ROMA, venerdì, 18 maggio 2012 (ZENIT.org).- Sono stati 85 i richiedenti e titolari di protezione internazionale, vittime di tortura, accolti dalla Caritas diocesana di Roma attraverso il progetto “S.P.E.S. – Sostegno Psicologico e Sociale per richiedenti e titolari di protezione internazionale, vittime di tortura e violenza”; per loro anche corsi di italiano, formazione professionale, tirocini lavorativi e riabilitazione psico-fisica.
I risultati dell’iniziativa – promossa dalla Cooperativa “Roma Solidarietà” della Caritas di Roma, con il finanziamento del Fondo Europeo per i Rifugiati (Prog. 4488, FER AP 2010, Azione 1.1.B) – sono stati illustrati stamane presso la sede del centro di accoglienza di Via del Mandrione n. 201. Erano presenti alla manifestazione: monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas diocesana di Roma, Marta Matscher, vice prefetto del Ministero dell’Interno in qualità di Autorità responsabile del Fondo Europeo per i Rifugiati, e in rappresentanza dell’Autorità Delegata FER, Antonella Romanelli e Annalisa Maisto.
Il progetto, che chiuderà formalmente il 30 giugno 2012, ha avuto come obiettivo principale il rafforzamento delle misure di accoglienza esistenti sul territorio di Roma, attraverso la creazione di un centro di accoglienza dedicato a richiedenti e titolari di protezione internazionale, vittime di violenza a tortura, capace di ospitare almeno 20 persone, sia uomini che donne. Le attività progettuali hanno inoltre avuto come finalità la costruzione di percorsi di integrazione individuali che abbracciassero il più possibile ambiti diversi: dalla riabilitazione psico-fisica alla socializzazione, dall’inserimento socio-lavorativo all’autonomia abitativa.
Nell’ambito del progetto “S.P.E.S.” sono stati presi in carico complessivamente 85 destinatari (26 donne e 59 uomini) e promossi 83 percorsi integrati (il 98%), volti all’inserimento socio-economico attraverso l’erogazione di: corsi di lingua italiana, corsi di formazione professionale, l’attivazione di tirocini formativi, la promozione di attività di riabilitazione psico-fisica e attività ludico-ricreative e sportive. Il 35% dei destinatari ha beneficiato di misure volte all’accoglienza e/o alla promozione dell’autonomia abitativa: 24 destinatari (13 uomini e 11 donne) hanno beneficiato dell’accoglienza residenziale, mentre 6 destinatari hanno ricevuto contributi all’alloggio. Ben 52 destinatari (il 61%) hanno potuto beneficiare di uno o più contributi economici a sostegno del loro percorso individuale di integrazione.
L’elemento caratterizzante lo svolgimento delle attività è stata la presenza dei tutor individuali-case manager la quale ha garantito una completa presa in carico dei destinatari. La costante sinergia dell’équipe multidisciplinare, il coordinamento e il monitoraggio continuo delle attività, hanno assicurato il raccordo funzionale tra le diverse azioni progettuali. Infine, la supervisione clinica degli operatori ha contribuito a mitigare il rischio di bourn-out e a mantenere un alto livello di professionalità.
«A poco più di un mese dalla conclusione delle attività progettuali è possibile affermare che la valutazione complessiva é positiva: gli obiettivi pianificati sono stati perseguiti e i risultati conseguiti sono aderenti a quelli previsti» ha dichiarato Alessandro Agostinelli, coordinatore del progetto. Per Agostinelli, inoltre, l’iniziativa «conferma la necessità di sostenere progetti specialistici siffatti su un arco temporale pluriennale dal momento che i tempi di recupero psico-fisico e quindi di inserimento sociale, lavorativo ed economico di soggetti vulnerabili non sempre coincidono con tempi progettuali ristretti».
Il direttore della Caritas, monsignor Enrico Feroci, nel suo intervento ha ricordato Le Quyen Ngo Dinh, la responsabile dell’Area Immigrati della Caritas e coordinatrice del progetto S.P.E.S., scomparsa lo scorso aprile. «Le Quyen – ha dichiarato il direttore Caritas – forte della propria esperienza maturata in tanti anni di lavoro al fianco e a favore sia degli immigrati sia dei rifugiati, ha da subito voluto che questo centro ospitasse sia uomini che donne e, pur garantendo la dovuta riservatezza a ciascuno, che si creassero momenti di incontro e condivisione tra gli ospiti di entrambi i sessi, in ciò confortata anche dai supervisori clinici». Per monsignor Feroci, «la qualità del lavoro svolto e i risultati raggiunti sono certamente dovuti all’attenzione alla persona in tutto il suo essere, alle sue esigenze ed aspettative con cui ogni operatore Caritas è abituato a lavorare ed alla sinergia di intenti ed obiettivi dei vari enti che hanno partecipato al progetto».