Il Kenya al voto con la paura di nuovi massacri

L’arcivescovo di Mombasa dichiara ad ACS la sua paura che si ripetano gli scontri delle consultazioni del 2007 dove persero la vita oltre 1000 persone

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«Chiediamo a tutti i fedeli di pregare per un pacifico svolgimento delle consultazioni. Ma la violenza potrebbe scoppiare». Parlando con Aiuto alla Chiesa che Soffre, l’arcivescovo di Mombasa, monsignor Boniface Lele, non esclude che possa ripetersi quanto avvenuto dopo le consultazioni del 2007. Duri scontri in seguito ai quali hanno perso la vita oltre mille persone e altre 600mila hanno dovuto abbandonare la propria casa.

Oltre cinque anni dopo, secondo stime dell’UNHCR ci sarebbero ancora 100mila sfollati interni. Non è quindi difficile capire quanto sia teso il clima in Kenya alla vigilia delle elezioni generali del prossimo 4 marzo.

Le spiagge della costa di Mombasa sono vuote, gli hotel semi deserti. «La situazione sembra tranquilla per ora, ma c’è molta agitazione». Il presule riferisce ad ACS delle minacce di morte rivolte dal Mungiki – setta politico-religiosa attiva nel Kenya centrale – al capo della corte suprema di giustizia Willy Mutunga, colpevole di voler ostacolare la corsa alla presidenza di Uhuru Kenyatta e del suo alleato, William Ruto. Per quanto neghino le accuse, il prossimo aprile Ruto e Kenyatta dovranno comparire di fronte al tribunale internazionale dell’Aia e rispondere di crimini contro l’umanità. I due politici avrebbero aizzato i propri sostenitori gli uni contro gli altri innescando e alimentando i massacri avvenuti tra il 2007 e il 2008.

«È possibile leggere i nomi degli indagati tra quei candidati dalla compromessa integrità morale cui hanno fatto riferimento i vescovi in un messaggio dello scorso novembre», spiega ad ACS don Gabriele Foti, missionario della Fraternità sacerdotale di San Carlo Borromeo che vive a Nairobi. Nella capitale keniota la situazione è piuttosto distesa, a differenza di altre località in cui l’avvicinarsi delle elezioni ha incrementato le ostilità tra le tribù. «Le agitazioni osservate durante le primarie, però – aggiunge don Gabriele – non promettono nulla di buono. Considerando che molto probabilmente si arriverà al ballottaggio, la dilatazione dei tempi potrebbe accrescere le tensioni». La nuova Costituzione del 2010 ha introdotto un nuovo sistema elettorale che prevede per le presidenziali un eventuale secondo turno.

Il 9 febbraio scorso l’episcopato keniota ha indetto una giornata nazionale di preghiera e la conferenza episcopale al completo ha partecipato alla messa presieduta dall’arcivescovo di Nairobi, il cardinale John Njue, in un gremitissimo Nyayo Stadium, il più grande stadio della capitale. «L’accorato invito a pregare per la pace – fa notare don Gabriele – rende evidente quanto sia forte il timore che la situazione possa sfuggire di mano come nel 2007/2008».

L’aumento d’insicurezza per molti è legato alla sempre maggiore circolazione di armi, provenienti dalla vicina Somalia. Un elemento sottolineato anche dai vescovi, ma che come spiega don Foti potrebbe non essere decisivo. «Basta andare in un supermercato e, con pochi euro, si può acquistare una panga: un machete. La maggior parte delle violenze avvenute cinque anni fa’, sono state commesse utilizzando armi improprie».

Più tangibile è invece quella «aritmetica tribale» che si cela dietro la quasi totalità delle alleanze politiche e che teme fortemente la conferenza episcopale. In Kenya sono presenti più di quaranta gruppi etnici diversi e – sottolinea il sacerdote italiano – «la vittoria di un gruppo ha sempre portato ricchezza alla tribù che lo sostiene». «Che ciò non accada stavolta mi pare inverosimile, perché i kenioti non scelgono chi votare in base al suo programma, ma appoggiano automaticamente il candidato della propria tribù».

Con molta probabilità alle consultazioni di lunedì prossimo seguirà il ballottaggio tra il vice primo ministro Kenyatta e il primo ministro Raila Odinga, che conta sul supporto di diverse organizzazioni musulmane. «Se a vincere sarà chi è indagato dal Tribunale dell’Aia, questo avrà poca rilevanza a livello internazionale. Se invece vincerà l’altro schieramento, vi sarà una maggiore influenza islamica».

A gravare ulteriormente sulla consultazione keniota è il movimento separatista Mombasa Republican Council, che al grido di «la costa non è il Kenya» intima ai cittadini di boicottare le elezioni. «Al momento il gruppo islamico sta mantenendo un basso profilo – riferisce l’arcivescovo Lele – ma recentemente ha minacciato di uccidere chiunque si fosse recato ai seggi».

In un clima d’insicurezza generale, aumentano le paure dei cristiani di nuovi attacchi alle Chiese. «Speriamo – auspica don Foti – che la preoccupazione per le elezioni non faccia abbassare la guardia contro il terrorismo». 

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ZENIT Staff

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