Senza giustizia non ci sarà pace in Colombia (Prima parte)

Intervista con il vescovo di Girardota, mons. Guillermo Orozco Montoya

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ROMA, venerdì, 18 maggio 2012 (ZENIT.org) – Nonostante la sua bellezza, la Colombia è un Paese con una storia di oltre 40 anni di violenza e di lotta armata, sequestri di persona e tante vite umane perdute. Il narcotraffico, la guerriglia, la disoccupazione e il fenomeno dello sfollamento forzato, sono alcuni dei maggiori problemi che questo Paese affronta da decenni ormai.

In collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre, María Lozano ha intervistato monsignor Guillermo Orozco Montoya, vescovo di Girardota, per il programma settimanale Where God Weeps.

Lei è nato nel 1946, l’epoca in cui sono iniziati gli anni della violenza, l’epoca chiamata proprio con questo nome: La violencia. Da quel momento fino ad oggi, la Colombia non ha quasi mai potuto vedere la pace. Come persona che è cresciuta vivendo o sentendo sempre questo messaggio di violenza, di terrore, non prova una sete, un ardente desiderio di pace?

Mons. Guillermo Orozco Montoya: Il desiderio è costantemente presente nella mente di qualcuno, questo pensiero: “Quando avremo la pace in Colombia?”. E questo lo sperimenta ogni colombiano, perché in qualche modo, direttamente o indirettamente, abbiamo tutti sofferto il flagello della guerra e soprattutto negli ultimi anni quando ci sentivamo tutti sequestrati, quando lo eravamo letteralmente, poiché non potevamo uscire per andare tranquillamente in qualche villaggio, perché improvvisamente arrivava la guerriglia e sequestrava un intero gruppo di persone…

Di questo ne parleremo più tardi, adesso volevo chiederLe, come è maturata la sua vocazione al sacerdozio? Come ha scoperto la sua chiamata?

Mons. Guillermo Orozco Montoya: Questa domanda mi è stata fatta già più di una volta e ho imparato a rispondere ad essa solo pochi anni fa, esattamente 17 anni dopo la mia ordinazione. Una volta, quando mi chiedevano la storia della mia vocazione rispondevo “non ho una storia”, ma poi ho sentito da qualcuno che mia madre pregava ogni giorno il Signore per avere un figlio sacerdote. Mi sarebbe piaciuto semplicemente diventare un sacerdote sin da piccolo e, alla fine, lo sono diventato ma poi ho scoperto una bella preghiera della madre per un figlio sacerdote che mia madre conservava e capii che lei aveva chiesto questo al Signore e l’ha ottenuto.

Eccellenza, da metà 2009, Lei è vescovo di Girardota, vicino a Medellín, più o meno? A nord di Medellín…

Mons. Guillermo Orozco Montoya: Molto vicino, sono 30, 40 minuti in auto, da Medellín a Girardota.

Mentre prima Lei era a San José de Guaviare, che si trova a più di 400 chilometri al sud di Bogotá.

Mons. Guillermo Orozco Montoya: Quasi 800 chilometri da Medellín…

Quasi 800 chilometri da Medellín. Una realtà completamente diversa…

Mons. Guillermo Orozco Montoya: Sì, quando mi hanno nominato vescovo, il nunzio mi disse: “Monsignore, la sua vita è cambiata” e io gli ho detto: “sì, mia vita è cambiata”. Primo perché non ero abituato a lavorare in una zona di missione e ancor di meno in una zona di presenza guerrigliera, come lo è Guaviare con tanti problemi. Ma comunque sono arrivato con la convinzione che stavo andando con una missione che mi aveva affidato il Signore e ci sono stato 4 anni, mi sono sentito molto bene, mai ho avuto paura nonostante i problemi. A Guaviare il problema era il narcotraffico, le piantagioni di coca, sebbene non così forte come prima, perché il governo lo sta perseguendo… ma la guerriglia si era dedicata a costringere i contadini a coltivare la coca, così che la potevano negoziare e c’erano permanentemente minacce della guerriglia contro chi non pagava il pizzo.

Lo ha sperimentato personalmente durante i suoi anni a Guaviare?

