“Benvenuto tra di noi, Papa Francesco! La Sua guida sarà luce per tutti, nelle tenebre di un relativismo ormai senza frontiere. Il cuore di Benedetto XVI batte ora nel Suo. A noi cristiani l’umiltà e la volontà di capire questo mistero e fare la nostra parte, in piena coscienza, per l’affermazione della Chiesa di Cristo, verità perenne per le strade del mondo”.
Nella prima apparizione pubblica, il nuovo pontefice, ci ha invitato alla preghiera e al silenzio! Sono rimasto molto colpito! Ecco perché mi permetto di dedicare, a Sua Santità, questa mia riflessione odierna, nella certezza che da umile successore di Pietro saprà condurci al gusto naturale della preghiera, misura della fede e strumento, troppe volte dimenticato, di dialogo quotidiano con Dio.
Sant’Agostino, nel rapporto che si instaura tra credente e preghiera, diceva: “Aut mali, aut male, aut mala”. Non si prega bene quando si è cattivi (mali); quando si prega malamente (male); quando si chiedono cose cattive (mala). Quest’uomo del Signore, che conobbe la conversione dopo anni di inquietudine e di vita dissoluta, in poche parole, chiarisce un concetto fondamentale nella vita di un fedele, indicando tre atteggiamenti umani che vanificano la sua relazione con Dio. La nostra società ha perso il gusto di pregare e ha tramutato questo appuntamento straordinario dell’uomo con l’Altissimo, in un abitudinario “resoconto” occasionale. Eppure la sostanza dell’essere umano tende al cielo, avverte nella preghiera, magari nelle forme più “romanzate” possibili, un canale di comunicazione con il mondo che non si conosce, ma si ferma qui! Il pericolo di cadere nelle grinfie dei venditori ambulanti della fede, sta a due passi della propria quotidianità. Il rischio di invalidare la natura dell’essere anima e corpo, è a portata di mano! La persona, in quanto tale, non necessita di formule magiche per avere coscienza del Creatore, ma di umiltà del cuore e comunanza totale con la Parola di Cristo e la sua Santa Chiesa.
La storia dell’uomo attesta la verità di queste mie ultime parole, che solo la cecità dello spirito può ribaltare a favore di comportamenti fuorvianti e soprattutto lontani dalla verità del Vangelo. Ma anche chi è nella Parola, come dice il vescovo Agostino, deve capire che la sua fede si misura, sempre, dalla maniera con la quale porge la sua preghiera al Signore. I Padri medievali dicevano: lex orandi, lex credendi. La legge della preghiera è la legge della fede. Da una preghiera fatta male, con contenuti inopportuni, deriva un credere distorto; al contrario da una buona formula di preghiera si ha una corretta fede. L’uomo non deve, certo, pregare dopo aver fatto un corso di formazione; nessuno lo ha mai organizzato! Gesù vuole che l’uomo si sappia immergere in un silenzio cosmico assoluto e parli al Padre con il cuore pieno della sua Parola. Sia umile e sappia rispettare l’altro che prega nella casa del Signore, che non ha titolari particolari. La casa di Dio è la casa di tutti.
È Gesù, come si legge in Luca, che racconta la Parabola della vedova, che ebbe giustizia grazie alla sua continua insistenza, per insegnare alla folla e ai suoi discepoli che bisogna continuamente pregare senza mai stancarsi. La preghiera parte essenziale della vita e non momento di invocazione per superare un momento di crisi. È sempre Gesù che tra il pubblicano e il fariseo, che si recano al Tempio per pregare, indica nel primo l’uomo che sarà ascoltato dal Signore e non nel dotto della sacra scrittura, che pregando si vanta con Dio delle sue azioni, denigrando coloro, che come il pubblicano, sono ingiusti, adulteri; non pagano la decima due volte la settimana e non seguono i culti ufficiali. Ma Gesù invita, chi crede, a pregare assieme nella semplicità, per rendere più forte la richiesta al Padre. Così in Matteo: “Poiché dovunque due o tre son radunati nel nome mio, quivi son io in mezzo a loro”. L’’augurio è che ritorni il gusto della preghiera e conquisti il cuore dei giovani, solitamente invasi da altre forme di relazione con l’infinito. Anche il nostro culto, proprio per rendere partecipi le nuove generazioni, come vuole Cristo, avrebbe bisogno di purificazione. Il mio parroco, nei suoi scritti, ha più volte sottolineato che esso è divenuto per noi commercio di idee umane; scambio di sensazioni terrene; musica, canti, incensi, cerimonie, celebrazione dell’uomo e del suo peccato; grida contro questa o quell’altra ingiustizia sociale; momento per rivendicazioni; pulpito dal quale cercare un plauso universale. In tale modo, Cristo Gesù rimane sempre più nascosto da questo culto, perché l’uomo ne ha preso tutto il posto. Ha conquistato la scena. L’esteriorità ha fagocitato l’interiorità. Così i giovani non capiscono! Se la misura è questa, quale sarà la nostra fede?
* Egidio Chiarella, pubblicista-giornalista, collabora con il Ministero dell’Istruzione, a Roma. E’ stato docente di ruolo di Lettere presso vari istituti secondari di I e II grado a Lamezia Terme (Calabria). Dal 1999 al 2010 è stato anche Consigliere della Regione Calabria. Ha conseguito la laurea in Materie Letterarie con una tesi sulla Storia delle Tradizioni popolari presso l’Università degli Studi di Messina (Sicilia). E’ autore del romanzo La nuova primavera dei giovani.
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