Con le sue “dimissioni”, Benedetto XVI ha dichiarato al mondo che l’uomo è uno strumento nelle mani di Dio. Con questa scelta sgretola il mito del super-uomo efficientista tipico dell’antropologia postmoderna, in cui vige la presunzione di essere indispensabili, idoli della propria storia e di quella degli altri.
Joseph Ratzinger ci ricorda che l’uomo è chiamato responsabilmente a svolgere il suo servizio, ma allo stesso tempo, proprio perché chiamato da Dio, in umiltà e responsabilità, affiderà il resto al Signore riconoscendo anche i suoi limiti. E’ il Dio di Gesù Cristo il vero Dio che governa la storia della salvezza e non noi.
Come ha scritto nella Deus caritas est (2005):”Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finchè Egli ce ne dà la forza”(35).
Queste parole sono estremamente chiare: rinunciare al servizio, quando le forze vengono meno. E’ umile riconoscimento che la storia della salvezza la dirige Dio, mentre noi siamo protagonisti responsabili ma non padroni.
Nella linea di pensiero del “Papa emerito” il cristianesimo non è mai stato una ideologia, una filosofia, ma l’incontro quotidiano con un Vivente. “Parla Signore, che il tuo servo ti ascolta” (I Samuele 3,10). Questa premessa è utile a tratteggiare per grandi linee, senza nessuna pretesa esaustiva il Magistero di Benedetto XVI.
Vorrei iniziare questa riflessione sul tema, citando uno dei passaggi che ritrovo nell’Enciclica Caritas in veritate: “La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno”.
Benedetto XVI ha individuato una delle causa dell'”esilio” della società postmoderna.
In un tempo di grave crisi antropologica, valoriale, ecologica, economica, uno dei temi caratterizzanti il Pontificato di Ratzinger è stato di indicare una via per ritornare dall'”esilio”, e cioè lo sviluppo umano integrale della persona e dei popoli.
Resterà nella storia della Dottrina Sociale della Chiesa il suo intervento del 7 gennaio 2013 nella Sala Regia del Palazzo Apostolico, quando, nell’incontro annuale con i membri del Corpo Diplomatico, ha ricordato: “Non bisogna rassegnarsi allo spread del benessere sociale, mentre si combatte quello della finanza”.
Fin dai primi passi del suo ministero, Benedetto XVI ha chiesto a tutti il “coraggio della fraternità” e il cambiamento degli stili di vita e dei modelli di sviluppo nella direzione della sobrietà. Serve – è il suo monito – “una nuova sintesi tra bene e mercato, tra capitale e lavoro”.
“Per superare la crisi economica e sociale che stiamo vivendo, sappiamo che occorre uno sforzo libero e responsabile da parte di tutti; è necessario, cioè, superare gli interessi particolaristici e di settore, così da affrontare insieme ed uniti le difficoltà che investono ogni ambito della società, in modo speciale il mondo del lavoro”. (Udienza alla Cisl, 31 gennaio 2009).
Secondo il Papa emerito, per uscire dalla crisi mondiale c’è bisogno di “una nuova cultura della solidarietà e della partecipazione responsabile”. Condizioni indispensabili per costruire insieme l’avvenire del pianeta.
La summa del suo Magistero sociale è contenuta nella Caritas in veritate. L’Enciclica, pubblicata nel 2009 in piena crisi globale, diventa un best seller che ha attirato l’attenzione anche degli operatori di Wall Street.
Il Papa invoca un’economia al servizio della persona e, a 40 anni dalla Populorum progressio di Paolo VI, ribadisce che lo sviluppo dei popoli deve essere integrale (dimensione materiale e spirituale).
In tale contesto, osserva che all’origine della crisi economica c’è una crisi etica, antropologica: “Si conferma nella crisi attuale economica quanto è già apparso nella precedente grande crisi, che la dimensione etica non è una cosa esteriore ai problemi economici, ma una dimensione interiore e fondamentale. L’economia non funziona solo con una autoregolamentazione mercantile, ma ha bisogno di una ragione etica per funzionare”. (Colloquio con i giornalisti, volo verso Madrid, 18 luglio 2011)
Troppo spesso, disse parlando al Corpo diplomatico nel gennaio scorso, “è stato assolutizzato il profitto, a scapito del lavoro” e ci si è “avventurati senza freni sulle strade dell’economia finanziaria, piuttosto che di quella reale”. Occorre allora “recuperare il senso del lavoro”, resistere “alle tentazioni degli interessi particolari” per “orientarsi in direzione del bene comune”.
Del resto, più volte Benedetto XVI ha sottolineato durante questi otto anni che il cambiamento di rotta è ineludibile: “Siamo disposti a fare insieme una revisione profonda del modello di sviluppo dominante per correggerlo in modo concertato e lungimirante? Lo esigono, in realtà, più ancora che le difficoltà finanziarie immediate lo stato di salute ecologica del pianeta e, soprattutto, la crisi culturale e morale”. (Omelia 1 gennaio 2009)
Il forte richiamo alla necessità di cambiare modello di sviluppo, il “Papa emerito” lo ha ribadito anche nel Messaggio per la Giornata della Pace del primo gennaio 2012 quando ha criticato con vigore “le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia”, secondo le quali “la crescita economica sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della funzione sociale dello Stato” e dei diritti sociali, tra cui il più minacciato è il lavoro.
Il Papa chiede una “strutturazione etica dei mercati monetari e finanziari”. E al mondo postmoderno ricorda che per quanto grave sia la crisi finanziaria ben più drammatica è la crisi alimentare che affama interi popoli.
I cristiani, ad ogni livello, sono chiamati a rispondere a questa sfida. Come Giovanni Paolo II, dunque, anche Benedetto XVI auspica una “globalizzazione della solidarietà”, sottolineando l’unità della famiglia umana: “I cristiani hanno il dovere di denunciare i mali, di testimoniare e tenere vivi i valori su cui si fonda la dignità della persona e di promuovere forme di solidarietà che favoriscono il bene comune, affinché l’umanità diventi sempre più famiglia di Dio” (Discorso alla Fondazione Centesimus Annus, 15 ottobre 2011).
Ultimo in ordine di tempo le parole del Messaggio per la 46ma Giornata mondiale della pace dal titolo “Beati gli operatori di pace”, dove afferma: “La pace è dono messianico e opera umana ad un tempo …E’ pace con Dio, nel vivere secondo la sua volontà. E’ pace interiore con se stessi, e pace esteriore con il prossimo e con tutto il creato”.
Così il Papa sottolinea che “l’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio”. E spiega: “Nonostante il mondo sia purtroppo ancora segnato da focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualistica espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato, oltre che da diverse forme di terrorismo e di criminalità, sono persuaso che le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata”.