Riportiamo di seguito una sintesi dell’omelia tenuta ieri mattina dal cardinale elettore Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest, Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, durante la messa da lui presieduta presso la basilica romana di Santa Balbina.
Dopo aver parlato della conversione, della penitenza e della grazia divina, commentando il testo biblico sul figlio prodigo, il Card. Erdő ha detto:
***
Oltre ai concetti, alle definizioni e alle regole, l’uomo di oggi si muove spesso nella realtà virtuale. Per una generazione intera può costituire un punto di riferimento qualche immagine, qualche storia che si diffonde in un modo affascinante sulla rete. E qui, in questo livello della comunicazione, ci incontriamo di nuovo con Gesù, scopriamo che la sua voce originale e personale, il mondo delle sue parabole, è come se fosse diretto proprio agli uomini di oggi. Gesù è sempre nostro contemporaneo. Egli è sempre giovane. Il suo messagio è sempre fresco e pieno di forza.
La parabola del figliol prodigo forse non ha bisogno di spiegazioni. Ci sentiamo, ci vediamo nel ruolo di questo fratello più giovane. Siamo noi che consideriamo la vita come nostra eredità e vogliamo fare con essa liberamente quello che ci piace. Così andiamo o piuttosto ci trasciniamo sul nostro cammino, e le nostre doti, le situazioni attorno a noi cominciano a consumarsi, a logorarsi. Alla fine quasi non rimane nulla della nostra energia iniziale. Cominciamo a sentirci male, e ci rivolgiamo a destra e a sinistra cercando aiuto. Ma la nostra condizione diventa sempre peggiore, come se ci venisse a mancare l’aria. Così arriva il momento di alzare la nostra testa e di metterci in cammino verso la purezza e l’amore originario.
Questo è il momento in cui dobbiamo rivolgerci a Dio, quando riceviamo una tale nuova e infinita possibilità, come all’inizio del nostro cammino. “Mi alzo e vado da mio padre”, dice il figliol prodigo.
Non sarà facile ritornare, ma possiamo essere sicuri: quello che abbiamo lasciato a casa, quello da cui ci siamo emancipati, ci aspetta anche oggi con le braccia aperte.
Non è soltanto che ci accetti di nuovo come figli, ma Egli fa una festa per noi. E fa mettere un anello al nostro dito e un paio di calzari ai nostri piedi.
Questa situazione, in verità, è una prospettiva affascinante per la nostra vita. Significa che non finiamo la nostra esistenza come conchiglie vuote sulla riva del mare, come depositi alluvionali dell’universo, ma ritroviamo la via verso la nostra casa, verso l’amore personale di Dio, nel regno della felicità, della luce e della pace.</p>
Ora è il tempo opportuno. Ora dobbiamo alzarci, levare il nostro capo e, se non troviamo la via che conduce a casa, allora dobbiamo chiedere agli antichi quale era la strada buona, quale il sentiero che porta dalla prigionia verso la casa unica e vera. Questa strada è Gesù stesso. Proclamare Gesù alle persone: questo è il compito della Chiesa. Per questo esistiamo. La nostra vocazione quindi è universale. Si rivolge a tutte le genti senza distinzione di razza o di provenienza sociale. E la nostra testimonianza richiede che tutti noi cristiani siamo uniti perché il mondo possa credere. Così l’impegno ecumenico e lo sforzo speciale per una testimonianza comune dei cristiani d’oriente e d’occidente nella società, appartiene alla sostanza della nostra missione.
Chiediamo in questa santa messa al nostro Signore e Maestro, che dia luce e forza alla sua Chiesa, perché possiamo diventare anche oggi una voce che chiama a casa, luce, orientamento e buona novella per tutta l’umanità. Amen.