Quando Papa Benedetto XVI ha proclamato il 2013 come anno della fede, non ha certo voluto indicare un programma aziendale da consolidare e mettere a punto, o solennizzare obiettivi politici. Piuttosto ha desiderato offrire, nel senso di sacrificare, tutto sé stesso, invitando noi a riflettere sul perché ci dichiariamo cristiani tra fede e amore[1].
Il credere, infatti, è intimamente connesso ad amare: Dio Padre ha creato il mondo e l’uomo perché, credendo innanzitutto nella sua opera, indicava all’uomo stesso l’unico cammino attraverso cui l’uomo, a sua volta, avrebbe potuto fortificare la sua fede, cioè amando il suo simile mediante Dio.
Così la stessa creazione, per essere volontà di Dio nel tempo, si rivela molteplice nella dimensione ontica del Figlio di Dio, Gesù appunto, il quale attraverso la sua vita, la sua offerta sino alla morte e la sua Resurrezione ridona all’uomo una nuova creazione: quella proprio dell’uomo stesso, del mondo e dell’amore, mediante il sacrificio del Calvario che ricongiunge il fiat del Padre al consumatum est del Figlio.
Ciò lo si evidenzia in prospettive continue di elementi che attraversano il tempo stesso, interrompendolo proprio nell’attimo del divenire: Dio ci ha dotati della Creazione donandoci il suo Amore non legato al tempo, quanto piuttosto creandolo indeterminabilmente presente nell’uomo, perché l’uomo stesso altrettanto creatura di Dio. In quell’atto iniziale, senza doversi tale atto situare nel “passato”, accadendo esistenzialmente presente sempre nell’uomo come sua capacità di contemplazione, si assiste a un tendersi verso molteplici forme universali, che convergono unitariamente in quella di Dio Padre, con un contrarsi del tempo privo di passato e di futuro, perché unicamente presente, e che dispiega e riconosce l’uomo nella storia all’interno di quella forma voluta da Dio che vive ed esiste nell’uomo quale Spirito della volontà creatrice di Dio e di cui l’uomo è portatore.
Tutto ciò diviene proprio perché la creazione della natura del mondo e dell’uomo non occupa uno spazio definito, ma perpetuamente progressivo. E nella creazione non sorge quella contraddizione che invece si delinea successivamente accadere e che si constata nel mondo a causa dell’incrinarsi del vincolo d’amore tra Dio e l’uomo, in Cristo solo e mediante il suo sacrificio ricomposto. La contraddizione cioè che nasce tra vita e morte, tra amore e odio. Il senso del mondo è perciò sempre in costante trasformazione, e ogni apparente contraddizione nella creazione, in realtà, riconduce al tempo come quel limen mediante il quale appare definirsi l’esistenza umana come vita di ogni singola creatura umana, soltanto in Cristo tuttavia pensabile, essendo Lui la ricomposizione del vincolo d’amore infranto dal peccato originale.
Peraltro essendo la morte ineludibilmente legata alla temporalità dell’esistenza, l’aspetto della forma della creazione lascia apparire il tempo come circoscritto, determinato: una prospettiva mondana che induce l’uomo a cadere nell’inganno della sua vita come limitata unicamente da un suo “inizio” e da una sua “fine” in quanto corpo materiale. Così però non è, piuttosto siamo indotti a crederlo per effetto del mondo che sembra sempre doverci sopraffare. Eppure, come ci rammenta s. Paolo, “noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato” (Cor I, 2, 10-13).
E qual è l’approdo quindi a quella donazione di Dio?
Ciò si traduce nel fatto secondo cui la creazione rivela che proprio noi stessi siamo stati donati, rendendo la vita esperienza mondana che accade nell’ambito di un luogo e di un soffio: la nostra esistenza. Ma questa esistenza è immediatamente superata dalla constatazione di un corpo materiale, involucro dello spirito, che esiste in virtù del fatto d’essere e divenire senza averlo voluto e deciso ex sibi, giacché nessuno sarebbe simile o alternativo o analogo a un altro suo… simile. Infatti essendosi Dio rivelato unicamente in Cristo, proprio da quest’ultimo il vincolo d’amore tra creazione e spirito è risorto, attirando ogni sé al superamento della temporalità, per essere l’uomo di nuovo nel tempo di Dio e della sua creazione: quanto già nella filosofia platonica e successivamente, venne ad essere identificato come αἰών rispetto a καιρός.
Pertanto la creazione sospinge l’elemento discreto nell’evento, proprio come la forma della natura produce la pluralità di fenomeni naturali nel mondo. Giungendo poi a ponderare quanto l’anima dell’uomo aneli a Dio indeterminabilmente nel presente del corpo e nell’assenza di ogni temporalità, si può riconoscere corrispondente al vero che l’amore tra Dio e l’anima sia di una tale perfezione, così straordinaria, da rivelare appunto come l’anima contempli un piacere inimmaginabile in Dio, per cantarvi lode e riconoscenza senza dover cessare mai, secondo quanto ci ha detto e ci ha testimoniato con il sacrificio della sua stessa vita Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce (Scientia Crucis, Edizioni OCD, Roma 1998, pp. 233-234).
Se, allora, l’esistenza umana si racchiude in un inizio e in una fine, non consentendo a nessuno di sfuggire a tale ineluttabilità in cui la temporalità si rivela nella morte, solo il sacrificio voluto pienamente e consapevolmente da Cristo, di Sé sulla sua Croce, strappa infine l’uomo all’inganno di osservare quello spirito del mondo sopraffare la vita stessa dell’uomo, pervasa invece perfettamente dallo Spirito di Dio.
È perciò nell’ultimo Adamo, cioè Cristo, che lo spirito rinasce e ritorna per ricongiungere il vincolo d’amore tra semplice e complesso, tra il Creatore e l’uomo, uomo da Dio creato perché da Lui desiderato e amato, perciò voluto nel mondo, affinché vi fosse e vi sia custode della natura, all’interno della vita dell’universo sia nella sua dimensione spaziale che temporale. Tutto ciò è comunque possibile unitariamente proprio nel divenire della fede di ognuno di noi, che può conseguentemente svettare grazie all’amore, quello stesso amore di Gesù che ricompone la Creazione del Padre nel momento del Calvario, quando quella Croce portata sui suoi ombri può altrettanto stagliarsi al cielo, indicando il nuovo cammino ricreato all’uomo salvato, simile all’indice del Padre nell’istante del fiat.
La creazione allora evidenzia una molteplicità della forma perché pluralità dei fenomeni originati dall’unica forma possibile da cui quel tutto ha avuto origine e fondamento: la fede di Dio Padre nell’amore di Gesù per la salvezza della stessa creazione, attraverso quell’immolazione di Gesù che dona l’uomo, ancora una volta, della sua propria Vita.
D’altronde la fede non vive più quando l’amore non riesce a immolarsi per il Bene perfetto dell’altro, appunto perché l’altro torni a vivere: questo è tutto quanto Cristo ci ha donato e che Benedetto XVI ha voluto mostrare al mondo attraverso la sua donazione, ancora una volta nella storia dell’uomo. Affinché quest’ultimo torni a vivere.
Gianfranco Longo (Bari, 1965) è docente e ricercatore di Teoria generale del diritto e dello Stato e di Filosofie e politiche comparate nell’Università di Bari
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NOTE
[1] Queste riflessioni provengono da un mio studio, ancora inedito, cui ho dedicato quasi vent’anni della mia vita, con gioia piena ma anche, e forse proprio per questo, tra grandi sofferenze fisiche e interiori.