Claudia Koll racconta la fede (Prima parte)

L’attrice spiega il suo percorso spirituale

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di Elisabetta Pittino

ROMA, martedì, 29 maggio 2012 (ZENIT.org).- La conferenza di Claudia Koll il 24 marzo a Brescia, presso l’Università Cattolica, su “La cura dell’amore”, nell’ambito del progetto “ Di donna in donna. Essere donna. Risposte d’amore nella sofferenza” è stata una Redditio Symboli.

Redditio Symboli significa “restituzione del Credo”. È un rito liturgico già presente nella Chiesa primitiva: il catecumeno si impegnava di fronte a tutti, attraverso la Redditio, a ridire in prima persona la fede ricevuta.

Claudia Koll è una donna. Questa è la sua risposta creativa al dolore e alla sofferenza.

Chi è Claudia Koll?

La mia storia è abbastanza complessa. Vengo da una famiglia cattolica. Appena mi ha partorito, mia mamma è stata male e le hanno dovuto fare una trasfusione di sangue. Il sangue era infetto e allora anziché stare meglio è peggiorata ed è stata tra la vita e la morte per 6 mesi. Quindi io sono stata affidata a mia nonna che non vedeva. Mentre mio papà e mio nonno erano al capezzale di mia mamma, mia nonna doveva occuparsi me. Mi hanno detto che mi teneva legata ad un filo di lana. Eravamo legate ai polsi perché se sentiva tirare il filo capiva che io ero agitata e con il filo mi recuperava velocemente e mi prendeva in braccio. Mia mamma non morì, anche se i medici avevano smesso di darle le medicine perché erano convinti che non ce l’avrebbe fatta. Nel sangue però c’era un virus che colpì tutte le valvole del corpo, compreso il cuore. Pensando di non potermi più crescere, in un momento di scoraggiamento umano, ma di fede, mia madre disse alla Madonna “Se non le posso fare io da madre, pensaci Tu”. Poi lei si alzò da quel letto, provata fisicamente e con tutti i capelli bianchi. Mia mamma non è tornata più la donna di prima in quanto le valvole erano tutte compromesse, soprattutto quelle del cuore. I primi anni della mia infanzia, a causa della cagionevole salute di mia mamma, mi hanno allevato mia nonna che non vedeva e l’altra nonna. A volte ogni settimana facevo la valigetta e cambiavo casa, ma questo mi ha dato anche una grande adattabilità. Non c’è solo il negativo. Io sono capace di viaggiare, così come l’ho fatto da attrice per le tournée teatrali, senza essere troppo sbalestrata, perché l’ho fatto da piccolissima. Immaginate poi una nonna che non vede con una bambina di 2-3 anni che comincia a correre per casa e non sa quello che fa. Mia nonna mi ha raccontato che disegnavo sui muri con gli spinaci e mi divertivo a fare queste cose perché sapevo che lei non se ne sarebbe accorta. Non ho un ricordo triste del rapporto con mia nonna, semmai molto forte in quanto mi sono sentita responsabile di lei presto, quando ho cominciato un po’ a crescere. Andavamo a fare la spesa insieme, le tenevo la mano e le dicevo “Nonna, il gradino”, le tenevo la porta quando passava, la aiutavo a pagare i conti. Mia nonna era colei che mi istruiva sulla vita, mi insegnava tutto.

Come è nata la tua passione per il cinema, per la recitazione?

Mia nonna ed io insieme guardavamo i film la sera. Io le dicevo cosa vedevano i miei occhi e lei mi spiegava il film, perché a 5 anni non ero in grado di capire quello che vedevo e quindi avevo bisogno di lei. Queste nostre debolezze, che insieme diventavano qualcosa di forte, sono sempre stato un punto importante per me. Infatti già a 5 anni quando mi chiedevano “Che vuoi fare da grande?” io dicevo “l’attrice”. Secondo me, vedevamo troppa televisione… però questo gioco di raccontare quello che vedevano i miei occhi mi piaceva. Per me l’arte è sempre stato questo: comunicare quello che vedevo. Quindi ho perseguito questo sogno fin da bambina e quando sono diventata più grande ho cercato in tutti i modi di realizzarlo, anche andando via di casa, perché i miei genitori, entrambi medici, speravano per me un futuro diverso. Desideravano che diventassi medico. Mi sono iscritta a medicina perché il mondo dell’arte era visto come pericoloso. Non avevamo nessuno in famiglia che potesse appoggiarmi, nessuna conoscenza. In realtà frequentando l’Università mi rendevo conto che studiavo qualcosa che non mi interessava. Quando facevo le domande i professori mi dicevano “Ma questo non è di pertinenza della medicina”. Mi interessava di più l’uomo, le dinamiche che lo muovevano. Ho cominciato prima a frequentare un laboratorio teatrale, di nascosto; però loro andavano in scena e io non potevo perché i miei genitori non mi avrebbero mai fatto uscire tutte le sere regolarmente così da garantire la mia presenza sul palco… e quindi ad un certo punto decisi di andare via di casa. Fu difficile per me perché non ebbi più qualcuno che credeva nelle mie capacità. Non credevano neanche prima alla capacità artistica, però avevo bisogno di qualcuno che credesse nella scelta che stavo facendo. Mi sentivo sola. Inoltre non avevo un appoggio materiale ed economico. Quindi ho dovuto cavarmela da sola.

