Il cristianesimo ad un bivio in Medio Oriente (Prima parte)

Intervista con padre Samir Khalil Samir, S.I., islamologo ed esperto di cultura araba

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ROMA, lunedì, 7 maggio 2012 (ZENIT.org) – In collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), Mark Riedemann ha intervistato per Where God Weeps (Dove Dio Piange) padre Samir Khalil Samir, S.I., professore di Storia della Cultura araba e di Islamologia a Roma e a Beirut, ed esperto nel dialogo interreligioso.

Vorrei delineare un panorama della situazione dei cristiani in Medio Oriente. Di che cifre stiamo parlando? E quali sono le diverse esperienze che vivono i cristiani nei vari Paesi del Medio Oriente?

Padre Samir Khalil Samir. È difficile dare delle cifre esatte. Direi all’incirca 16 milioni. Il numero più alto è in Egitto, dagli 8 ai 10 milioni circa. Il patriarcato dice che sono molti di più, mentre il governo afferma che sono molto di meno. In Libano si registra la più grande percentuale di cristiani sul totale della popolazione, anche se è un numero ridotto, circa 2 milioni. Poi ci sono cristiani in Siria, Giordania, Palestina e Iraq: è la regione dove ci sono i cristiani nativi. Al di fuori dell’Egitto, la presenza più numerosa di cristiani è nella penisola arabica: si tratta di filippini, srilankesi ed indiani…

…Lavoratori stranieri dunque.

Padre Samir Khalil Samir: …Lavoratori stranieri che vengono importati e che soffrono molto a causa della situazione in questi Paesi. In Egitto la situazione è difficile ma non c’è persecuzione, diciamo discriminazione. E poi ci sono le aree devastate dalle guerre come l’Iraq e per più di 60 anni la Palestina. Queste due situazioni rendono l’esistenza dei cristiani molto difficile. In Palestina, i cristiani hanno perso la speranza e lasciano il Paese se ci riescono. Abbiamo più o meno la stessa situazione in Iraq. I cristiani si stanno spostando dalle loro zone verso il nord, la parte curda nel nord dell’Iraq.

Lasciando da parte il discorso sulla guerra, la situazione va dalla discriminazione fino alla persecuzione aperta?

Padre Samir Khalil Samir: Mentre la guerra è la peggiore situazione, la discriminazione in Egitto è il secondo livello. Un esempio: tutto il giorno e tutto l’anno, dalle cinque del mattino, vieni bombardato con la propaganda islamica. Iniziano la loro preghiera usando i megafoni e la ripetono cinque volte al giorno. Poi ci sono la radio e la televisione: spesso i vicini seguono questi programmi con un volume altissimo. Non ti puoi lamentare perché il vicino si giustificherà dicendo che è la parola di Dio. Anche la televisione e il cinema sono inondati dalla propaganda islamica. Nelle scuole, i ragazzi e le ragazze iniziano la giornata con l’insegnamento islamico. Comincia quando gli studenti sono ancora fuori, poi vengono di nuovo inondati dalla propaganda islamica, chiamata Khutbah. Quando c’è il cambio di insegnante, si ripete il rituale. In termini di occupazione, quando qualcuno cerca un lavoro, in particolare nel settore pubblico, chiedono il tuo nome, il che è normale, ma in Egitto le cose sono diverse: chiedono il tuo nome, quello di tuo padre, quello di tuo nonno, e se non c’è qualche Mohammed nella serie di nomi allora capiscono che sei un cristiano.

Infatti, la carta d’identità menziona la religione.

Padre Samir Khalil Samir: Esattamente, non chiederanno la tua carta d’identità, solo il tuo nome, ma in quel momento sai che sei stato classificato e che potrebbe essere un motivo per essere rifiutato per un lavoro e cose simili. Senti di essere trattato diversamente. L’atmosfera è l’islamizzazione della società. E durante il Ramadan (il mese del digiuno islamico, ndr) tutto il sistema cambia. Gli orari cambiano. Il sistema dei trasporti pubblici smette di funzionare dalle cinque di sera fino alle otto della mattina; la vita dipende dalla religione della persona e visto che è islamica per natura, essere un cristiano significa sentirsi non considerato o emarginato. Sono cose semplici ma c’è discriminazione anche all’università. Un cristiano non può essere un ginecologo o insegnare l’arabo perché il loro ragionamento è che, essendo cristiano, come può uno insegnare l’arabo che è basato sul Corano e come puoi insegnare il Corano se non sei un musulmano.

…e un ginecologo, ovviamente, perché in quanto cristiano come puoi guardare una donna musulmana. Questo verrebbe considerato…

Padre Samir Khalil Samir: Sì, quando una ragazza cristiana esce senza portare il velo, le critiche sono così forti che alla fine conviene cedere. C’è questa pressione. Nelle città non è un problema ma nei piccoli villaggi è molto più evidente.

Possiamo dire che questa situazione rispecchia quella presente in molti Paesi del Medio Oriente?

Padre Samir Khalil Samir: No, non tanto, ma senz’altro è così nella penisola arabica. Mi riferisco a questi Paesi dove il cristianesimo era presente già prima dell’Islam, come Egitto, Siria, Libano, Giordania e Palestina; in Egitto la situazione è la peggiore. Dall’altro lato c’è il Libano, che non è un Paese islamico. È un Paese arabo. È l’unico Paese, che non è musulmano ma un Paese religioso, dove cristiani e musulmani sono uguali. Questo significa che riconosciamo che la religione è una parte essenziale della società, del sistema e dello Stato. Nel Parlamento libanese ci sono 64 cristiani e 64 musulmani, cristiani di varie denominazioni e musulmani di tre o più denominazioni.

Sarebbe dunque un modello di convivenza…

Padre Samir Khalil Samir: …e fra questi estremi ci sono Paesi come la Siria e l’Iraq del passato, che pretendono di essere Paesi laici e governati da un partito politico, il Partito Baath, come ancora è il caso in Siria. Lo Stato è consapevole della tua religione ma sei libero e la politica non cambia. Il presidente della Siria è certamente un musulmano, ma il sistema è laico.

Tuttavia non c’è libertà di religione ma solo libertà di culto.

Padre Samir Khalil Samir: Sì, ma non è così grave. Un musulmano può convertirsi ma non è facile a causa della pressione familiare e sociale e non perché c’è una legge o così è previsto nella Costituzione: questa è la differenza. In Egitto sarai punito perché la shari’a è la base della Costituzione egiziana. La stessa situazione della Siria si riscontra in Giordania. Il re e il regno sono aperti di mente specialmente verso i cristiani e infatti accolgono i cristiani con grande stima. I cristiani, per la maggior parte latini, appartengono alle tribù arabe. Significa che non si può dire che sono occidentali. Parlano come i beduini, sono d’altronde arabi.

Appartengono alle radici del Paese.

Padre Samir Khalil Samir: Sì, come il patriarca di Gerusalemme, mons. Twal, e il vescovo di Algeri, entrambi appartengono a tribù arabe e giordane. Nell’Arabia Saudita invece, non puoi fare nulla. Neppure pregare.

[La seconda parte dell’intervista verrà pubblicata domani, martedì 8 maggio]

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per Where God Weeps, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network, in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre.

Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org
Aiuto alla Chiesa che soffre Italia: www.acs-italia.glauco.it
Where God Wheeps: www.wheregodweeps.org

[Traduzione dall’inglese a cura di Paul De Maeyer]

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ZENIT Staff

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