Sri Lanka: la Chiesa chiede di indagare sulla scomparsa di cattolici

Un buco nero della guerra civile

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COLOMBO, martedì, 13 settembre 2011 (ZENIT.org).- Nello Sri Lanka, la Chiesa ha chiesto al Governo di indagare sulla scomparsa di sacerdoti e laici cattolici durante la guerra civile. Lo ha reso noto Eglises d’Asie, l’agenzia delle Missioni estere di Parigi.

I responsabili cristiani e i familiari di numerosi sacerdoti e membri della Chiesa scomparsi durante l’ultima fase della guerra civile tra le forze dello Sri Lanka e le Tigri Tamil hanno chiesto al Governo di Colombo di “fare finalmente giustizia” indagando su questi casi irrisolti.

Anche se nel maggio 2009 è terminata la guerra civile che ha diviso il Paese per oltre un trentennio, migliaia di sparizioni continuano a rimanere senza spiegazione.

La Chiesa cattolica, che ha pagato un alto prezzo nel conflitto con numerosi sacerdoti e laici assassinati mentre lavoravano al servizio delle proprie comunità, ribadisce regolarmente la sua richiesta di spiegazioni sulla scomparsa, in circostanze poco chiare, di sei sacerdoti e di un numero imprecisato di laici cristiani.

Un nuovo appello è stato lanciato il 20 agosto durante una Messa celebrata nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Mandaitivu, nella Diocesi di Jaffna, in commemorazione della scomparsa – cinque anni fa – di padre Thiruchchelvan Nihal Jim Brown, di 34 anni, e del suo assistente Wenceslaus Vincent Vimalathas, 38enne padre di cinque figli.

I due uomini sono stati visti per l’ultima volta il 20 agosto 2006 al checkpoint di Allaipiddy, un villaggio della zona di Jaffna, allora sotto controllo militare.

Volevano percorrere in motocicletta i pochi chilometri che li separavano dall’isola di Mandaitivu per celebrarvi la Messa.

Secondo l’esercito dello Sri Lanka, il sacerdote e il suo assistente non avrebbero ricevuto l’autorizzazione per andare a Mandaitivu a causa del coprifuoco, una versione smentita da un rapporto di Amnesty International, che colloca la scomparsa dei due dopo il loro passaggio, attestato da testimoni, nella zona militare.

Ruki Fernando, responsabile della Law and Society Trust, un’associazione locale a favore dei diritti umani, ricorda padre Jim come un “giovane sacerdote completamente dedito ai suoi fedeli”, che cercava di lavorare “per la pace e la riconciliazione” nel periodo più difficile della guerra civile.

Appena dieci giorni prima della sua scomparsa era stato nominato parroco della chiesa di San Filippo Neri di Allaipiddy.

Poco dopo il suo arrivo, il 13 agosto 2006, il presbitero aveva dovuto affrontare il bombardamento della sua chiesa. Gli abitanti dei dintorni si erano rifugiati nel tempio per sfuggire ai colpi sparati contro i loro villaggi.

Padre Jim era sopravvissuto all’attacco, ma più di venti civili morirono e i feriti furono centinaia.

In seguito, il sacerdote aveva trasportato i feriti a Jaffna perché fossero curati e aveva fatto evacuare circa 300 famiglie nella parrocchia di Santa Maria di Kayts.

Per via di queste azioni era stato convocato dalle autorità militari e accusato di aiutare i ribelli tamil.

“Sapremo finalmente ciò che è accaduto a lui e ad altre centinaia di scomparsi? Sarà resa loro giustizia un giorno?”, si è chiesto senza troppa convinzione Ruki Fernando.

Già al momento dei fatti i responsabili della Chiesa cattolica avevano criticato aspramente la deliberata mancanza di azione della polizia.

Nel dicembre 2007, il Vescovo di Jaffna, monsignor Thomas Savundaranayagam, aveva espresso la propria indignazione ai mezzi di comunicazione: “Anche se l’Ufficio per le indagini criminali di Colombo ha un buon numero di poliziotti che conoscono le lingue parlate nel nord dell’isola, i suoi responsabili hanno scelto, quindici mesi dopo la scomparsa di padre Jim Brown, di mandare a Jaffna un investigatore che non parla neanche una parola di tamil!”.

I Vescovi cattolici, i rappresentanti delle Chiese cristiane nello Sri Lanka e numerose ONG si sono allora rivolti alle istanze internazionali, moltiplicando le richieste e gli appelli a svolgere le indagini necessarie per risolvere la scomparsa senza spiegazione di tamil cattolici.

Parallelamente a queste azioni, svolte ancora più attivamente dalla fine della guerra nel 2009, i Vescovi dello Sri Lanka hanno denunciato le aggressioni e le minacce che subivano regolarmente alcuni membri della Chiesa, così come le violazioni persistenti dei diritti umani e l’occuapazione militare attualmente ingiustificata di territori del nord dell’isola in cui regna “un clima di terrore permanente”.

Anche in un incontro celebrato a Colombo in occasione del 40° anniversario del Centro per la società e la religione, diretto dalla Congregazione delle Oblate di Maria Immacolata, il segretario generale della Conferenza Episcopale dello Sri Lanka, monsignor Norbert Andradi, ha espresso la propria preoccupazione per la situazione nel Paese.

“La pace è ancora un’illusione – ha dichiarato –. I diritti per le minoranze non vengono rispettati dalla maggioranza. Non si accetta la presenza di molte lingue, molte religioni e molte culture nel nostro Paese”.

Il presule, ha riferito la “Radio Vaticana”, ha invitato a “non seppellire semplicemente il passato, aspettando poi che arrivi la vera pace”, ma ad “imparare a trattare con il male accaduto in passato, imparare dagli errori compiuti. Solo così si potrà affrontare la sfida di lavorare insieme per una pace sostenibile nello Sri Lanka”.

Monsignor Andradi si è poi rivolto ai politici, esortandoli a creare una società che vada al di là degli interessi di partito.

La guerra civile dello Sri Lanka è scoppiata nel 1983 e ha visto scontrarsi l’esercito regolare e le Tigr Tamil, ribelli favorevoli alla creazione di uno Stato indipendente nel nord del Paese. In 30 anni di conflitto, si stima che le vittime siano state almeno 700.000.

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ZENIT Staff

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