di Antonio D’Angiò
ROMA, sabato, 19 maggio 2012 (ZENIT.org).- Maggio, calcisticamente parlando, è il mese delle finali delle competizioni europee. Pochi giorni addietro nell’atto conclusivo dell’Europa League 2011 – 2012, l’Atletico Madrid in un derby tutto spagnolo, ha sconfitto per tre reti a zero l’Athletic Bilbao.
Per chi avesse assistito alle sequenze televisive conclusive, non può non riviverle nella cronaca raccontata da Luca Valdiserri sul Corriere della Sera: “Da brividi il pianto di tanti giocatori dell’Athletic a fine gara (…) e bellissimo il gesto dei vincitori dell’Atletico che sono andati a rialzare da terra gli avversari. Non meritavano di restare giù perché quando hai dentro di te certi valori non esiste sconfitta che non si possa superare”.
Partiamo da qui, dalle gare conclusive di una intensa stagione agonistica, per rileggere il libro di Simone Bertelegni “L’Utopia calcistica dell’Athletic Bilbao” edito da Bradipo Libri e pubblicato ad agosto del 2011, cioè proprio all’inizio di questa annata sportiva.
L’autore, laureato in Letteratura spagnola e “amante dello sport pulito”, nel 2000 ha fondato in Italia il primo fan club dedicato all’Athletic Club di Bilbao. Collabora con riviste di sport attraverso rubriche sul calcio spagnolo e, nel 2010, ha curato l’edizione critica di una opera di Cervantes (Il dottor Vetrata).
Questo libro (evoluzione del precedente “L’ultimo baluardo. Il calcio schietto dell’Athletc Bilbao”), come scrive nella prefazione Andrea De Benedetti, è “una storia d’amore ma niente affatto platonica per una squadra di calcio” che, peraltro Bertelegni ammette poi nella introduzione, “anche questa versione risulterà piuttosto schierata. Non posso farci niente: non sono nato tifoso dell’Athletic, lo sono diventato perché dopo averne studiato i meccanismi, li ho ritenuti conformi al mio ideale di gestione di squadra, e più in generale ai miei ideali sportivi.”.
Ma quali sono questi meccanismi? Il primo, e forse quello maggiormente identificativo, è che quasi tutti i giocatori o sono nati nei Paesi Baschi o ne hanno origine o sono cresciuti nel vivaio dell’Athletic, cioè il famoso centro tecnico Lezama. Poi, solo da pochi anni, sulla maglietta a righe verticali biancorossa (zurigorri in lingua basca) è presente uno sponsor, cioè una compagnia petrolifera basca. Inoltre, il presidente e la compagine che governa il club viene eletto periodicamente dai soci tramite regolari elezioni (e campagne elettorali e relative promesse). Infine, la completa identificazione tra una entità geografica ed una sportiva.
Nelle circa duecento pagine, con una interessante appendice statistica dove sono segnate le vittorie e le sconfitte della squadra basca, sono tanti i temi, i luoghi, gli eventi, i personaggi legati alla storia dell’Athletic.
Innanzi tutto le folle, banalmente oceaniche, che accompagnano in tanti momenti la storia del club. Il milione di persone che ha seguito il tragitto della barca (gabarra) sul fiume Nerviòn, dove sostavano i calciatori dopo la vittoria dei titoli di campioni spagnoli del biennio 1983 e 1984 (basti pensare che Bilbao di abitanti ne aveva circa 300mila); oppure i tantissimi tifosi (circa 40mila) che ogni domenica affollano lo stadio San Mamés e che in altre occasioni hanno tributato un caloroso seguito anche alla squadra di calcio delle ragazze (Le neskak), vincitrici di diversi titoli.
Poi le opere architettoniche che fanno di Bilbao una città moderna e nella quale il nuovo San Mamès in via di realizzazione, ben si inserirà vicino al Guggenheim di Frank Gerby, al ponte sul Zubizuri di Santiago Calatrava ed alla metropolitana progettata da Norman Forster.
Ancora, gli eventi simbolici, come l’incontro a Roma nel 1956 tra la compagine basca e Pio XII che la lodò “per le sue qualità umane e sportive” o, nell’annata 2006 – 2007, la prima presidenta della storia, cioè Ana Urkijo.
Senza dimenticare, infine, i grandi calciatori come il goleador Pichichi (che ha dato il nome al titolo di capocannoniere del campionato spagnolo); il portiere mito Iribar (tra i pali nel doppio confronto nella finale della Coppa Uefa del 1977 contro la Juventus); l’allenatore giovanissimo Clemente (che da grande promessa dovette lasciare il calcio per un grave incidente) ma, soprattutto, quel Julen Guerrero che, dopo una vita con la maglia dell’Athletic, per l’emozione, non riuscì a concludere la conferenza stampa d’addio al club e dovette affidarsi ad un semplice comunicato stampa.
L’interessante “Utopia” di Bertelegni, per concludere, somiglia molto a quelle opere letterarie che divengono un tutt’uno con l’autore e che via via possono essere ampliate con nuovi episodi e soprattutto con nuove storie che incrociano la Storia del popolo. Ancor di più se corredate anche da qualche bella fotografia che permette al lettore di vedere i luoghi e gli uomini legati a questa fiera squadra.