di padre Angelo del Favero*
Is 63,16b-17.19b; 64,2-7
“Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! (…)
Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani.”.
Mc 13,33-37
“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. E’ come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi lo dico a tutti: vegliate!”.
“Dobbiamo rimettere al centro la relazione, sull’esempio di Dio che in Cristo ci ha incontrato nel nostro dolore, nelle molte fragilità della vita e nelle stesse gioie, facendo sentire che nessuno è solo, e che assolutamente nessuno sarà abbandonato” (card. A. Bagnasco, VIII Convegno Nazionale di “Scienza e Vita”, 18 novembre 2011).
Questo autorevole richiamo a ravvivare le nostre relazioni personali, ad imitazione del Verbo fatto carne, sintetizza bene il messaggio generale del Tempo liturgico dell’Avvento, centrato in questa prima Domenica sul tema della vigilanza cristiana: “vegliate!” (Mc 13,37).
Sappiamo che il grido di speranza del profeta: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19), cifra esistenziale di ogni uomo, contiene già l’annunzio dell’evento ardentemente desiderato: Dio ha realmente squarciato i cieli, è già sceso ad abitare in mezzo a noi, “e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14b).
Gesù di Nazaret ha rivelato in se stesso che, in principio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo hanno messo al centro la relazione con l’uomo, decidendo di incontrarlo nel suo dolore, in tutte le fragilità della sua vita e nelle stesse gioie, dandoci così prova che nessuno è solo e che nessuno, mai, sarà abbandonato.
Sì, ma ancora e sempre: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19).
Ecco, i cieli che si squarciano specialmente in certe regioni d’Italia, non cessano di essere di drammatica attualità in quest’autunno inoltrato: la parola “nubi-fragio” significa “rottura di nubi” e, quando il cielo si ricopre di nuvole minacciose, grande è il timore che l’acqua scenda ancora una volta a seminare distruzione e morte.
La domanda di sempre torna allora ad emergere nei cuori: se Dio è nostro</em> Padre, perché ci mette in balìa degli uragani e di ogni sorta di sofferenze?
Isaia sembra oggi rispondere a questa domanda: “Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te” (Is 64,6).
E’ la denuncia del mancato ascolto dell’appello evangelico alla vigilanza: “Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. (…); fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati” (Mc 13,36).
E’ chiaro che non si tratta del sonno fisiologico della notte, ma del sonno dell’anima, intorpidita dalla consuetudine a trascurare quella vitale relazione con Dio che è la preghiera, abituata a non “stringersi” al Signore al risveglio del mattino (Salmo 63/2,2).
Il verbo “stringere” dice intensa relazione affettiva con Dio, simile a quella del bambino in braccio a sua madre (Salmo 131/130,2).
Stretto sul cuore della mamma, un bimbo rimane sicuro sempre, qualunque cosa accada attorno a lui.
Così pregare deve essere quella relazione divina che da’ gioia e sicurezza ai figli di Dio, in modo che nessun avvenimento possa scuoterne di sorpresa le fondamenta. Sarà sempre pronto ad accettare il mistero della volontà di Dio chi è abituato ad incontrare Gesù nella fede ogni mattina.
“..e ha ordinato al portiere di vegliare” (Mc 13,34).La vigilanza del portiere (il cristiano che prega senza stancarsi mai), è dono e compito di una profonda vita di preghiera.
Benedetto XVI ha scritto al riguardo:“Proprio queste parole dimostrano chiaramente cosa s’intenda con l’espressione “vigilanza”: non un uscire dal presente, uno speculare sul futuro, un dimenticare il compito attuale – (il portiere rimane sempre al suo posto) – tutt’al contrario; vigilanza significa fare qui e ora la cosa giusta, come si dovrebbe compierla sotto gli occhi di Dio” (in Gesù di Nazaret, seconda parte, p. 60).
Ora, la prima cosa giusta da compiere sotto gli occhi di Dio ogni giorno, è proprio l’incontro con Gesù nella preghiera. Pregare è la fondamentale vigilanza della vita.
Il testo più bello sulla vigilanza cristiana è il Vangelo dell’Annunciazione a Maria. Noi non sappiamo che cosa Maria stava facendo nel momento in cui l’angelo Gabriele le parlò, ma qualunque cosa facesse si trovava nello stato per lei abituale della perfetta vigilanza, nel quale prontamente rispose: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).
Maria era totalmente vigilante perché era totalmente pura di cuore, ed essendo pura di cuore vide subito Dio (Mt 5,8). Da Maria impariamo così gli elementi della vigilanza divina.
Una grazia che dipende anzitutto dalla purezza del cuore, dalla verginità dello spirito, dall’innocenza degli occhi.
La persona vigilante monta la guardia giorno e notte sopra le mura della sua città interiore, respingendo prontamente il nemico.
Lo scrive Pietro, che, per non avere vigilato, tradì il Maestro: “Fratelli, siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede” (1 Pt 5,8-9).
Da Maria, da Pietro e dai santi impariamo che la vigilanza non è la prontezza dei riflessi o della mente, ma è un cuore posseduto totalmente dall’amore per Gesù: “Eccomi!”.
Impariamo anche che per essere vigilanti è necessario l’esercizio della presenza di Dio, che è la meditazione della sua Parola.
“Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19). Per incontrare Dio è necessario scendere fino alla profondità del cuore, poiché “vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore” (Rm 10,8).
Chiudiamo gli occhi ed entriamo in noi stessi fino a raggiungere il cuore. Iniziamo così questo Avvento, affinché si compia quella trasformazione interiore (metànoia) che più che manifestare la venuta del Signore ne dimostra la presenza, dal momento che Egli è già qui, vivo in mezzo a noi.
————-
* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo
di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.