di Paola Binetti*
ROMA, venerdì, 11 maggio 2012 (ZENIT.org).- Affrontare nell’ambito del Fiuggi Family Festival (25-29 luglio) il tema del Gioco d’Azzardo è un atto di coraggio e manifesta una profonda fiducia nel sistema-famiglia come contesto particolarmente idoneo sia a prevenire il gioco d’azzardo, evitando che si trasformi in un gioco d’azzardo patologico (GAP), sia a sostenere una adeguata ri-abilitazione dei giocatori perché possano emergere dalla spirale soffocante del GAP.
La famiglia sa bene che il gioco d’azzardo è un’attività ludica con alcune caratteristiche particolari: possano partecipare tutti, purché dispongano della somma necessaria per iniziare a giocare. Il premio può essere rappresentato da denaro o da altri beni materiali, ma non è legata alla abilità del giocatore. E’ sempre e solo frutto della casualità.
La vera domanda che la famiglia si pone è come avvenga il passaggio dalla fase ludica a quella patologica. In altri termini quando il gioco si trasforma in vizio o quando la malattia si impadronisce del soggetto, che non riesce più a dominare se stesso… Il passaggio dalla fase libera, “volontaria”: gioco quando voglio e quanto voglio, a quella cosiddetta involontaria, in cui il soggetto non è più in grado di decidere di smettere è quasi sempre accompagnato da una fase intermedia di stampo moralistico, in cui il soggetto dice a se stesso e promette agli altri: “non bisognerebbe farlo, però… oppure non bisognerebbe farlo, perciò… “.
La sensazione di aver superato la soglia di controllo scatta quando il soggetto percepisce che deve aumentare la sua esposizione al gioco per trovare una soddisfazione analoga a quella dei suoi inizi: deve giocare di più, più a lungo, vuole sperimentare giochi nuovi, per poter ottenere lo stesso livello di eccitamento. Altrimenti sperimenta nervosismo, ansia, una certa irrequietezza motoria, tutti sintomi tipici dell’astinenza. L’esperienza dell’azzardo è spesso descritta come “eccitante” o addirittura “esaltante” e quando il soggetto insegue questa sensazione di eccitazione, capisce che ha perso il controllo della situazione…
Il passaggio dalla fase ludica a quella patologica non è un passaggio obbligato: molti giocatori sociali continuano a giocare per puro divertimento, investendo deliberatamente tempo e denaro, senza compromettere se stessi e la propria famiglia. Il rischio della “schiavitù” però è così pesante che ci induce a chiederci perché questo accada. Probabilmente esiste una predisposizione dovuta a fattori biologici, ambientali e psicologici e i soggetti predisposti tendono ad abusare dell’esperienza-gioco e possono sviluppare in modo subdolo e progressivo vere e proprie forme di dipendenza. Il passaggio dalla dipendenza al gioco d’azzardo patologico (GAP) si configura come una vera e propria malattia mentale.
L’Associazione Psichiatrica Americana (APA: American Psychiatric Association) classifica il gioco d’azzardo patologico all’interno dei “Disturbi del controllo degli impulsi”, analogo al gruppo dei Disturbi Ossessivo-Compulsivi (DOC). Il giocatore patologico non ha caratteristiche di età, sesso o classe sociale che lo rendano “riconoscibile”. Però presenta con una certa frequenza una struttura della personalità di tipo narcisista, dipendente e impulsiva. Spesso ha un’autostima molto bassa, ha bisogno di continue conferme e reagisce male davanti alle frustrazioni e agli insuccessi, e non raramente cerca di fuggire dalle sue responsabilità, non sapendo dare ragione delle sue scelte e della sua condotta.
Spesso gli amici, la stessa famiglia si chiede e chiede alla persona affetta da GAP:
“Ma perché non ti sei fermato prima?” Sembra che nel gioco d’azzardo patologico la ragione principale sia il “chasing”, ossia l’inseguimento delle perdite. Non raramente dopo una prima fase caratterizzata da vincite incoraggianti scatta nel soggetto la tendenza a “rincorrere” altre vincite, aumentando la frequenza di gioco e le puntate. Quando inizia a perdere il soggetto attribuisce ciò ad un “periodo sfortunato” le sue sconfitte e tende ad aumentare il rischio, nell’illusione di ottenere vincite più alte, che gli consentano di riparare alla perdite accumulate. Le perdite a questo punto superano di gran lunga le vincite ed inizia così la fase dell’inseguimento delle perdite (chasing), cioè il tentativo di recuperare il denaro perduto con un “colpo di fortuna”. Il gioco viene visto come l’unica possibilità di redenzione e recupero.
Il FFF attraverso il linguaggio cinematografico può provare a parlare contemporaneamente ai giocatori nelle fase iniziali, quando l’aspetto ludico sembra prevalente, ma mostra già i segni di rischio. Il cinema può mettere a nostra disposizione una lunga raccolta di storie, può mostrare fasi conclamate della dipendenza e nello stesso tempo la rete di solidarietà che può e deve circondare queste persone. Il cinema non si limita a mostrare, può stimolare reazioni e relazioni , può aiutare a prevenire e a curare…
* L’onorevole Paola Binetti è un medico specializzata in neuropsichiatria infantile e in psicologia clinica. Dal 2004 è Presidente della Società Italiana di Pedagogia Medica e membro di numerose società scientifiche e direttore e membro del comitato editoriale di alcune riviste specialistiche; dal 2002 al 2006 è stata membro del Comitato Nazionale di Bioetica. È stata inoltre presidente del Comitato Scienza & Vita.