La gravidanza adottiva presenta delle peculiarità rispetto a quella biologica. Molte sono le somiglianze, ma tante sono le differenze. Cerchiamo di metterle a confronto per coglierne le specificità.
La gravidanza biologica inizia dal concepimento nel grembo materno, ha la durata di nove mesi, un tempo preciso di attesa, nel quale i genitori si preparano ad accogliere il loro figlio che viene al mondo.
La gravidanza adottiva inizia con la presentazione della domanda di adozione al tribunale dei minori, ha un tempo di gestazione indefinito, e dona una vita nuova ad un bambino già venuto alla luce.
Il concepimento di un figlio biologico nasce dalla grazia di Dio che benedice l’unione dei corpi.
Il concepimento di un figlio adottivo non nasce dalla carne, ma da un desiderio dello spirito, maturato attraverso la sofferenza della sterilità fisica, che ha fatto scoprire la fecondità spirituale.
Lo spazio della gestazione non è il grembo materno, ma il cuore di entrambi i genitori che hanno accolto il bambino quando hanno deciso di iniziare il cammino adottivo.
E come il grembo materno cresce con il passare dei mesi, così quell’unico cuore dei due genitori adottivi continua sempre più a dilatarsi, a battere più forte, a diventare sempre più capace di amare.
Quante analogie esistono con il Sacramento del Battesimo attraverso il quale i catecumeni diventano figli di Dio nascendo dal grembo del fonte battesimale della Madre Chiesa.
Tutte questi confronti sono utili per comprendere che il cammino di adozione è un cammino di fede, un cammino che conduce ad un incontro più vero con Dio Padre nel suo Figlio Gesù Cristo per mezzo dello Spirito Santo.
Ma tutta questa trasformazione, tutta questa metamorfosi, non avviene certo in un istante, ma è frutto di un cammino interiore, è frutto di un tempo di attesa e di maturazione.
Attesa, maturazione, purificazione sono le parole chiave dei genitori adottivi.
Ogni genitore adottivo, quando ha concepito il figlio nel suo cuore, vorrebbe accellerare il suo arrivo cercando di percorrere il più velocemente possibile le tappe buracratiche che lo separano da lui. Ma la burocrazia nazionale ed internazionale ha i suoi tempi, alcuni motivati, altri un po’ meno. E i genitori adottivi, che generalmente vengono già da una infruttuosa attesa del figlio biologico, sono chiamati ancora una volta a vivere l’attesa, ad avere pazienza.
Ma proprio perché la pazienza non è una virtù innata ma ha bisogno di essere esercitata per crescere, l’attesa rischia di abbatte e demoralizzare i genitori adottivi in questo lungo periodo di silenzio. Per evitare questo scoraggiamento, questa insoddisfazione del tempo presente, l’attesa si deve trasformare in speranza per mezzo della pazienza.
L’attesa diventa proficua quando è considerata un tempo necessario per congiungere quei genitori propri a quei bambini.
Come un figlio biologico è nato proprio da quella madre e da quel padre per volontà di Dio, così quel figlio adottivo è predestinato proprio a quei genitori adottivi anche se vivono dall’altra parte del mondo.
Quanti genitori adottivi hanno iniziato il loro cammino quando i loro figli non erano ancora nati o non erano ancora stati dichiarati adottabili dagli organi competenti.
Quindi l’attesa diventa speranza quando si affronta con la fede nella predestinazione.
Vivere l’attesa solo come predestinazione significa guardare al futuro, ma la concretezza della vita ci attira sempre nel presente. E nel presente si vive la realtà del matrimonio, lo spazio di amore dove si approfondisce la conoscenza tra i coniugi, dove ci si confronta su come si vuole educare i propri figli.
E se questo dialogo avviene nell’apertura sincera verso l’altro, allora si scopriranno tante differenze di vedute, che derivano soprattutto da come si è cresciuti nella propria famiglia di origine e dalle esperienze vissute.</p>
Essere autoritari o permissivi, tralasciare o rimproverare senza esasperare, ricordare il passato dei figli o evitare il discorso, sono tutte considerazioni su cui è opportuno riflettere in questo tempo di attesa e di maturazione.
Ed infine l’ultima dimensione dell’attesa: la purificazione.
Prima di diventare genitore adottivo è fondamentale una riconciliazione con la propria storia ed in particolare con i propri genitori.
Non è possibile amare i propri figli se non si è spezzato quel cordone ombelicale con la famiglia di origine, se non è avvenuta con loro una profonda riappacificazione.
Purificarsi vuol dire perdonare nel profondo del cuore i propri genitori, riconoscere tutto l’affetto, la pazienza e l’amore ricevuto negli innumerevoli gesti della vita quotidiana.
Purificarsi significa anche riconoscere i propri peccati, le proprie mancanze, accogliere l’amore gratuito di Dio e chiedere perdono al prossimo.
Concludendo, possiamo affermare che l’attesa vissuta nelle sue dimensioni di predestinazione, maturazione e purificazione non è un tempo inutile, ma restituisce il giusto orientamento alla vita, riempie di senso la storia, fa uscire da se stessi, sana l’egoismo, abbatte l’orgoglio, apre gli occhi ai bisogni dell’altro, diventa santificazione.