di Paolo Lorizzo*
ROMA, sabato, 19 maggio 2012 (ZENIT.org).- Al contrario di quanto accade per la maggior parte dei luoghi di culto cristiani a Roma, la chiesa di Sant’Adriano al Foro Romano, oltre che sconsacrata, è praticamente inaccessibile se non pagando il biglietto d’ingresso ed attraversando tutta l’area archeologica del Foro Romano. Ai più questo edificio è praticamente sconosciuto, semplicemente perché all’atto della sconsacrazione, avvenuta negli anni ’30 del secolo scorso, vennero effettuati restauri e spoliazioni atti al ripristino dello stato originale di uno degli edifici più importanti della romanità sede del Senato Romano: la Curia Iulia. L’edificio venne inaugurato da Augusto nel 29 a.C. in sostituzione della più antica Curia Hostilia, edificata, secondo la tradizione, dal terzo re di Roma, Tullio Ostilio. In seguito ad un devastante incendio nel 283 d.C. avvenuto sotto l’imperatore Carino, la Curia venne ricostruita dall’imperatore Diocleziano che collocò all’ingresso una maestosa porta a due ante in bronzo, trasferita nel XVII secolo per serrare l’ingresso principale della Basilica di S. Giovanni in Laterano.
La facciata in laterizio è architettonicamente scandita nella sommità da uno splendido timpano con mensole che sormonta tre grandi finestroni inquadrati da due pilastri angolari fungenti da contrafforti. Ai lati della porta sono visibili alcuni loculi successivamente murati in fase di restauro e corrispondenti ad alcune sepolture di epoca medievale. L’intera area infatti tornò a ricoprire quella destinazione ‘funeraria’ che ebbe ricoperto all’inizio dell’epoca regia, prima che la costruzione di quella grande infrastruttura pubblica nota con il nome di Cloaca Maxima iniziasse a raccogliere le acque della valle e la destinasse ad uso forense.
L’interno della curia è piuttosto austero (come si addice ad una costruzione romana) ma abbellito da un magnifico pavimento in opus sectile a tarsie marmoree policrome, in parte rifacimento di epoca ‘dioclezianea’ e realizzato utilizzando marmi antichi. Una serie di nicchie si aprono lungo le pareti, in origine inquadrate da colonne sormontate da un timpano e sorrette da mensole. L’interno era scandito da un corridoio centrale fiancheggiato da banchine che ospitavano circa 300 senatori e alla cui estremità era una nicchia fiancheggiata da due aperture e destinata ad accogliere l’altare e la statua della Vittoria, dinanzi alla quale i senatori giuravano fedeltà alla Repubblica.
L’ara e la statua furono protagoniste tra la fine del IV e l’inizio del V secolo di un contenzioso tra il consesso senatoriale, a maggioranza pagana e gli imperatori che si succedevano al trono, i quali, a seconda della propria fede, decidevano se tollerarli od osteggiarli. Questi furono definitivamente eliminati nel 394 quando Teodosio sconfisse Eugenio nella cosiddetta ‘battaglia del Frigido’. Attualmente l’unico elemento d’arredo presente all’interno dell’aula (se si escludono gli allestimenti che periodicamente sono presenti a supporto delle mostre organizzate) sono i cosiddetti ‘plutei‘ o ‘aniglifi di Traiano’, balaustre probabilmente appartenenti ad una tribuna la cui originaria collocazione è ancora tema di discussione.
L’ultimo sprazzo di vitalità vissuto sotto Teodorico è solo un’effimera illusione rispetto ai gloriosi fasti vissuti durante l’epoca imperiale. Scomparso il sovrano gotico, la curia venne abbandonata fino al 630, anno in cui papa Onorio I la trasformò in chiesa successivamente dedicata a Sant’Adriano da papa Adriano I che la elevò anche al rango di Diaconia. Ancora oggi all’interno di una cappella laterale sono visibili pitture relative alle ‘Storie della vita di Sant’Adriano’.
La destinazione ad edificio di culto ha permesso la completa conservazione nei secoli dell’edificio, all’interno del quale vennero anche realizzate pitture bizantine ancora visibili soprattutto nella controfacciata. Nel 1228 papa Gregorio IX apportò notevoli modifiche all’edificio, rialzando di quasi tre metri il piano di calpestio, dividendola in tre navate e creando una cripta semianulare al di sotto dell’altare. In seguito ad un secondo periodo di abbandono la chiesa venne nuovamente restaurata nel 1590 dai frati spagnoli dell’ordine mendicante di Nostra Signora della Mercede e successivamente nei secoli XVII e XVIII vennero collocati arredi tra cui spiccano per rilevanza artistica due acquasantiere sorrette da angeli marmorei e la rappresentazione della Sacra Famiglia di Scuola raffaellesca.
In seguito ai discutibili restauri effettuati negli anni ’30 del novecento gli antichi arredi religiosi vennero trasferiti nella moderna chieda di Santa Maria della Mercede e di Sant’Adriano, edificato nel 1958 in viale Regina Margherita nel quartiere Salario. I restauri per ripristinare l’antico stato della curia, abbatterono le due divisioni interne originariamente realizzate con colonne e materiali di spoglio che dividevano l’ambiente in tre navate, il ripristino dell’antica pavimentazione di epoca romana e l’eliminazione dell’abside e della cripta. Oggi l’edificio troneggia maestoso in uno dei contesti più rilevanti dell’intera romanità, nel luogo scelto da Giulio Cesare per affermare il suo potere e quello di Roma, elemento strategico di congiunzione con il nascente foro cesariano.
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.