembianze che non ti aspetti, quelle di un povero, del figlio prodigo ferito e dolorante, del peccatore che annuncia il ritorno del Messia.
Scarpe che, proprio perché rimangono fedeli per anni agli stessi piedi, aggiustandosi alla loro forma dopo tanti chilometri percorsi insieme, possono uscire per le strade del mondo: “Il restare, il rimanere fedeli implica un’uscita. Proprio se si rimane nel Signore si esce da sé stessi. Paradossalmente proprio perché si rimane, proprio se si è fedeli si cambia. Non si rimane fedeli, come i tradizionalisti o i fondamentalisti, alla lettera. La fedeltà è sempre un cambiamento, un fiorire, una crescita. Il Signore opera un cambiamento in colui che gli è fedele. È la dottrina cattolica”. Scarpe docili e umili che sanno scendere e si lasciano condurre, a volte spingere, forse senza capire, sui sentieri divini. Essi sono sempre in discesa, ci spogliano dell’orgoglio e della presunzione che ha “recintato la nostra anima col filo spinato di quelle certezze che invece di dare libertà con Dio e aprire orizzonti di maggior servizio agli altri finiscono per assordare il cuore”; e ci accompaganano, come in un catecumenato che ci fa piccoli e poveri, autentici e bisognosi, liberandoci da “quella che De Lubac chiama «mondanità spirituale». È il pericolo più grande per la Chiesa, per noi, che siamo nella Chiesa. «È peggiore», dice De Lubac, «più disastrosa di quella lebbra infame che aveva sfigurato la Sposa diletta al tempo dei papi libertini». La mondanità spirituale è mettere al centro sé stessi”.
Le scarpe del pescatore e dell’apostolo che Dio ha scelto ci indicano dunque il cammino della missione: nella misura che l’uomo vecchio – il mio e il tuo – cede terreno all’uomo nuovo, e la vita di Cristo diviene il centro di noi stessi, Dio può parlare al mondo: “Per le ferite e le fragilità Dio parlò. In un mondo che non riusciamo a interessare con le parole che noi diciamo, solo la Sua presenza che ci ama e che ci salva può interessare. Il fervore apostolico si rinnova perché testimoni di Colui che ci ha amato per primo”. Le guardi quelle scarpe, e ci puoi leggere lo zelo del Pastore che ha percorso e percorrerà le strade del mondo, sino alle periferie più remote, agli estremi confini della terra, sapendo che “non è facile affidarsi alla misericordia di Dio, perché quello è un abisso incomprensibile”, e proprio per questo non si stanca di cercare, e annunciare che tutti “dobbiamo farlo!”.
E, nel cammino della misericordia, un brivido, come quello che ci afferra il cuore la notte di Pasqua, quando nel buio illuminato dalla luce del cero, ascoltiamo stupiti il canto dell’exultet annunciarci: “O certe necessarium Adae peccatum, quod Christi morte deletum est! O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem! Davvero era necessario il peccato di Adamo, che è stato distrutto con la morte del Cristo. Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore!”. Era Pasqua ieri mattina nella Parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, la Pasqua annunciata come un exultet da Papa Francesco: “«Oh, padre, se lei conoscesse la mia vita, non mi parlerebbe così!». «Perché?, cosa hai fatto?». «Oh, ne ho fatte di grosse!». «Meglio! Vai da Gesù: a Lui piace se gli racconti queste cose!». Lui si dimentica, Lui ha una capacità di dimenticarsi, speciale. Si dimentica, ti bacia, ti abbraccia e ti dice soltanto: «Neanch’io ti condanno; va’, e d’ora in poi non peccare più». Soltanto quel consiglio ti da. Dopo un mese, siamo nelle stesse condizioni… Torniamo al Signore. Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono. E chiediamo la grazia di non stancarci di chiedere perdono, perché Lui mai si stanca di perdonare” (Papa Francesco, Omelia nella messa celebrata nella Parrocchia di S. Anna in Vaticano, 17 marzo 2013). La nostra vita, e quella di ogni uomo, è “meglio” che sia quello che è oggi, povera e debole, perché c’è Qualcuno che ci aspetta e a cui piace che gliela raccontiamo consegnandogli tutti i peccati: quelle scarpe consunte di Papa ce lo confermano, Francesco ci è andato, lo ha visto, ha conosciuto il suo perdono e per questo può confermarci nella fede in Cristo, la misericordia di Dio fatta carne.
Scarpe vecchie e tenaci di un anziano e coraggioso itinerante del Vangelo. Non importa dove, avvinto dallo Spirito, Egli vada. Se il suo cuore è quello che le su
e scarpe ci lasciano intuire, non abbiamo nessun altro desiderio che seguirlo, come i primi frati seguirono san Francesco, innamorato del suo Signore: “Un giorno, mentre Francesco tornava dal bosco dove era stato a pregare, frate Masseo, gli andò incontro dicendogli: “Perché proprio a te? Perché tutto il mondo vien dietro di te e tutti vogliono vederti, ascoltarti e ubbidirti? Tu non sei bello, non hai grande cultura, non sei nobile. Perché, dunque, tutti ti seguono così?”. “Vuoi sapere perché il mondo segue proprio me? Vedi, gli occhi dell’Altissimo Iddio che vedono in ogni luogo e in ogni cuore, hanno visto che non esiste peccatore più vile, più misero di me sulla terra. Per questo, per attuare il suo grande disegno, Dio ha scelto me, per confondere la nobiltà, la grandezza e la potenza del mondo, affinché si sappia che ogni virtù e ogni bene non provengono dalle creature ma dal Creatore e nessuno possa gloriarsi davanti a Dio (cfr 1 Cor 1,27-31). Solo a Lui ogni onore e gloria, nei secoli dei secoli” (I fioretti di San Francesco).
* La maggior parte dei testi del cardinale Bergoglio sono tratti da un’intervista rilasciata a Stefania Falasca, pubblicata su 30 Giorni del novembre 2007.