Etica della professione dello psicologo e comunicazione nei mass media

Conferenza stampa, organizzata dall’Ordine degli Psicologi del Lazio

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di Eugenio Fizzotti

ROMA, sabato, 26 maggio 2012 (ZENIT.org).- Per indirizzare e aiutare gli psicologi, coerentemente con il quadro normativo e deontologico vigente, a osservare i canoni di una corretta condotta nell’ambito della comunicazione mass-mediatica, in particolare quando si riferiscono ad argomenti di attualità e a fatti di cronaca, l’Ordine degli Psicologi del Lazio ha organizzato nella nuova sede romana di Via del Conservatorio 91 una interessante e applauditissima conferenza stampa che ha avuto luogo nella mattinata del 24 maggio 2012.

Con il coordinamento di Paolo Cruciani, Vice-Presidente dell’Ordine degli Psicologi del Lazio e grazie agli interventi di Anna Maria Giannini, coordinatrice del Gruppo Linee Guida sull’Etica della professione e comunicazione nei mass media con particolare riferimento all’ambito della cronaca, di Bruno Tucci, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, e di Federica Sciarelli, Giornalista e conduttrice televisiva, l’incontro ha approfondito le problematiche legate al fatto che sempre più spesso gli psicologi sono chiamati dai mezzi di comunicazione di massa a esprimere pareri professionali e a proporre riflessioni e interpretazioni su episodi di natura criminale, sulle indagini, sulle predizioni e i suggerimenti operativi, su indagati, imputati, condannati e testimoni, su comportamenti dei singoli protagonisti, su descrizione delle vittime, su analisi delle scene del crimine e del contesto socio-ambientale, ecc. Come è ben chiaro, in tutti questi i casi agli psicologi è chiesto di mettere a disposizione competenze di tipo professionale e tecnico-scientifico per favorire e diffondere una maggiore comprensione dei singoli episodi e contribuire a orientare le opinioni e i giudizi del pubblico.

Considerata una situazione complessa, la comunicazione mediatica di massa, spesso connotata da forti profili commerciali, chiama spesso in causa la categoria professionale degli psicologi che è ovviamente costretta a fornire indicazioni e opportuni richiami al Codice Deontologico, affinché il contributo dei singoli colleghi sia efficace e coerente senza ledere l’immagine professionale o violare i precetti deontologici e, nello stesso tempo, contribuisca alla diffusione delle conoscenze evitando luoghi comuni, generalizzazioni indebite o, peggio ancora, pericolosi “sconfinamenti”.

Essendo stato io per vari anni membro della Commissione Deontologica dell’Ordine degli Psicologi del Lazio posso confermare che il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani offre, nel suo complesso di principi generali e precetti puntuali, un quadro completo di disciplina etico-professionale dal quale possono ricavarsi, in via sia diretta che ermeneutica, anche le regole applicabili alle fattispecie delineate in premessa.

Essendo responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette conseguenze, lo psicologo è tenuto a uniformare la propria condotta ai principi del decoro e della dignità professionale e nel contesto della comunicazione mass-mediatica, grazie alla propria formazione, esperienza e competenza, riconosce quale suo dovere quello di aiutare le persone che lo contattano a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.

Nello stesso tempo, come si legge nell’art. 36 del Codice Deontologico, «lo psicologo si astiene dal dare pubblicamente su colleghi giudizi negativi relativi alla loro formazione, alla loro competenza e ai risultati conseguiti a seguito di interventi professionali, o comunque giudizi lesivi del loro decoro e della loro reputazione professionale».

Egli piuttosto, come si legge nell’art. 7, «valuta attentamente, anche in relazione al contesto, il grado di validità e di attendibilità di informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte; espone, all’occorrenza, le ipotesi interpretative alternative, ed esplicita i limiti dei risultati».

Tenuto strettamente al segreto professionale lo psicologo sappiamo bene che non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate. E nello stesso tempo, evitando di semplificare i problemi, di offrire l’illusione di scorciatoie e soluzioni immediate, di fare ricorso ai luoghi comuni, avverte forte l’esigenza di aiutare a cogliere la complessità dei fenomeni, la molteplicità delle interpretazioni, la difficoltà delle scelte operative.

Con estrema attenzione nel corso della conferenza stampa si è approfondito che lo psicologo, qualora partecipa a trasmissioni televisive e radiofoniche, interviste per riviste e quotidiani, comunicazioni su internet ecc., deve prendere ovviamente come indispensabile punto di partenza le precauzioni e le cautele previste dal Codice Deontologico e con estremo realismo sono stati indicati dei comportamenti che costituiscono la modalità espressiva della propria dignità professionale:

* Fornire un’immagine della professione che sia coerente con i principi condivisi dalla comunità scientifica e professionale nazionale e internazionale e faccia riferimento a teorie e metodologie consolidate e accreditate nella professione e nella comunità scientifica.

* Evitando di confondere i diversi contesti avverte l’esigenza di non interpretare segni, linguaggi non verbali, sogni, atteggiamenti o quanto altro, nelle situazioni di comunicazione mediatica e al di fuori del contesto professionale, come pure non proporre diagnosi di alcun tipo, neppure in forma ipotetica, né discutere confermandole o contestando le diagnosi effettuate da altri.

* Ulteriore obbligo è quello di non somministrare o interpretare test psicologici per non dare un’immagine gravemente fuorviante e dannosa per la professione e non commentare azioni o contenuti riportati in video senza premettere che i commenti possono soltanto essere ispirati a piani del tutto probabilistici e non riferirsi alla specifica situazione.

* Avvalendosi della propria formazione, esperienza e competenza, lo psicologo è chiamato a valutare con prudenza l’ipotesi di partecipare a discussioni pubbliche su indagini che non conosce in via diretta e astenersi dal commentare e giudicare gli esiti e le procedure, senza dare l’immagine di sostituirsi ai competenti organi all’uopo investiti.

* Ciò facendo si comprende chiaramente che non esprime convinzioni di colpevolezza o di innocenza delle persone coinvolte né si presta a strategie altrui che comportino il sostegno a una specifica tesi difensiva o accusatoria. Il che vuol dire che, per quanto possibile, è sempre chiamato a verificare che nel montaggio delle trasmissioni o nel testo delle interviste le sue dichiarazioni non appaiano in contrasto con i doveri e gli obblighi esplicitati nel Codice Deontologico.

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ZENIT Staff

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