Mons. Guillermo Orozco Montoya: Anch’io sono stato minacciato personalmente dai guerriglieri perché mi chiedevano denaro. La diocesi ha una fattoria, un allevamento di bestiame con il quale sostiene le parrocchie, gran parte dei suoi proventi sono per pagare le spese della diocesi. La guerriglia diceva che per ogni capo di bestiame bisognava pagare qualcosa e io ho detto: “Non un solo centesimo, perché noi non evangelizziamo parlando di giustizia e parlando di onestà da un lato e allo stesso tempo appoggiando la violenza”. Hanno detto: “può rimanere a San Jose, ma attenzione, perché se non paga, lei diventa un obiettivo militare”.

Ma la situazione è migliorata negli ultimi anni…

Mons. Guillermo Orozco Montoya: Dove sto adesso, a Girardota, ero stato già 17 anni fa come rettore e in quel tempo vi erano guerriglieri, paramilitari, la situazione era abbastanza simile a quella del Guaviare, anche se non tanto critica. Ma questo succedeva in passato, adesso, dopo 8 anni del governo precedente con la politica di sicurezza democratica, la guerriglia è stata nuovamente isolata nella giungla e ha lasciato i villaggi. Ma i problemi sono rimasti e qui nella mia diocesi c’è molta povertà, le conseguenze di tante morti e tante vendette, ma si può lavorare con tranquillità, il che è molto diverso.

Il narcotraffico degli anni ‘80 ha cambiato la vita di tutta la Colombia. Quanto ha influito il fatto che il traffico di droga è stato così fiorente nel vostro Paese?

Mons. Guillermo Orozco Montoya: Ciò che è cambiato è la mentalità riguardo ai valori soprattutto tra i giovani. Quando un ragazzo sa che è facile fare dei soldi con la coca, allora si impone la cultura del denaro facile, dell’illegalità e della morte. Da ciò è nato, ad esempio, ciò che noi chiamiamo il “sicariato”, che erano i ragazzi assunti dai narcotrafficanti, per vendicarsi dei loro nemici o di coloro che non pagavano. Mi ricordo più di una volta che questi ragazzi sono stati intervistati su ciò che significava per loro uccidere, se non era difficile… Le loro risposte erano così fredde da far paura: “No, uccidere la prima o la seconda volta era difficile, ma poi ci si abitua…”. È l’abitudine di vivere nell’illegalità e del denaro facile… È soprattutto gente che non ha avuto mai nulla, che non aveva nulla, perché succede alla maggior parte alla gente povera, che poi, improvvisamente, può avere tutto: possono avere una macchina di ultimo modello, moto e come loro dicono – e si sente costantemente – “dare alla mamma o alla vedova una casetta”…

Quindi mi sta dicendo è anche la cultura della morte che si sta dilagando in questi Paesi, perché il valore della vita è minimo…

Mons. Guillermo Orozco Montoya: In Colombia, il narcotraffico ha avuto un enorme impatto sulla cultura. Si guarda la televisione e tutti i giorni si uccide uno studente per rubare il suo telefono cellulare, perché non ha prestato mille pesos e gli danno una coltellata… Questo è frutto proprio di questa cultura nella quale si sa che, minacciando gli altri, possono sbarazzarsi di loro. Anche noi risentiamo di questo: ad esempio ho appena mandato un sacerdote in una zona di missione e dopo 15 giorni era già ritornato perché aveva ricevuto un messaggio – presumibilmente da un guerrigliero – che diceva: “Non sei il benvenuto, hai 8 giorni per sparire o ti facciamo fuori noi”. Dopo si è saputo che non era della guerriglia, perché la guerriglia conosce il lavoro dei sacerdoti e al vescovo dicevano che non avevano nulla contro di lui e che poteva tornare. Ovunque si viene accolti in questo modo, non solo in quelle zone. Mi instillano ancora paura, posso rimanere lì, correre il rischio, perché può essere semplicemente una minaccia, una semplice minaccia senza importanza, ma può anche essere qualcuno che vuole sbarazzarsi di qualcun altro. Questa è la cultura, o meglio. la subcultura della morte.

[La seconda parte verrà pubblicata domani, sabato 19 maggio]

***

Questa intervista è stata condotta da María Lozano per Where God Weeps, un programma televisivo e radiofonico settimanale realizzato in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre.

Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org
Aiuto alla Chiesa che soffre Italia: www.acs-italia.glauco.it
Where God Wheeps: www.wheregodweeps.org

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Paul De Maeyer]

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ZENIT Staff

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