Diritti e libertà religiosa

Secondo il filosofo Roger Trigg il perseguimento dell’uguaglianza può sfociare nella negazione dell’uguaglianza stessa

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di padre John Flynn LC

ROMA, lunedì, 28 maggio 2012 (ZENIT.org) – Alla luce del dibattito in corso negli Stati Uniti riguardo alla libertà di religione, dovuto alle nuove normative sanitarie che obbligano le organizzazioni religiose a pagare per prodotti contraccettivi ed abortivi, un libro pubblicato all’inizio di quest’anno, fornisce alcune interessanti spunti di riflessione.

Roger Trigg, professore emerito di filosofia presso l’Università di Warwick, in Inghilterra, ha firmato un saggio dal titolo Equality, Freedom and Religion (Orxford University Press).

Secondo l’autore, è in corso una sorte di “tiro alla fune” tra l’esigenza di eguaglianza, la lotta per la libertà individuale e la libertà religiosa. È giusto che credenze importanti per gli individui debbano essere protette, se sfidano assunti fondamentali riguardanti l’eguaglianza? Perché la libertà religiosa conta così tanto? Quanto è importante il diritto alla libertà di religione rispetto agli altri diritti e alle altre libertà?

“Nel contesto della libertà religiosa, nessuno stato può abdicare alla responsabilità, rifiutando di emettere giudizi sul carattere di ogni credenza religiosa”, argomenta Trigg. Ad esempio, il fatto che un sacrificio umano sia motivato dalla religione, ciò non lo rende moralmente accettabile.
L’insistenza sulla neutralità dello stato può anche portare ad una visione, secondo la quale non c’è posto per la religione nella sfera pubblica, aggiunge lo studioso.

Il secolarismo, osserva Trigg, non è mai neutrale, ma esprime sempre una visione sul luogo consono alla religione e i cui principi sono quelli di guidare lo stato. Vengono messi a confronto stati laici, come la Francia e la Turchia, e la separazione tra chiesa e stato, tipica degli Stati Uniti.

Sull’argomento della libertà di coscienza, Trigg spiega che i conflitti emergono quando la religione è contrapposta ai diritti, con la religione spesso messa da parte. Quando diritti apparenti entrano in collisione, spesso non c’è soluzione di compromesso e una parte vince a scapito dell’altra.

Parte integrante

Questa è la maniera sbagliata di trattare tali conflitti, al punto che Trigg afferma: “La libertà religiosa non è contraria ai diritti umani; al contrario, essa è parte integrante della nostra comprensione di cosa siano i diritti umani”.

La religione, commenta Trigg, mira a una fonte di autorità alternativa e più alta dello stato. Se ciò, da un lato, la rende vulnerabile, dall’altro la rende degna di protezione.

“L’esaltazione dello stato, anche quando esso possa apparire come ‘la volontà del popolo’, può urtare la coscienza individuale. Così la politica pubblica, in nome dell’eliminazione della discriminazione e dell’assicurazione dell’uguaglianza, può sfociare in un’ortodossia secolare”.

I tribunali britannici, afferma Trigg, si sono palesemente rifiutati di accogliere il credo religioso, quando questo sia contrapposto alla richiesta di uguaglianza. Questa posizione è basata su una malintesa concezione della gerarchia di diritti e dello status epistemologico di religione.

Al giorno d’oggi, troppo spesso le appartenenze religiose vengono denigrate come “soggettive” e la libertà di religione finisce ridotta alla libertà di culto. Perché allora, si domanda Trigg, le credenze religiose vanno protette?

La religione è profondamente radicata nella natura umana. Ciò non è la prova della loro verità ma spiega la loro centralità nella vita umana. La religione è parte integrante di ciò che è umano, quindi ignorarla o trattarla alla stregua di una scelta individuale senza alcun significato sociale, significa sottostimare in modo colossale il suo potere e il suo significato.

Bene umano fondamentale

Restrizioni arbitrarie della libertà religiosa dei popoli, sono paragonabili a quando si affama la gente o si rifiuta di offrirle ospitalità, dal momento in cui la religione è un bene umano fondamentale. Qualcuno potrà anche auspicare un mondo senza religione e va permesso loro di argomentare questa posizione. Tuttavia costoro non possono imporre la loro visione ad altri e pretendere che la religione non abbia nulla a che spartire con la sfera pubblica.

Declassare i principi religiosi in nome dell’uguaglianza, significa trattare alcuni cittadini e i loro interessi come più importanti di altri. “La ricerca dell’uguaglianza può produrre una negazione dell’uguaglianza stessa”, spiega Trigg.

Quindi, quando le priorità di un paese democratico appaiono ostili alle politiche delle istituzioni religiose o alla coscienza degli individui, ogni sforzo deve essere compiuto per accoglierle entrambe.

Ciò si applica non solo agli individui ma anche alle istituzioni, che sono viste dai credenti come depositi di verità e come un mezzo per trasmettere i valori alle generazioni future.

Alla fine, conclude l’autore, la politica pubblica è sempre basata su ipotesi su ciò che è importante. Inoltre, alla radice, tali giudizi saranno implicitamente filosofici ed anche religiosi.

Se crediamo che i diritti umani contino, allora dobbiamo avere una concezione della natura umana e in Occidente ciò è stato a lungo legato ai principi cristiani. La sfida cui ora ci troviamo di fronte, spiega Trigg, “è se una forte concezione della dignità umana possa sopravvivere a lungo senza le radici cristiane che indubbiamente l’hanno nutrita”.

[Traduzione dall’inglese a cura di Luca Marcolivio]

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ZENIT Staff

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