Com’è stato il rapporto con tua madre in tutto questo?

Il rapporto con mia mamma è sempre stato difficile perché io mi sentivo responsabile della sua sofferenza. Mi domandavo “perché sono venuta al mondo se sono nata per procurare tanta sofferenza in lei?”. Siccome tutta la vita lei è stata spesso ricoverata in ospedale, in qualche modo io mi riflettevo nella sua sofferenza e comunque la vivevo male. Per questo non ho mai apprezzato la mia vita fino in fondo, non l’ho mai amata. Per me la cosa più bella è stata scoprire che Dio mi amava profondamente. Da quel momento la mia vita ha acquistato bellezza, forza. L’amore di Colui che è la vita e che mi ha dato la vita mi ha permesso di guardare con altri occhi anche la potenzialità della mia vita, perché aveva un valore. Ho consumato la mia vita durante gli anni dell’adolescenza e della giovinezza. Ero inquieta, cercavo sempre esperienze nuove, avevo un tremendo bisogno di amore, di conferme di amore, anche perché, essendo stata un po’ sradicata affettivamente all’inizio, dovendo cambiare persone di riferimento, soffrivo di questa mancanza di radici solide. Anche la malattia di mia mamma che sembrava sempre che dovesse prima o poi morire … La sua salute mi creava un’ inquietudine profonda. Allora cercavo l’amore, ma al tempo stesso non ero fedele. Avevo questo bisogno di cercare nuove conferme: un amore più forte, una passione più forte. Questo era peggiorato dal fatto che avevo paura di mettere al mondo dei figli, per paura di soffrire come mia mamma. Quindi mi ero preclusa la maternità e di conseguenza, quando ho cominciato a diventare più adulta, sceglievo persone con le quali vivere un storia d’amore senza costruire un progetto, un futuro, una famiglia. Erano quasi sempre persone già sposate, già legate e guai se si doveva pensare a costruire insieme un futuro. Queste erano le ferite che mi portavo nel cuore che mostro per parlare della bellezza della grazia che mi ha ricostruita dentro. Dio non ha paura dei nostri peccati ma nel momento in cui ti perdona, ti sana quelle ferite che sono responsabili di certi comportamenti. Inoltre facevo i conti anche con la fisicità di mia mamma, che vedevo sformata. Mia mamma non è stata più una donna fisicamente bella come era prima. Aveva avuto parecchi problemi alle valvole delle gambe, che erano rovinate fin da quando era giovane, fin da quando era la mia mamma e io ero piccolina. Era come se cercassi un’ideale di mamma e in qualche modo non mi ritrovassi in questa mamma che era fisicamente non bella come le altre. Quando andai via di casa “scelsi” un’amica dei miei genitori che era una donna bella, molto curata, molto elegante perché rincorrevo un ideale. La nonna che mi ha cresciuta era una donna molto fine, era figlia di un ministro, cresciuta con una certa cultura, una certa eleganza, sensibilità. Mia mamma era figlia di mia nonna, però era come se cercassi un’ide
ale estetico di mamma…Ho dovuto fare un percorso di guarigione profondo e scoprire nell’umiltà, nella semplicità, la ricchezza della realtà. Il Signore mi ha fatto fare un percorso che mi ha riportato là da dove ero scappata per cercare di cucire gli strappi provocati dagli errori.

(La seconda parte dell’intervista verrà pubblicata domani, mercoledì 30 maggio)

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ZENIT Staff

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