di Nieves San Martin

MADRID, mercoledì, 8 novembre 2011 (ZENIT.org) – Il prossimo 17 dicembre, nella cattedrale della Almudena a Madrid, saranno beatificati ventidue religiosi oblati, fucilati tra il luglio e il novembre 1936 durante la guerra civile spagnola.

I ventidue martiri appartenevano alla congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata (OMI), che si era stabilito nel quartiere della Stazione di Pozuelo de Alarcon, a Madrid, nel 1929. I frati esercitavano il proprio ministero come cappellani in tre comunità di religiose e collaboravano con le parrocchie vicine.

I giovani scolastici (ovvero gli studenti) impartivano catechesi in quattro parrocchie vicine e il superiore oblato solennizzava le celebrazioni liturgiche. Questa attività religiosa cominciò a inquietare i collettivi rivoluzionari del quartiere della Stazione.

La comunità religiosa degli Oblati non si lasciò intimidire e adottò i mezzi della prudenza, con l’impegno di non rispondere ad alcun insulto provocatore. Mantennero comunque il programma di formazione spirituale ed intellettuale, senza rinunciare alle varie attività pastorali del programma di formazione sacerdotale e missionaria degli studenti.

Il 20 luglio 1936, furono appiccati nuovi incendi a chiese e conventi, soprattutto a Madrid. I miliziani di Pozuelo assaltarono la cappella del quartiere della Stazione, gettarono in strada ornamenti e immagini e li bruciarono. Misero poi a fuoco la cappella e fecero lo stesso con la parrocchia.

Il 22 luglio alcuni miliziani armati assaltarono il convento e fecero prigionieri i 38 religiosi, incatenandoli e sorvegliandoli. Si misero alla ricerca di armi ma, al di fuori del registro della casa, le uniche cose che trovarono furono quadri religiosi, immagini, crocifissi, rosari e ornamenti sacri. Dai piani superiori tutto fu scagliato per la tromba delle scale fino al pianterreno, per poi venire bruciato in strada.

Il giorno 24 ci furono le prime esecuzioni. Senza alcun interrogatorio, né giudizio, né difesa, furono convocati sette religiosi. I primi ad essere giustiziati furono: Juan Antonio Perez Mayo, sacerdote e docente, 29 anni; gli studenti Manuel Gutiérrez Martín, suddiacono, 23; Cecilio Vega Domínguez, suddiacono, 23; Juan Pedro Cotillo Fernández, 22; Pascual Aláez Medina, 19; Francisco Polvorinos Gómez, 26; Justo Gónzález Lorente, 21. Tutti costoro furono introdotti in due autovetture e condotti al martirio.

Il resto dei religiosi rimasero dentro il convento e dedicarono le loro ore alla preghiera e a prepararsi a una buona morte.

Qualcuno, probabilmente il sindaco di Pozuelo, comunicò a Madrid il rischio che correvano gli altri e quello stesso 24 luglio giunse un camion delle Guardie d’Assalto con l’ordine di portare i religiosi alla Direzione Generale di Sicurezza. Il giorno seguente, dopo la conclusone di alcune pratiche, inaspettatamente furono liberati.

Cercarono rifugio in case particolari. Il provinciale affrontò il rischio ed uscì per dare loro coraggio e portare la santa comunione. Nel mese di ottobre, tuttavia, fu spiccato un mandato di cattura nei loro confronti e furono condotti in carcere.

In cella i religiosi sopportarono un lento martirio tra fame, freddo, terrore e minacce. Ci sono testimonianze di alcuni superstiti che riferiscono di come gli oblati accettarono con eroica pazienza questa difficile situazione che li predispose al martirio imminente. Tra di loro regnava la carità e un clima di preghiera silenziosa. In novembre, per la maggior parte di loro, giunse la fine di quel calvario.

Il giorno 7 fu fucilato il padre José Vega Riaño, sacerdote e formatore, 32 anni, e lo studente Serviliano Riaño Herrero, 30. Quest’ultimo, quando fu chiamato dai carnefici, poté avvicinarsi alla cella del padre M. Martin e chiedergli l’assoluzione sacramentale attraverso lo spioncino.

Venti giorni dopo fu il turno degli altri tredici. Il procedimento fu lo stesso per tutti. Nessuna accusa, né giudizio, né difesa. Solo la proclamazione dei loro nomi attraverso dei potenti altoparlanti: Francisco Esteban Lacal, superiore provinciale, 48 anni; Vicente Blanco Guadilla, superiore locale, 54 anni; Gregorio Escobal García, sacerdote appena ordinato, 24 anni; i fratelli “scolastici” Juan José Caballero Rodríguez, suddiacono, 24 anni; Publio Rodríguez Moslares, 24 anni; Justo Gil Pardo, 26 anni; José Guerra Andrés, 22 anni; Daniel Gómez Lucas, 20 anni; Justo Fernández González,18 anni; Clemente Rodríguez Tejerina, 18 anni; i fratelli coadiutori Ángel Francisco Bocos Hernández, 53 anni; Marcelino Sánchez Fernández, 26 anni ed Eleuterio Pardo Villarroel, 21 anni.

È noto che il 28 novembre 1936 furono prelevati dal carcere, condotti a Paracuellos de Jarama e lì furono giustiziati. Uno studente che viaggiava su un altro camion, legato fianco a fianco al padre Delfin Monje, e che fu misteriosamente graziato nei pressi del luogo dell’esecuzione, disse al compagno: “Padre, mi dia l’assoluzione generale e reciti l’atto di contrizione che ci porti alla fine”. Il padre, 18 anni più tardi, si lamentò: “che peccato non essere morto allora! Non sarò più tanto preparato come quel giorno!”.

Il neosacerdote Gregorio Escobar scrisse alla sua famiglia: “Mi hanno sempre commosso profondamente le storie dei martiri che hanno sempre caratterizzato la Chiesa e, nel leggerle, ho sempre avuto un desiderio inconfessato di poter andare incontro a quella stessa sorte. Ciò sarebbe il miglior sacerdozio al quale possiamo aspirare noi cristiani: offrire ognuno il proprio corpo e il proprio sangue in olocausto per la fede. Che felicità sarebbe il morire martiri!”.

Nel processo diocesano emerse che tutti morirono facendo professione di fede e perdonando i propri carnefici e che, nonostante le torture psicologiche subite durante la crudele prigionia, nessuno apostatò, né rinnegò la fede, né si pentì di aver abbracciato la vocazione religiosa.
Lo scorso luglio Benedetto XVI ha confermato la data di beatificazione e la Segreteria di Stato comunicato la decisione al padre Louis Lougen, superiore generale, e al postulatore generale, padre Joaquìn Martinez Vega. La celebrazione avrà luogo nella cattedrale dell’Almudena di Madrid, sabato 17 dicembre.

Gregorio Escobar Barbarin, nipote di un giovane sacerdote appena ordinato, assassinato a 24 anni, di cui porta il nome, dichiarò del martire: “Momenti come questo sono l’occasione che abbiamo tutti di metterci in cammino verso la riconciliazione”.

Gregorio, che è stato consigliere socialista del Municipio di Estella, tra il 1999 e il 2003, crede che sia necessario imparare dalla storia: “Gregorio e i suoi compagni impegnarono generosamente la loro vita coerentemente alla propria fede. I loro giovani cuori anelavano solamente di offrire aiuto e consolazione a chi ne aveva bisogno. Eppure furono portati al macello come pecore in mezzo a un caos di odio e confusione”, ha dichiarato Escobar Barbarin.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Luca Marcolivio]