di padre Stefano M. Manelli F.I.
ROMA, martedì, 29 maggio 2012 (ZENIT.org) – In questo “mistero della luce” possiamo contemplare le due grandi verità della vita cristiana che stanno all’origine di ogni uomo e che accompagnano l’intera vita dell’uomo redento su questa terra.
La prima verità è quella del Battesimo, che è il primo sacramento di vita da cui ogni altro sacramento dipende e acquista valore salvifico per la rigenerazione di tutti gli uomini, figli di Adamo peccatore.
Il Battesimo, infatti, è la «luce della vita» (Gv 8,12) di ogni uomo redento; è la nascita del cristiano che da semplice uomo diventa figlio di Dio, diventa fratello di Gesù Cristo, il «Primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29).
Senza il Battesimo, come si sa, gli uomini rimangono nello stato di peccato per la colpa dei progenitori, ossia nello stato di «figli dell’ira» (Ef 2,3), perché il peccato mette contro Dio e allontana da Dio.
Con il Battesimo, invece, l’uomo riacquista l’innocenza dell’anima liberata dal peccato dei progenitori, animata e rivestita della grazia divina del Redentore.
Con il Battesimo l’anima viene investita dalla grazia di Dio, viene innestata nella vita divina, che è Gesù, viene incorporata nel Corpo mistico di Cristo, rigenerata come «nuova creatura» (2 Cor 5,17) configurata a Cristo, rifatta realmente a sua «immagine e somiglianza» (cf. Gn 1,27).
Nella vita di san Francesco di Sales si legge che quando era ancora fanciullo, il Santo interrompeva talvolta il gioco per guidare i suoi compagni in chiesa, radunandoli attorno al Fonte battesimale, e qui diceva: «Ecco il luogo che deve esserci più caro di ogni altro, perché qui siamo diventati tutti “figli di Dio”. Cantiamo tutti insieme il Gloria al Padre». Subito dopo, ognuno si avvicinava al sacro Fonte e lo baciava con grande devozione.
In Gesù che riceve il Battesimo nel fiume Giordano possiamo dunque vedere ogni battezzato, ogni uomo che riceve il sacramento del Battesimo per rinascere “figlio di Dio”, ossia figlio nel “Figlio Gesù” nel quale Dio Padre si compiace, secondo le parole udite dai presenti al Battesimo di penitenza di Gesù nel Giordano: «Questo è il mio figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 3,17).
Recitando le Ave Maria, poi, mentre contempliamo questo mistero della luce, ci rivolgiamo direttamente alla Madonna, presente anch’Ella in questo evento come «Madre dei viventi» (Gn 3,20), come “Nuova Eva”, progenitrice e Madre del Corpo Mistico di Cristo.
Alcuni Santi Padri, infatti, molto suggestivamente e concretamente, hanno rappresentato Maria Santissima come il fonte battesimale dove si rigenera la vita di tutti i figli di Adamo peccatore. È nel Grembo vergine di Maria, di fatto, che il Capo e il Corpo di Cristo sono stati concepiti, per opera dello Spirito Santo, nell’innocenza e nella santità. È nel Grembo vergine di Maria che si è attuata l’Incarnazione redentrice del Verbo per la nostra salvezza.
La seconda verità, inoltre, che questo “mistero della luce” ci insegna, è la verità della necessità della penitenza. Il Battesimo di Gesù nel Giordano, infatti, non poteva essere il Battesimo-sacramento, sia perché Gesù era la stessa innocenza e santità divina, sia perché il Battesimo di Giovanni preannunziava soltanto e preparava al Battesimo-sacramento, come egli stesso proclamava: «Io vi battezzo con acqua per la conver sione, ma colui che viene dopo di me […] egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3,11).
Il Battesimo di penitenza è racchiuso in quelle parole di Gesù che sono luce e guida del cristiano impegnato a vivere il Vangelo senza compromessi: «Chi mi vuol seguire, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce, e mi segua» (Mt 16,24).
Queste divine parole di Gesù non danno scampo al nostro egoismo, sono scacco matto per il nostro “io” adamitico, per «l’uomo animale che non comprende le cose dello spirito», come insegna san Paolo (1 Cor 2,14), mentre comprende bene il sesso, i soldi, i successi, i divertimenti e tutte le cose terrene e carnali, tutte le cupidigie che vengono dal mondo, secondo le parole lucide e taglienti di san Giovanni evangelista: «Tutto ciò che è nel mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita» (1 Gv 2,16).
Anni fa, in una rivista, compariva questo curioso ma significativo trafiletto: «La signorina X ha trascorso due ore presso il parrucchiere per farsi una “permanente”… Il banchiere di fronte ha vegliato tutta la notte per combinare un buon affare… L’artista del primo piano è stato per varie ore di fronte al suo cavalletto, in pieno rigore invernale, per dipingere un paesaggio nell’aperta campagna, coperta di neve…
Il mio amico Y, sportivo accanito, non fuma da quindici giorni, per affrontare in piena forma la prossima grande competizione… E tutti trovano ben naturali questi sacrifici; ma quando la santa Chiesa chiede, in tempo di Quaresima, qualche piccola restrizione, gli stessi gridano alla sua incomprensione, alla sua eccessiva esigenza».
La vita della Madonna, a cui ci rivolgiamo nel Rosario con le Ave Maria, non è forse stata la più penitente, la più “cristificata”, specchio tersissimo dell’umiltà e della purezza, dell’obbedienza e della povertà, della mitezza e della pazienza, al vertice di ogni possibile perfezione? E i piccoli pastorelli di Fatima, i beati Francesco e Giacinta, che cosa ci insegnano con le loro penitenze di ogni giorno? Seguendo i loro esempi, con l’aiuto particolare del Santo Rosario, possiamo tutti imparare a vivere una vita di penitenza, secondo il nostro Battesimo che è morte al mondo e alla carne, che è vita in Cristo, con Cristo e per Cristo.
*Per ogni approfondimento: Padre Stefano Maria Manelli, “O Rosario benedetto di Maria!” (Casa Mariana Editrice)